Beautiful Boy di Felix Van Groeningen, il lato nascosto della dipendenza
Ispirato a una storia vera, l’ultimo lungometraggio del regista belga Felix Van Groeningen. racconta in modo viscerale il dramma della dipendenza dalle droghe
Uscirà nelle sale cinematografiche italiane il 13 giugno: Beautiful Boy, basato sui libri Beautiful Boy: A Father’s Journey Through His Son’s Addiction di David Sheff e Tweak: Growing Up on Methamphetamine di suo figlio Nic, è l’ultimo film di Felix Van Groeningen. Un’opera che, seppur temperata da un tono più sobrio, ripercorre il simbolico gioco di sguardi e i grandi movimenti di cinepresa di Alabama Monroe (2012). Lento e profondo. Crudo, semplice, a tratti asfissiante. Questa pellicola è un viaggio fisico, emotivo in cui le debolezze sono messe a nudo e condivise: ed è questa condivisione, complice le notevoli interpretazioni di Steve Carell e Timothée Chalamet, che dà ai protagonisti una forza onirica così inspiegabile, da non farli sentire estranei, indifferenti o addirittura ostili verso la realtà. Una realtà guidata da una sceneggiatura (Luke Davies) circolare e da dialoghi serrati, ma per nulla timorosi di mostrarsi in tutta la loro nudità.
UN PADRE, UN FIGLIO
Nic Sheff (Chalamet) è un bel ragazzo di 18 anni: legge, scrive per il giornale del suo liceo e possiede notevoli doti artistiche. È pronto per entrare al college in autunno, per la gioia del padre, David (Carell), un giornalista freelance che collabora con importanti riviste americane. Ma quella che sembra una vita apparentemente tranquilla, prende tutt’a un tratto una piega diversa. Nic sprofonda pian piano nel tunnel della droga e inizia a fare uso di crystal meth, metanfetamina in cristalli. Il giovane si trova faccia a faccia con un mostro a tre teste; entra in una comunità di recupero, si appassiona alle poesie di Bukowski, urla disperato, piange, risorge e poi ci ricasca. David prende subito in mano la situazione e cerca in tutti i modi di salvare il figlio, nonostante il senso di impotenza che lo pervade intimamente: “Ci sono momenti in cui lo guardo come il bambino che ho cresciuto, il ragazzo che pensavo di conoscere come il palmo delle mie mani e mi chiedo chi sia, ora”.
UNA PIACEVOLE CONFERMA
Quella di David Sheff e suo figlio Nic è una storia vera. FVG non cerca nessuna via di fuga, ma si attiene al corso naturale degli eventi, nonostante la narrazione sia intervallata da flashback che non solo ricostruiscono alcuni particolari della vicenda, ma aiutano lo spettatore a comprendere meglio lo straziante viaggio di un diciottenne alle prese con il mondo della droga. Come nelle sue opere precedenti, il regista belga mostra una grande abilità nell’esplorare le ferite affettive del quotidiano, facendo emergere temi di non facile approfondimento: l’illusione di poter controllare il tempo, i conflitti familiari, la dipendenza. Steve Carell interpreta un ruolo profondo, vivo: un padre che tenta in tutti i modi di nascondere i suoi sensi di colpa, un uomo che impara a perdonare e a perdonarsi. Ma il vero “animale da scena” è senza dubbio Timothée Chalamet che, dopo la sua incredibile interpretazione in Chiamami col tuo nome (2017), si conferma uno dei migliori talenti in circolazione. Il giovane attore franco-statunitense, per prepararsi alla parte decide di dimagrire, perdendo 8 chili. Esile, barcollante, spento. Ogni volta che la droga entra nella carne di Nic, Chalamet si fa vittima sacrificale e accetta con coraggio di calarsi in un ruolo che non consola lo spettatore, ma lo prende sotto braccio e lo strattona, per poi mostrargli l’angolo più nascosto dell’inferno.
IL BUCO NERO È DENTRO OGNUNO DI NOI
“L’overdose è la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni”. Felix Van Groeningen non racconta il volto di una periferia ai margini della società. Non c’è nessuna favela o banlieue a fare da sfondo al film, ma la costa californiana, con le sue case ben arredate e le sue palme ondeggianti. È questo il campanello di allarme che lancia Beautiful Boy: può succedere ovunque, a chiunque. A Nic Sheff non mancava nulla, eppure non era felice; si sentiva un corpo estraneo alla società ed è questo che lo ha portato a barattare la sua innocenza con il veleno.
– Luigi Affabile
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