Stanley Kubrick. La mostra di Londra
Appassionata del regista Stanley Kubrick, Francesca Pompei ha visitato per noi la grande mostra che il Design Museum di Londra ha dedicato al regista.
La mostra di Londra su Stanley Kubrick, in occasione del ventennale della morte del regista, cade curiosamente in coincidenza con l’anniversario dell’allunaggio, lui che è stato a volte sospettato di esserne l’autore.
L’esposizione londinese, organizzata insieme allo Stanley Kubrick Archive custodito alla University of Arts, raccoglie complessivamente circa 700 pezzi tra cimeli del regista, props di scena, lettere, appunti e quanto altro si possa immaginare abbia caratterizzato la maniacale organizzazione tecnica e autoriale del regista.
LE COORDINATE DELLA MOSTRA
Un viaggio non solo nella cinematografia, tale da attirare un certo pubblico cinéphile, ma anche nell’estetica, nel design e nella cultura – dal 1951, anno del suo primo cortometraggio Day of fight, commissionato quando era ancora un fotografo di Look, fino alla morte avvenuta nel 1999.
Un percorso in dieci tappe, scandite da un ordine non cronologico ma piuttosto dialettico e intimo, studiato per immergersi e perdersi nella mente e nel processo creativo di un uomo geniale e controverso, spesso criticato per l’esplicita rappresentazione del sesso e della violenza, come documentano le lettere della Christian Action e di spettatori indignati a proposito delle proiezioni di Lolita e Arancia Meccanica (censurato fino al suo decesso nel Regno Unito).
CINEMA E VIOLENZA
Violenza che da punti di vista diversi e nelle sue manifestazioni più folli e disturbanti è alla base della riflessione di Kubrick sul genere umano: ne caratterizza la natura, dalla perdita d’innocenza delle origini fino agli spazi siderali degli astronauti di 2001: Odissea nello spazio, come sintetizzato dal lancio del bastone che diviene navicella in una delle più belle ellissi narrative della storia del cinema.
Violenza che, come recitava Hobbes, rende homo homini lupus ed è cinicamente comica nella contraddittoria arroganza del “Born to kill” accanto al simbolo della pace sull’elmetto di Matthew Modine in Full Metal Jacket o nella figura del maggiore T.J. “King” Kong a cavalcioni sulla bomba ne Il dottor Stranamore.
Una violenza reiterata nel tempo, come simboleggia la metamorfosi di Jack Torrance in Shining, cristallizzato nella neve del labirinto dell’Overlook Hotel e di cui in mostra è presente il modello di Adam Savage, e storica, come raccontano le meticolose ricostruzioni da migliaia di comparse delle battaglie della Guerra dei sette anni che fanno da scenario alle vicende di Barry Lyndon.
Una violenza che riguarda l’individuo preso nella sua solitudine del mondo e che viene messa in scena e indagata senza sotterfugi stilistici ma anzi, provocata fino all’estrema verosimiglianza, come nel caso delle sei settimane per demolire e piantare 200 palme nell’area dismessa della Beckton Gas Works a Bessingbourn, per trasformarla nel Vietnam di Full Metal Jacket.
Tuttavia nel cinema di Kubrick a questa violenza c’è speranza: come nell’incontro dell’astronauta Bowman con l’altro se stesso invecchiato nella stanza rococò di 2001, è possibile ri-conoscersi e rinascere come un superuomo nietzscheano nel feto che chiude il film.
UNA MOSTRA PER TUTTI
Una mostra quindi che pone domande e che scende nel filosofico, come del resto è il cinema del regista, ma che è anche esaustiva nella ricostruzione del dietro-le-quinte, mostrando con disegni e appunti i rimedi creativi e tecnici escogitati per risolvere i problemi di ripresa, come per lo slit scan usato per girare il viaggio nell’atmosfera di Giove e il sistema di specchi e proiettore per filmare in Panavision la ricostruzione della savana nel capitolo sull’Alba dell’uomo, sempre in 2001.
Ma nel folto pubblico (il che indica che non tutto è perduto) a essere soddisfatti non sono solo i fotografi o gli appassionati attaccati ai vetri delle teche con gli straordinari obiettivi Zeiss o davanti alle foto di McCullin che Kubrick studiò per rappresentare la vita dei marine, ma è anche la curiosità a essere solleticata leggendo la lettera di Audrey Hepburn, possibile Josephine nel film Napoleon mai realizzato, o ammirando gli stupendi costumi realizzati per Lady Lyndon da Milena Canonero che, scoperta proprio dal regista, lavorerà poi per Sofia Coppola e Wes Anderson.
Non manca la soddisfazione per gli amanti del design, grazie all’esposizione di pezzi d’autore di Olivier Morgue, Ettore Sottsass e Arne Jacobsen, che Kubrick usò come accessori e allestimenti per i suoi set, né per quelli d’architettura, alle prese con i filmati e documenti d’epoca sul quartiere Thamesmead nell’East London o sulla Skybreak House di Norman Foster e Richard Rogers, entrambe location per Arancia Meccanica.
Una mostra ricca, ben fatta, gratificante anche per soddisfare quelle curiosità un po’ nerd della spiegazione per l’uso della toilette in assenza di gravità o del gossip sulla foto casalinga di un irriconoscibile Sue Lyon/Lolita oggi.
– Francesca Pompei
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