Venezia 76. Il diario della seconda giornata: periferia e film italiani al Lido

Il diario della seconda giornata della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Italiani e periferie nella 76. edizione del festival

Dimenticate le miti giornate spesso piovose e fresche del Lido, che annunciano l’autunno. Sarà il climate change o un semplice picco d’estate, ma una Mostra del Cinema così afosa e assolata non si era mai vista. E il sole a Venezia, quando insiste, non lascia tregua. I campi non hanno zone d’ombra e per attraversarli serve una bottiglietta di acqua fresca. I vaporetti si infiammano: tutti ferro e vetro al loro interno si ricrea un microclima equatoriale. L’arrivo nelle sale climatizzate, spesso refrigerate, è così uno shock termico. La prima pellicola italiana presentata a Venezia nella sezione Orizzonti per la regia dell’esordiente Carlo Sironi è Sole, titolo in dissonanza con la temperatura del film. Siamo nella periferia di Roma, indefinita e incolore, dal cielo bianco. Le uniche luci sono quelle del videopoker e dei locali malfamati frequentati da Ermanno, uno dei protagonisti. Il suo compito è di sorvegliare Lena, ragazza polacca incinta, per poi riconoscere la bambina che porta in grembo e darla in affidamento al cugino, che in cambio pagherà lui e la giovane madre. Si tratta quindi di un caso clandestino di maternità surrogata, nato dalla miseria, con tutti gli strazi e le violenze psicologiche che ne conseguono. Sole è il nome della neonata, il cui pianto è l’unico elemento dinamico e rottura in  una vicenda altrimenti troppo lenta e monocorde, di riprese statiche su cavalletto, sguardi tristi e facce tirate che rischiano di diventare delle maschere. Niente a che vedere con la poesia vitale del fulminante esordio dei Fratelli d’Innocenzo (La terra dell’abbastanza), anche loro cantori della periferia ma ben consapevoli dell’anima che questa si porta dietro.

Sole 2019 Carlo Sironi

Sole 2019 Carlo Sironi

IL FILM DI MARIO MARTONE

Un’altra sezione, quella ufficiale di Venezia.76; un altro regista italiano in concorso, Mario Martone; un’altra periferia, quella di Napoli. Il Sindaco del Rione Sanità è una trasposizione cinematografica dell’omonima commedia di Eduardo De Filippo, che peraltro Martone ha già portato in scena con lo stesso attore protagonista prima di decidere di adattarlo per il grande schermo. Antonio Barracano, un bravo Francesco Di Leva, è un “uomo d’onore” che nel Rione Sanità, in una dimensione parallela e sommersa rispetto alla politica ufficiale, amministra il territorio. Antonio  usa la minaccia con autorevolezza per scongiurare il ricorso alla violenza, modalità discutibile che supplisce il vuoto dell’istituzione, e cerca di trovare soluzioni alle controversie, spesso insanguinate, degli uomini che ricorrono ai suoi saggi consigli. Il film risente forse troppo della originale impostazione teatrale e in effetti, a parte l’ambientazione ai nostri giorni e la bella scena iniziale che omaggia la street art napoletana, si svolge tutto in interni, con un surplus di parola tipico del teatro. E così, con l’immancabile figura della domestica immacolata che prepara sughi e pollastri per i convitati, le controversie si risolvono davanti al cibo, e la lezione di Edoardo è sempre in scena.

Mariagrazia Pontorno

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