Venezia 76. Pablo Larraín, ovvero il Raggaeton come filosofia di vita. Terzo giorno al Lido

Venezia 76. Il film romantico e psicotico di Larraín conquista la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Il diario del terzo giorno dal Lido

Le proiezioni notturne in Sala Perla sono un cult per gli aficionados della Mostra del Cinema. La sala ha comode poltrone grigie e un soffitto in stucco che simula un grande ricamo bianco. Si trova al piano terra del Casinò e in occasione di film molto attesi un fiume umano attraversa l’intera grande hall, fino a straripare sul piazzale esterno. Come nel caso di Ema, di Pablo Larraín. Alle 22, dopo una lunga giornata trascorsa tra schermo cinematografico e schermo del laptop, gli accreditati stampa non vogliono perdersi l’anteprima a firma del regista cileno.  Breve sinossi: Ema (Mariana Di Girolamo) è una danzatrice. Insieme al compagno Gastòn direttore del corpo di ballo (Gael Garcia Bernal) adotta un bambino perché lui non può avere figli. Il bambino si dimostra però violento (ma non è che  Larraín e Gebbe si sono parlati?) e decidono di darlo in affidamento a un’altra famiglia. Lei si pente subito della scelta e architetta un piano folle quanto lucido per riaverlo, nel frattempo riesce pure a vivere l’esperienza della gravidanza facendo un figlio con un altro uomo. E nei tempi morti indossa una bombola lanciafiamme dando fuoco alla città e danza il Raggaeton sulle alture. Detto così non ha senso, ma è un film di Larraín e bisogna avere fede nella brillantezza dei suoi percorsi mentali.

LA FILOSOFIA DEL RAGGAETON

L’atmosfera visiva e sonora che Larraín ritaglia intorno ai personaggi fa infatti perdere l’orientamento narrativo, spostandolo in secondo piano rispetto a un bagno dentro la verità di colore e  ritmo. In Ema la storia ha poca importanza rispetto a ciò che si vede e soprattutto si sente. Le coreografie di danza di Gaston, provate dentro la palestra della compagnia; e l’attrazione fatale di Ema per il Raggaeton, ballato per strada, sulla spiaggia, mentre vive la sua vita, reificano il conflitto di coppia. Da un lato la tradizione, rappresentata da uno stile contemporaneo ormai integrato nel canone classico; dall’altro il nuovo, osteggiato e denigrato, visto da Gastòn come espressione di ignoranza, apatia e bestialità. Ema, di contro, è pura vitalità, pura danza, puro corpo. Solo ballando il Raggaeton lei esiste e trova soluzioni innovative e inedite per risolvere i problemi cha l’affliggono, per primo quello della maternità. Il miracolo che Larraín rinnova sempre nel suo cinema, è quello di saper leggere in maniera così veritiera il presente da farlo sembrare il futuro. Dai tagli di capelli dei protagonisti, al modo di muoversi, parlare, agire, tutto è imbevuto di cultura contemporanea. Il montaggio poi, che fa partire il film come un visionario videoclip; e la ricerca della bellezza nella composizione di ogni inquadratura. In una frase: un grande bagaglio visivo e il suo uso consapevole. Mariana Di Girolamo è bravissima e per questa interpretazione si candida alla Coppa Volpi, un po’ più debole risulta invece Garcia Bernal, che non riesce a calarsi del tutto nel suo personaggio di psicotico/romantico. Nel complesso Ema è un film imperfetto, appesantito dalla storia e dalla realtà, ma bilanciato da momenti di totale grazia. Come la vita.

Mariagrazia Pontorno

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