Antropocene – l’epoca umana: l’esperienza al cinema sulle sorti del nostro pianeta
In Italia è uscito a settembre, un mese caldo per i dibattiti sull’ambiente. Parliamo di Antropocene – l’epoca umana, il film documentario, nonché progetto multidisciplinare, che pone l’attenzione sugli effetti devastanti del nostro impatto sulla Terra. Perché si, chi più chi meno, ne siamo tutti responsabili.
“È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”, così sostiene il teorico Mark Fisher nelle prime pagine di Realismo Capitalista (edito in Italia da NERO Publishing), ma cosa succede quando ci viene data la possibilità di guardare con i propri occhi l’innaturale declino del nostro pianeta? Il progetto Anthropocene – che si concretizza soprattutto attraverso cicli di mostre, esperienze di realtà estese e un programma educativo completo – si prefigge infatti l’obiettivo primario di risvegliare le nostre coscienze mettendoci concretamente dinanzi al destino nefasto al quale abbiamo condannato sia la Terra che tutti i suoi abitanti… esseri umani compresi. Ma cosa si intende esattamente quando si parla di Antropocene? Seppure il termine sia entrato nell’immaginario collettivo dopo la seconda metà del Novecento, grazie a figure come il biologo Eugene F. Stoermer e il Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, in realtà c’è chi fa risalire la nascita di questa nuova era geologica al tempo della rivoluzione industriale, come attestano anche le ricerche compiute negli anni Settanta dell’Ottocento dal luminare italiano Antonio Stoppani. Con “Antropocene” ci si riferisce dunque a un determinato periodo storico completamente dominato dalle volontà dell’uomo, un’epoca all’interno della quale speculazioni disparate e il raggiungimento di un benessere effimero assumono le sembianze di una priorità assoluta che compromette irrimediabilmente la salvaguardia del Pianeta stesso. Da misura di tutte le cose (come affermava Protagora nel ‘400 a.C.) l’uomo passa così a un livello successivo nel quale diviene, sventuratamente, l’unica cosa che conta. Sebbene tutta una serie di prove schiaccianti attestino l’irreversibilità della condizione nella quale versa il globo terrestre – come l’invasiva presenza di plastica e altri tecnofossili in ogni dove, l’acidificazione degli oceani a causa dei cambiamenti climatici e i tassi senza precedenti di deforestazione ed estinzione –, il neologismo scientifico non è ancora stato riconosciuto ufficialmente nella scala dei tempi geologici.
IL DOCUMENTARIO
Concepito più di quattro anni fa dal pluripremiato team canadese formato dal fotografo Edward Burtynsky e dalla coppia di registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, il documentario nasce come conclusione ideale di una trilogia iniziata nel 2006 con Manufactured Landscapes e proseguita, sette anni più tardi, con il suggestivo Watermark. Attraverso la suddivisione in capitoli, che vanno dai processi di terraformazione fino all’imminente rischio di estinzioni animali, l’opera cinematografica offre una panoramica concisa di numerosi fenomeni che attestano l’ingresso definitivo in questo disarmante momento storico. Nonostante l’altissima definizione delle immagini presentate, lo spettatore viene realmente messo alla prova nel tentativo di trovare del bello in qualcosa di così triste e sconfortante. Le vorticose e solenni riprese che costituiscono la pellicola, figlie di un’estetica che affonda le radici in pietre miliari come la saga Koyaanisqatsi (di Godfrey Reggio) o Samsara (diretto da Ron Fricke nel 2011), contrastano inevitabilmente con il raccapriccio che trasuda dagli eventi narrati. Un susseguirsi di immagini sublimi atte però a mettere sempre in discussione i confini tra il progresso tecnologico e l’involuzione di concetti quali l’empatia e l’umanità, come testimonia la snervante sequenza della cerimonia di apertura del traforo del Gottardo (forse emblema assoluto del concetto che si trova alla base dell’intero film). Benché esso fornisca un ritratto preciso dello Zeitgeist nel quale viviamo, la vastità dell’argomento trattato risulta davvero immensa per consentire a un prodotto come Antropocene – l’epoca umana di scandagliare in maniera soddisfacente tutte le molteplici problematiche che vengono affrontate. Novanta minuti forse non sono sufficienti per un’operazione simile e l’estrema brevità di alcuni episodi non aiuta a raggiungere la stessa profondità che invece si ritrova nelle stupefacenti carrellate eseguite nelle miniere di potassio negli Urali russi. Ciononostante, l’epica opera canadese merita assolutamente di essere vista per meditare su tutto ciò che in soli dieci milioni di anni – paragonati ai quattro miliardi e mezzo della Terra – l’uomo è riuscito a fare, nell’ordine di “riconoscere e rivalutare i segni della nostra dominazione”. Antropocene – l’epoca umana, che per l’edizione italiana si avvale della voce narrante di Alba Rohrwacher, è stato distribuito nel nostro Paese il 19 settembre grazie alla Fondazione Stensen e Valmyn e con il sostegno di associazioni e società quali Fridays for future Italia, Extinction Rebellion Italia, Green Peace, Associazione Italiana Giovani Unesco, #Unite4Earth e Mymovies.it.
– Valerio Veneruso
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