È Parasite il film dell’anno 2019? L’opinione di Nicola Davide Angerame
Il film dell’anno è Parasite, un piccolo capolavoro, diretto dal maestro Bong Joon Ho, che ha conquistato giuria e stampa al Festival di Cannes con la sua leggerezza nel trattare temi forti come la divisione tra le classi sociali. Ancora più attuale oggi di ieri.
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“Una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi”. Così Bong Joon Ho (classe 1969) definisce il suo film, Parasite, che gli vale La Palma d’Oro a Cannes e lo proietta verso l’olimpo della cinematografia sudcoreana. Lì dove risiede stabilmente Kim Ki-duk (nato nel 1960) che con Ferro 3 nel 2004 vinceva il Premio speciale per la regia a Venezia e portava all’attenzione mondiale una cinematografia che esprimeva la sensibilità sudcoreana fatta di rispetto e ferocia, rettitudine morale e interpretazioni poetiche della legge, dedizione e istinto di vendetta. Quella di KKD era un’estetica fatta di calma e voluttà nascoste, di intimismo tenace, di caparbietà e determinazione, il tutto soffuso da un autentico senso di pietas. E Mr. Bong la sviluppa aggiungendovi suspense, atmosfere sinistre e un tocco di estetica horror, che è poi il mood da cui proviene e nel quale si è formato.
UN FILM SOCIALE E ALLEGORICO
Da Ferro 3 riprende l’idea portante (l’occupazione di una casa), ma gli costruisce intorno tutto un altro film, più corale, più sociale e più allegorico, nel quale s’intrecciano le storie eccentriche di tre famiglie al cui interno i personaggi funzionano come figure archetipiche di una società, quella della Repubblica di Corea, alle prese con le proprie lacerazioni e tabù. Come il doloroso confronto con la “gemella” perduta (la Corea del Nord), lo spaesamento prodotto da una tecnologia che ha rapidamente intriso una cultura tradizionalista, i dilemmi morali prodotti da una lotta di classe 2.0. Costruito con linearità, il film incede al ritmo serrato di colpi di scena quasi continui e sottesi da una ilarità pervicace che diverte, mentre l’occupazione ingegnosa della villa dei ricchi da parte dei membri della famiglia sottoproletaria Ki-taek diventa foriera di intelligenti escamotage e giochi di ruolo che creano un climax ascendente fino al ritrovamento di un “terzo incomodo”… Da qui, la discesa agli inferi dei protagonisti si popola di scene slapstick con ruzzoloni a cascata. La dialettica delle classi sociali diventa guerra aperta, ed un bunker antiatomico (molto presente in Corea) si offre come metafora della “grande rimozione” storico-politica e come palcoscenico su cui maturano le svolte narrative.
ECOSISTEMA DEL REALE
Parasite sembra un film creato dentro un laboratorio scientifico: ogni personaggio ha una funzione specifica che lo lega agli altri dentro un ecostistema destinato a collassare in una bagarre degna di Tarantino o dei migliori film di samurai giapponesi. I generi si fondono in questa storia noir e pulp “in salsa soju”, in cui riecheggia un altro cult-movie pieno di vendetta come Oldboy, diretto nel 2003 da un terzo moschettiere della cinematografia sudcoreana, Chan-wook Park (classe 1963). Se il neorealismo italiano, che ha fornito la cifra stilistica di tanta cinematografia d’autore nostrana, ci aveva abituato al ritratto di una classe povera e (o perché) ignorante, Mr. Bong propone un modello diverso di classe diseredata e “parassita”, che suscita simpatia per la sua capacità organizzativa. La stessa capacità che ha reso i sudcoreani protagonisti negli anni ’90, all’epoca delle Tigri asiatiche che hanno ridisegnato la mappa di quella porzione di mondo.
–Nicola Davide Angerame
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