Serie tv: la BBC lancia un nuovo Dracula. Ecco com’è
Un adattamento che coniuga in maniera brillante la tradizione del romanzo di Bram Stoker con un certo gusto postmoderno e contemporaneo: tra body horror, dark humor, duelli cerebrali e anche qualche trovata estetica alla Nicolas Winding Refn
Il Vampiro è un mistero. Seduttivo e fatale. Ha il fascino del mostro intellettuale: raffinato, sofisticato, metaforico, complesso. È entrato nella cultura popolare attraverso più media: letteratura, cinema, televisione, fumetto, risucchiandoli come la maschera fa col volto dell’attore. Del resto conoscere è uccidere. È così per Edgar Allan Poe. Basti pensare al desiderio di Ligeia di farsi assorbire, di lasciarsi consumare dall’uomo che (la) ama. “Il sangue è vita” sostiene Dracula di Bram Stoker, il più famoso dei vampiri. “Il sangue è vite. È sicuro che abbia detto proprio così?” ripete suor Agatha Van Helsing (Dolly Wells), colpita dalle parole dell’avvocato Jonathan Harker (John Heffernan), ridotto a cadavere e fuggito dal castello del Conte, nel primo episodio della miniserie, adattata dal romanzo da Mark Gatiss e Steven Moffat (che hanno una certa familiarità con i classici della letteratura, come dimostra la collaborazione su Sherlock, o Jekyll di Moffat), che ha debuttato su BBC One e che dal 4 gennaio 2020 è disponibile in streaming su Netflix. Che cosa significa “vite”? Le tre puntate, di novanta minuti ciascuna, sono una dissertazione sul senso della conoscenza che scorre nelle vene, attraverso il corpo e i secoli. Tramandata per contagio, attraverso un bacio erotico e dolente. “Solo nel sangue troviamo la verità. – dice il Conte Dracula (Claes Bang) alla dott.ssa Zoe Van Helsing nell’ultimo episodio – Tutto è nel sangue se sai come leggerlo”.
LE STORIE SCORRONO NELLE VENE
“Ha avuto rapporti sessuali col Conte Dracula?” insiste suor Agatha, mentre una mosca si incunea nella pupilla del signor Harker, i cui ricordi ci traghettano nel passato. Dal monastero di Budapest, in Ungheria, dove ha trovato rifugio (siamo nel 1897, lo stesso anno in cui Dracula di Bram Stoker viene dato alle stampe), alla labirintica dimora del Conte, dove si è recato in qualità di avvocato per trattare la transazione di una proprietà a Londra. Il viaggio di Jonathan ha però una nota sinistra sin dall’inizio. Da quella notte in mezzo alla neve dove, dopo il dono inaspettato di un crocifisso da parte di una donna, viene prelevato da un cocchiere che lo conduce in Transilvania. Accolto da un lauto banchetto, a cui il canuto e respingente Dracula non partecipa, Harker diventa rapidamente preda. Un sogno è l’inizio del contagio. Nell’amplesso onirico Mina Murray, evocata dalla lettera piena di devozione scritta all’amato, assume le sembianze del Conte, causando un brusco risveglio. L’“amore che divora” ha connotati omoerotici. Dracula non distingue, si abbevera e ringiovanisce. Nel morso convergono terrore ed estasi, perché il vampiro si insinua dove c’è frustrazione sessuale, desiderio, colpa e peccato, regalando una forma di immortalità antireligiosa.
L’INTERPRETE
L’attore danese Claes Bang porta sugli schermi un vampiro forse per la prima volta protagonista. La forma epistolare, omaggiata sulle prime, lascia presto spazio alla consistenza della carne. A un personaggio aristocratico e ferino, colto e infelice, turista ed ectoplasma sessuale. Una sfida non facile, vista la sua popolarità. Se Bang ha rivelato al Guardian di aver guardato tutte le versioni precedenti e di essere rimasto colpito, in particolare, dalla solitudine di Klaus Kinski nel Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog, forse ad aver influenzato maggiormente gli sceneggiatori è stato il vampiro di Terence Fisher e della Hammer Film Productions. Un Dracula che prendeva le distanze dal mascherone di Nosferatu e dalla cipria di Bela Lugosi, enfatizzando l’erotismo e la tenebra. Un vampiro moderno che tornava alla letteratura gotica, all’Inghilterra e a Bram Stoker. A queste caratteristiche Mark Gatiss e Steven Moffat hanno aggiunto l’ironia e una personalità nuova. Dracula non è più una figura che esce dall’ombra. È dionisiaco, byroniano e soprattutto un abile scacchista. Scelta che consente un’efficace caratterizzazione intellettuale.
IN VIAGGIO SUL DEMETER
È proprio attraverso una partita di scacchi che si passa da Le regole della bestia, con la sua compiaciuta estetica body horror, che viene iconizzata dalla scena in cui Claes Bang esce dal ventre di un lupo, riprendendo uno dei temi cari alla fantasia popolare: la metamorfosi, al Veliero di sangue, dove incontriamo il Conte in viaggio sul Demeter, diretto a Londra. Cavallo o Regina? Bianchi o Neri? “Scegli tu” – dice Dracula a suor Agatha. E subito dopo: “Il lato perdente”. Lei, che si è seduta dal lato dei Bianchi, ribatte: “È tutto da vedere”. Personaggio marginale nel romanzo, suor Agatha acquista un’inedita centralità nell’adattamento dei due sceneggiatori inglesi (complice anche la combinazione col cognome Van Helsing), che attraverso battute taglienti quali: “Come molte donne della mia età sono intrappolata in un matrimonio senza amore”, creano un interessante parallelismo tra l’approccio disincantato alla fede di una suora del XIX che ne ha viste così tante da affidare agli esseri umani, e non a Dio, la loro salvezza, e la condizione della donna in via di emancipazione all’interno di un sistema patriarcale. Il secondo episodio cambia tono rispetto al primo, lasciando intravedere la maniera postmoderna di intendere la serie. Vengono meno l’umorismo nero e l’orrore corporeo, per concentrarsi sul gioco, non solo dialettico o figurato ma anche quello della caccia al vampiro, che si trasforma sul finale in una caccia alla preda. Chi ha scelto di gustare lentamente Dracula? “Chi c’è nella cabina numero nove, Agatha?”. Un’inquadratura zenitale si imprime nella memoria con la stessa forza di una risposta evidente. La stanza degli scacchi è compresa nel nove.
LA PIÙ GRANDE PAURA DI DRACULA
“Agatha Van Helsing […] diventerai parte di me. Raggiungerai il nuovo mondo nelle mie vene”. Dopo centoventitré anni Dracula, dal fondo del mare, rinchiuso nella sua bara, riemerge sulle coste dell’Inghilterra. Lo accolgono elicotteri, corpi speciali, armi e una scienziata, che lavora alla Fondazione Jonathan Harker, dalle sembianze di suor Agatha. “Tu non sei lei vero? Ma sei della stessa linea di sangue”, afferma Dracula alla sua vista. Zoe Van Helsing, interpretata sempre da Dolly Wells, è una felice trasposizione femminile (come la stessa Agatha) del professor Abraham Van Helsing. Come lui combatte attraverso la Ragione e non ha un compagno a fianco. Né lei né suor Agatha vedono nella religione l’arma ideologica principale per combattere il vampiro (il professor Van Helsing nel romanzo di Stoker era più orientato all’occulto e al soprannaturale), ma per giustificare la sua natura solitaria i due sceneggiatori la rendono malata. Zoe ha un tumore e il suo sangue per Dracula è veleno. Chi è invece la sua “sposa migliore”? Lucy Westenra, personaggio da sempre secondario, che nell’ultimo episodio La bussola oscura, è una ragazza di colore londinese (intuizione che prende le distanze dall’estetica del pallore delle vampirizzate) che ama i party e il clubbing, dedita esclusivamente al culto dell’apparenza. La tipica It Girl. C’è in questa scelta di porre l’accento sulla vanità qualcosa di mortifero. Vanitas vanitatum, et omnia vanitas è il celebre passaggio biblico dell’Ecclesiaste, che sottolinea la vacuità dell’attaccamento ai beni terreni. Bellezza inclusa. Una volta che Dracula le ha succhiato le energie, col suo consenso (tema interessante in un episodio dove incontriamo un vampiro alle prese con la vita nel XXI secolo, soprattutto in relazione alla classica caratteristica dei vampirizzati: la subordinazione, ovvero il desiderio di essere posseduti in modo totalizzante), trasformandola in una non-morta, sfigurata perché viene cremata, le ricorda di non disperarsi. “La bellezza è un travestimento. – sottolinea – Tu sei andata oltre”. Il finale è conseguenza delle premesse poste attraverso il personaggio di Lucy: la sposa perfetta, “In cinquecento anni l’unica disponibile ad aprire le vene” senza temere la morte. “La diade sangue-cuore”, scrive Piero Camporesi in Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, “si è accresciuta d’un terzo termine, amore. […]. Un amore crudele, omicida, assetato di sangue che ‘non lascia mai l’amante infin che non gli ha cavato il cuore’”. Il finale tragico coincide con un ribaltamento. Se è vero che bevendo il sangue si ottiene la vita eterna, bevendo un sangue malato si giunge alla morte. Amore e Morte. È questo il messaggio dei due sceneggiatori. La coppia che hanno creato, Dracula e Zoe Van Helsing (che in sé comprende anche Agatha, dopo aver bevuto il sangue del vampiro da una provetta), sono l’emblema di un doppio sacrificio. “Tu vuoi sconfiggere la morte, ma non ci riuscirai finché non l’affronterai senza paura”, dice Zoe al Conte. Dopo un bagno di luce e una dissolvenza a bianco, il rosso purpureo del sangue, dell’amore, del fuoco invadono lo schermo. “Stai bevendo il mio sangue” dice Zoe. “Morirai”. Dracula risponde: “Anche tu”.
– Carlotta Petracci
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