Favolacce, la favola amara dei fratelli D’Innocenzo
Migliore sceneggiatura alla Berlinale 2020, arriva in streaming l’11 maggio Favolacce, opera seconda dei Fratelli D’Innocenzo, favola nera in cui i bambini sono abbandonati a loro stessi. Un film da grande schermo che in questo momento aderisce alla campagna #iorestoacasa ma che si spera nei prossimi mesi possa passare in sala
Le chiamano Favolacce, sono le storie quotidiane che accomunano una piccola comunità che vive nella periferia Roma una solita, tranquilla, estate particolarmente calda e afosa. È l’estate dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo che dall’11 maggio sono in streaming, distribuiti da Vision Distribution, con il loro secondo lungometraggio da registi, appunto Favolacce. Il film ha vinto l’Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura alla Berlinale 2020, scritta dagli stessi fratelli. Si tratta di una favola nera, amara. Un film da vero pugno allo stomaco. Bello! Sì, un film per cui usare un termine tanto scontato è più che giusto perché così è Favolacce: bello, bellissimo. Un racconto “horror” sull’incomunicabilità delle persone, sulle famiglie fintamente perfette in cui tutti si dicono quanto sono bravi e perfetti ma nessuno bada veramente all’altro. Favolacce è un grande dipinto della nostra società in cui troppo spesso i più isolati sono i bambini. E i bambini, gli adolescenti, sono i veri protagonisti della storia dei D’Innocenzo. Bambini che fanno paura per la loro compostezza, per la loro fermezza. Come dice Max Tortora, voce off del film: “quello che segue è una storia vera, ispirato a una storia falsa”.
I SUONI DELL’ESTATE E I QUADRI DI HOPPER
È una solita estate appiccicaticcia, quella di Favolacce, in cui si attende inermi l’arrivo della nuova stagione, della riapertura delle scuole. Più famiglie vivono questo momento nascondendo i loro malesseri, cercando di mostrarsi perfetti ai loro occhi e agli occhi degli altri. Ogni scena di Favolacce va ben oltre il cinema. Si lega alla cronaca, alla pittura, alla musica, ai suoni e ai rumori tipici dell’estate. C’è tanto cicaleggio in Favolacce, come il vociare basso e in lontananza dei televisori accesi durante le cene in giardino. Una di queste cene, appunto all’aperto, riguarda la famiglia che vede protagonisti Elio Germano e Barbara Chichiarelli. Una scena in cui c’è un crescendo continuo a causa del figlio della coppia che sta per affogarsi. Questa scena, questa cena all’aperto in cui l’ansia cresce, è ripresa esclusivamente da lontano, da due angolazioni diverse ma sempre a distanza, quasi con distacco. Nel cinema italiano si è abituati alle grandi tavolate, ai cibi in primissimo piano, in questa scena è tutto il contrario ed è come essere in una galleria d’arte a osservare un quadro. “L’ispirazione arriva infatti dai quadri di Hopper, anche per la geografia che abbiamo ricreato con gli scenografi di queste casette a schiera”, mi racconta Fabio D’Innocenzo. “L’idea era quella di assistere a qualcosa che avrebbe potuto cambiare l’esistenza di una famiglia. È anche una falsa pista per lo spettatore. Questi avvenimenti nel cinema vengono gonfiati di enfasi, mentre quando li viviamo sono di una freddezza imminente, neanche ce ne accorgiamo. Sono secondi che hanno a che fare con la vita e la morte, in cui siamo paralizzati da qualcosa di così piatto e sciapo. Mi terrorizza pensare alla morta come a qualcosa che non ha a che fare con nulla di epico ma semplicemente con qualcosa che accade”.
FOTOGRAFIA E MUSICA, COLLABORAZIONE SUL SET
Damiano e Fabio D’Innocenzo propongono al pubblico Favolacce dopo un altro film nero e amaro, un altro racconto quasi di perdizione ovvero La terra dell’abbastanza. In entrambi i film si avvalgono della collaborazione di Paolo Carnera per la fotografia, ed è entusiasmante vedere come le loro storie, al momento solo due da registi, hanno già un “filtro” visivo, dei colori di riconoscimento. Non immaginate i Fratelli D’Innocenzo come dei registi che mettono i paraocchi e paraorecchie dando indicazioni senza ascoltare i collaboratori, è tutto il contrario con loro anche in questo caso. Hanno sì le idee chiare quando arrivano sul set ma ogni suggestione per loro è valida e può suscitare altro, magari anche armonizzando meglio la storia che vogliono raccontare. Come è avvenuto anche per la musica, o meglio per il brano finale del film, Passacaglia Della Vita, fatto conoscere da una collaboratrice, e che dà, in conclusione, un vero cazzotto allo stomaco a una storia che già di per sé fa sudare proprio come l’estate che ricrea. Favolacce è un bel film. È uno schiaffo che scuote. È un western di oggi in cui la balla di fieno è la vita. È anche un horror, in cui il male cresce inconsapevolmente e logora ogni personaggio. È un film di formazione, in cui i più piccoli imparano a decidere purtroppo da soli. Come riportato sulla locandina del film, “c’era una volta un sogno che oggi non c’è più”.
-Margherita Bordino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati