Quelli della notte. La trasmissione di Renzo Arbore compie 35 anni

A trentacinque anni dalla messa in onda di “Quelli della notte”, storica trasmissione di Renzo Arbore, alcune considerazioni su quel concept rivoluzionario. Con un po’ di nostalgia.

Lo diceva Neruda che di giorno si suda,
ma la notte no.
Rispondeva Picasso, “io di giorno mi scasso”,
ma la notte no.

47 giorni un po’ particolari al di qua delle Alpi, quelli dal 29 aprile al 14 giugno 1985: lo sdegno per la Strage di Pizzolungo del 2 aprile ancora nell’aria, il Verona campione d’Italia, la strage dell’Heysel, Pertini che stava per finire il suo mandato presidenziale e l’Italia già si sentiva un po’ orfana. Ma dall’oscurità dello schermo, quando la giornata poteva ormai dirsi conclusa, ecco spuntare Renzo Arbore e la sua banda. Con quelle rime comicamente forzate (altrimenti “ti perdi la stima”), la sigla d’apertura bastava da sola a spiegare una trasmissione che rispondeva ai canoni della wagneriana opera d’arte totale: in Quelli della notte si ritrovano infatti la musica (di tutti i generi o quasi), il teatro d’improvvisazione, l’analisi sociologica, la divulgazione, la comicità, la satira politica, la parola, lo sberleffo, il suono, il silenzio.
Con Arbore, la notte dilatava i confini e sprigionava più calore delle stelle, diventava un fatto di costume e dispensava cultura senza fare dell’accademia.

I PROTAGONISTI DI QUELLI DELLA NOTTE

Guardando Quelli della notte ci si sentiva in un certo senso ospiti di Casa Arbore, e mentre Giorgio Bracardi scassava i timpani con i suoi estemporanei numeri d’animatore (rivelando però di quando in quando insospettate doti di pianista), la simpatica Marisa Laurito attendeva il ritorno del fidanzato Scapizza con la stessa ansia spasmodica con cui oggi si brama una crisi di governo, e il colto e signorile Riccardo Pazzaglia tentava di dare alla serata un tono intellettuale. La trasmissione aveva il suo zoccolo duro in tanti talenti meridionali (prima di gridare recenti sciocchezze, qualche giornalaio schierato avrebbe dovuto pensarci) che portavano in scena rutilanti note di colore e buonumore, e in certe serate lo studio diventava il mercato di Porta Capuana (anche se in certi momenti, guardando l’orchestra che suona distribuita su due piani, Arbore al centro, e i conciliaboli qua e là nello studio… sembra di guardare una versione contemporanea della raffaellesca Scuola di Atene). Le improvvisazioni del musicista Marcello Cirillo creavano un’atmosfera coinvolgente, che raggiungeva vette di misticismo con gli aneddoti di Sani Gesualdi da Scasazza, narrati da Nino Frassica. Per la cronaca, pochi mesi dopo, il regista Maurizio Nichetti (che un po’ arboriano nell’anima lo è) portò al cinema un po’ di Scasazza, ne Il Bi e il Ba. Prestigioso ospite, anche se per una sola volta, fu Luciano De Crescenzo, che in una storica session si trasformò in menestrello partenopeo. Ma Arbore aveva con sé anche la milanesissima Silvia Annichiarico e il romagnolo Maurizio Ferrini (che con il suo “Non capisco ma mi adeguo” riecheggia il “trinariciutismo” di guareschiana memoria).
Molto apprezzato dal pubblico italiano, il programma finì però nel mirino dell’Associazione musulmani italiani; Andy Luotto, che interpretava Harmand ‒ l’arabo ospite fisso di Arbore incaricato di tradurre per “i fratelli dell’altra sponda del Mediterraneo” il salotto di Pazzaglia ‒ fu costretto a rinunciare al personaggio a seguito di pesanti minacce verbali e fisiche. Ma forse fu uno spiacevole equivoco nato da un errore di traduzione.

LA MISTICA DEI LINGUAGGI

Dalla notte dei tempi, a Scasazza, la pecora e l’agnello “si ribattavano”. Senza voler indagare i retroscena degli aneddoti di Sani Gesualdi narrati da Frate Antonino, ricordiamo però la freschezza di linguaggio della Banda Arbore, funzionale a una comunicazione che aveva la comicità come scopo; quegli aneddoti, ambientati nei secoli passati, guardavano alla tradizione della favolistica greca, ma presentavano una realtà vista con l’occhio ingenuo dell’artista e deformata dal linguaggio surreale, e Gesualdi lo possiamo immaginare ‒ alle prese con i soggetti più disparati e dispensatore di consigli ad usum populi ‒ come un novello Buster Keaton che si scontra con le bizzarrie dell’umanità. Invenzioni linguistiche surreali che creavano un interessante contrasto con quelle di Roberto D’Agostino, attento allo sviluppo di tendenze come la società dello spettacolo o l’edonismo reaganiano; intellettualismo posticcio Anni Ottanta, che faceva il paio con le colte citazioni (dalla classicità alla filosofia), di Pazzaglia. Un “brodo primordiale” di linguaggi che è metafora dell’Italia colta e di quella popolare, rimaste purtroppo sempre distanti.

A ‘Quelli della notte’ la musica diventava un secondo pane, un linguaggio universale di ricerca delle radici culturali, ma anche un mezzo per parlare del presente”.

Le note erano l’elemento principale della serata, a cominciare dalle orchestre: la già citata New Pathetic Elastic Orchestra e il duo Antonio&Marcello, cui si aggiungevano, fra gli altri musicisti, Gegé Telesforo (che ha collaborato anche con Gillespie) e Massimo Catalano, trombettista jazz che suonò anche con Louis Armstrong. E siccome era ancora l’epoca in cui in televisione si potevano vedere e ascoltare persone che sapevano cosa stavano facendo e di cosa stavano parlando, ogni sera si riscoprivano canzoni di repertorio eseguite dal vivo, ma soprattutto, grazie al critico musicale Dario Salvatori, capace di scovare filmati di grande valore storico-artistico, si approfondiva la conoscenza della musica nera (tanto cara allo stesso Arbore); da Ray Charles a Stevie Wonder e James Brown, il Gotha della musica afroamericana deliziava il pubblico a casa. Inoltre Arbore, talent scout sempre attento ai giovani, ospitò in trasmissione diversi gruppi esordienti, fra i quali i Denovo (che ebbero negli anni un buon successo), e dette visibilità a raffinati collettivi come la Fabio Treves Blues Band. A Quelli della notte la musica diventava un secondo pane, un linguaggio universale di ricerca delle radici culturali, ma anche un mezzo per parlare del presente.

DAL BRODO PRIMORDIALE ALL’EDONISMO REAGANIANO

Con il suo “salotto intellettuale”, l’indimenticato Riccardo Pazzaglia compiva un piccolo capolavoro socio-storico-filosofico, riproducendo in metafora quell’ambiente accademico napoletano che aveva dato illustri economisti e pensatori (da Vico a Galiani) così come tanti circoli di filosofia politica dove erano nate intuizioni intelligenti perse nel caos di un’Italia sbagliata, disunita e incapace di trovare convergenze e solidarietà davvero nazionali. In queste discussioni non concluse si può cogliere l’Italia delle cause e non degli effetti, quella che “parla e non risolve”.
Senza dimenticare D’Agostino e i suoi “filmati di costume”, uno su tutti quello (rigorosamente originale) di Antonio Tejero Molina e il suo colpo di Stato (definito da Arbore “il più scamusso della storia”), che ricorda tanto da vicino gli altrettanto sgangherati tentativi eversivi di De Lorenzo e Borghese. D’Agostino lega quel golpe alla condizione nietzschiana dell’individuo, ne fa un caso di manifestazione hegeliana vista da destra, che però degenera nella società dello spettacolo, in compagnia di J.R., Pippo Baudo e Gargamella. Altrove si parla di “edonismo reaganiano” come manifestazione esasperata dell’immagine, come ricerca di un facile appagamento estetico, riferendosi però a nuovi look, ma anche a cartoni animati, ad atteggiamenti velleitari, all’esaltazione di se stessi. Bisogna ricordare che nel 1985 fu pubblicato Less than Zero, romanzo di Bret Easton Ellis che in toni più drammatici giungeva alle stesse conclusioni. E ancora, se le considerazioni di D’Agostino possono sembrare intellettualmente sproporzionate ai soggetti, se ripensiamo alle problematiche (non soltanto la violenza) sollevate dalla “serie nella serie” Grattachecca & Fichetto ne I Simpson, troviamo lo stesso approccio. Arbore che ispira Matt Groening? Forse no, ma di fatto Arbore anticipa l’autore americano, e fece di Quelli della notte un trasmissione che captava il sentire dell’epoca.

35 ANNI DOPO RENZO ARBORE

Quelli della notte può essere considerato uno dei momenti migliori della televisione “sperimentale”, prodotta con l’intenzione di “andare oltre”, di offrire al pubblico una comicità che rompesse gli schemi ma potesse essere anche strumento di riflessione, con quell’ironia sottile e mai sopra le righe che è propria delle persone intelligenti. Un esempio su tutti: con due filmati di repertorio e tre frasi (nelle puntate del 13 e 14 maggio 1985, subito dopo le elezioni), Arbore riuscì a dare un’idea della pochezza di quella classe politica in maniera più incisiva di un editoriale del Corriere della Sera. E forse non fu un caso se la prima canzone richiesta “da casa” fu La società dei magnaccioni; a volerla prendere nel suo significato migliore, poche cose affratellano l’Italia quanto un bicchiere di vino. Se poi qualcuno, naturalmente per sbaglio, beve a spese degli altri… che farci. E poi, già lo spiegava la sigla: “ogni giorno è una lotta / chi sta sopra e chi sotta”.
35 anni dopo galleggiamo ancora nel brodo primordiale tanto caro a Pazzaglia, navighiamo a vista “fra l’acqua santa e l’acqua minerale”, come avrebbe detto Longanesi. Ma l’arte e la cultura ci saranno sempre, per cui di giorno si stenta, “ma la notte (forse) no”.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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