Fellini Degli Spiriti: Fellini intimo tra sogno ed esoterismo
Fellini degli spiriti è il documentario sul regista de La dolce vita a firma di Anselma Dell’Olio, in anteprima al Festival Il Cinema Ritrovato di Bologna. Un omaggio nel centenario dalla sua nascita che arriva in sala con Nexo Digital come evento dal 31 agosto al 2 settembre
Il lato intimo del grande regista, il mondo magico del suo “fantarealismo”. Fellini degli spiriti indaga l’animo di Federico Fellini pilastro della cinematografia italiana amata in tutto il mondo. Alla regia del documentario c’è Anselma dell’Olio. Un documentario realizzato in occasione dei 100 anni della nascita di Fellini, prodotto da Mad Entertainment con Rai Cinema in coproduzione con Walking the Dog, Arte e Rai Com e selezionato dal Festival di Cannes per Cannes Classics Sélection officielle 2020. Il film viene presentato in anteprima italiana il 23 agosto in Piazza Maggiore a Bologna come al festival Il Cinema Ritrovato per poi uscire nei cinema di tutta Italia distribuito come evento solo il 31 agosto, 1 e 2 settembre da Nexo Digital. Fellini degli spiriti si unisce a molte iniziative culturali che nel 2020 attraversano la penisola italiana in onore al grande regista. Fellini degli spiriti svela il lato intimo e spirituale del Maestro del cinema, raccontato attraverso documenti inediti e interviste, materiali d’archivio internazionali e di Rai Teche. L’interesse di Fellini per l’esoterismo non si limita alle consultazioni di tarocchi e sensitivi, si estende alla psicoanalisi e allo studio di altre dimensioni, sperimentando con il Prof. Gustavo Rol, conosciuto durante le riprese di Giulietta degli Spiriti. Uniti in vita e in “spirito”, Federico e Giulietta. Il documentario di Anselma Dell’Olio – già vincitrice del David di Donatello per La lucida follia di Marco Ferreri nel 2018 – ha già ricevuto numerosi consensi internazionali, con contratti di distribuzione mondiale in attesa di finalizzazione. Dell’Olio, voce autorevole, nota per la sua collaborazione professionale con Fellini, consegna al grande pubblico la scintilla magica dell’animo del regista, quella di cui è intrisa ogni sua pellicola, come l’ossigeno, che è ovunque, seppur nascosto alla vista. Ne abbiamo parlato con la regista.
Come nasce Fellini degli spiriti?
Fellini degli spiriti è finito nelle mie mani grazie al mio precedente film La lucida follia di Marco Ferreri, e a Luciano Stella e Maria Carolina Terzi della Mad Entertainment. Cercavano un regista per questo progetto, da loro pensato e voluto. Sono due persone sensibili e senza pregiudizi positivisti, aperte alla “sconosciutezza”, come chiamava Fellini il “non visto”. Mi sono sentita onorata di lavorare con loro: fare Fellini degli spiriti è un sogno che nemmeno sapevo di aver fatto per tutta la vita. Ho iniziato a lavorarci il primo gennaio del 2018 e abbiamo chiuso il film dopo il lockdown dovuto al Covid-19, a maggio 2020.
Quali processi ha comportato la sua lavorazione?
Ho studiato per un anno tutti e 23 film di Federico, più e più volte. Poi ho visto tutti i documentari rilevanti su Fellini in circolazione. Ero a New York nel 2019 e ho svaligiato la Criterion Collection e i Blu Ray con tutti gli extra, e ricomprato tutte le versioni italiane con i loro di extra. Ho setacciato anche il web per tutte le interviste, i video e i saggi su Fellini disponibili. C’era un mare di roba. Tornata in Italia ho setacciato Rai Teche e gli archivi di Istituto Cinecittà Luce.
Chi ti ha aiutato in questo lavoro serrato?
Nel settembre 2019 in Italia ho iniziato a rivedere tutto l’archivio e tutti i film con il mio formidabile collaboratore inglese, aiuto regista e montatore Stuart Mabey. Il faticosissimo lavoro di rintracciare i diritti (mondiali!) dei film e gli archivi stranieri è stato svolto da Maria Carolina Terzi e le sue assistenti. Alcuni film non abbiamo potuto usarli per questioni appunto di diritti. Stuart pensava – come tanti italianissimi “esperti di cinema” – che Fellini fosse tante cose scontate, tra cui spiccavano donne opulenti-oggetti sessuali: pura tossicità maschilista. Ho letto anche tantissima critica per capire fino in fondo quanto erano spesso riduttive e fuorvianti, tante letture dei suoi film.
E come è andata?
È stato un lavoro immenso, faticoso e assai divertente. È stato molto istruttivo. Senza Stuart non so come avrei fatto. Abbiamo riesaminato alla moviola tutti i 23 film e setacciato le agenzie fotografiche. A settembre 2019, si è mostrato il primo montaggio di quasi due ore ai produttori.
Come l’hai trovato?
Mi trovavo perfettamente d’accordo con le loro osservazioni, e con il fido Stuart abbiamo corretto il tiro, riducendo di venti minuti la lunghezza. Avevo molto presente la raccomandazione di Sidney Lumet: “Ricordati sempre quale film stai facendo”. Trovi tanto bel materiale di cui t’innamori quando fai un film del genere, poi ti accorgi che non appartiene al tuo racconto. Piangi e tagli.
A partire dallo Sceicco bianco si definisce lo stile onirico ed umoristico di Fellini, il fantarealismo. Da dove nasceva questa particolare attrazione del regista per il mondo dell’esoterismo e del sogno?
In realtà ci è nato, credo. Adoro Luci del varietà. Il suo primo film da regista e già interamente felliniano. Ironico, onirico e con esilaranti tocchi metafisici e surreali. Un fantarealismo spacciato (dai critici) per una sorta di opera “neo-realista”. Il co-regista Alberto Lattuada ha semplicemente dato i ciak. Il protagonista Checco (il magnifico Peppino De Filippo) vive in un sogno tutto suo, di essere un grande capocomico di razza, mentre la sua è una scalcagnata, splendidamente umana, troupe di un music hall assai provinciale. Basta sentire l’elenco delle “piazze” nel finale del film: Bisceglie, Trani, Barletta, Cerignola… Purtroppo è molto poco conosciuto e non l’ho potuto utilizzare.
Quello di Fellini era quindi un fantarealismo quasi naturale…
Il fantarealismo onirico, umoristico e metafisico sorgeva spontaneo in Fellini. Era un grande cantastorie anche nella vita. Il suo stupendo conversare – un eloquio inimitabile – produceva piccole sceneggiature: mentre parlava, “vedevi” il film. Trasformava la banalissima “realtà” in qualcosa che ti trasportava in altre dimensioni che ti aprivano gli occhi – non solo quelli esterni. Ascoltarlo era una gioia indescrivibile. Con la scelta delle sue interviste d’archivio ho cercato di fare almeno annusare questa sua capacità singolare.
Raccontaci di più a riguardo.
Chiedeva a tutti i loro sogni, e se volevi, ti raccontava i suoi: altri “film” magnifici. Leggeva nell’anima delle persone. Poi l’incontro con lo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard, l’unica persona che riconosceva come maestro, ha approfondito la sua conoscenza del mondo onirico, l’uso del I ching, i Tarocchi e li ha utilizzati da par suo. Era sempre stato un frequentatore di Medium, sensitivi, maghi, cartomanti di ogni risma. Sapeva distinguere tra quelli con uno spessore reale e i saltimbanchi. Amava l’Astrologia: lo considerava una sapienza (non una fede) molto precisa. Frequentare Bernhard e leggere Jung gli hanno dato il permesso o la spinta di volare nella sua arte.
Al Pacino ha recentemente dichiarato, in un’intervista per la Repubblica, di aver desiderato lavorare con Fellini, ma di essere stato rifiutato con simpatia e grazia. Oggigiorno, vorrebbe lavorare con Sorrentino. Trova che possa essere un causale accostamento o forse, in qualche modo, si potrebbe considerare Sorrentino come un erede del cinema “felliniano”?
Fellini non aveva padri, e non ha figli di alcun genere.
In un articolo del 2017 pubblicato su Il Foglio, Lei scrive: “Il cinema, si sa, è letteratura e sogno più politica, serpeggia come un incanto pedagogico nella società di massa, raccontarlo bene è un atto di storia sociale e di antropologia”. Come è stato lavorare con Federico Fellini?
Davvero ho scritto parole tanto auliche e pompose? Mi sembra fatta da un’aliena con il mio nome in un universo alternativo… Lavorare con Fellini è stata la vetta emotiva e psichica della mia vita professionale. E mi ha portato a fare il lavoro più inebriante che abbia conosciuto. Da lui non ho appreso “tecniche” ma spero di aver assorbito la sua capacità di essere nel momento, di catalizzare le energie di un’enorme troupe variegato su di lui e il suo lavoro erano una scuola senza pari. Si fidava sempre delle sue intuizioni. In particolare dai sogni. Era sempre disponibile a cambiare idea, rotta, convinzione. Era di una duttilità che ammiro e alla quale aspiro.
E quali aspetti della società italiana vi incuriosivano maggiormente?
Si fa prima a dire le cose che non lo/mi incuriosivano della vita, per esempio i passatempi: lo sport e simili svaghi (incluso il cinema visto solo per passare il tempo) e nemmeno la Politica con la P maiuscola. Quello che gli piaceva più di tutto, tranne il fare materialmente un film, era osservare la grande, sgangherata parata della vita. Era felice se una persona attesa arrivava in ritardo, o anche per nulla; un’ora improvvisamente libera e anarchica “come quando non arrivava la professoressa di matematica”: uno spazio inatteso di puro godimento.
Mina, parlando di Fellini, lo definì come “Il miracolo della grazia che talvolta si incarna in una precisa personalità artistica è quello che ci fa dire che Dio non si è dimenticato di noi. E la controprova del genio sta nel fatto che gli viene tutto facile (…). Come per Fellini che ha avuto il dono di una enorme facilità espressiva e in più si sentiva investito di quella felicità tipica dell’uomo che si accorge che l’immagine interiore aderisce perfettamente alla forma visiva. E noi, il pubblico, ne percepiamo immediatamente il valore e la grandezza”. Il lavoro di Fellini da cosa era guidato dalla “facilità espressiva” o, piuttosto, da un metodo, da una ricerca?
Bravissima Mina. Lei è infinitamente più acuta e precisa di tanti intellettuali e accademici “esperti”. Fellini prendeva le idee dappertutto e le sviluppava: dai libri, dagli studiosi, dai ricercatori (per Casanova e Satyricon più di altri). Ma essere filologicamente corretto non aveva la minima importanza per lui. Perché poi queste ricerche e studi lui li deformava, li plasmava in una cosa solo e soltanto sua. Se il suo genio dipendesse dal metodo, dal rigore, dalla ricerca, non sarebbe inimitabile come effettivamente è. La fantasia, i sogni, le immagini ipnagogiche avevano sempre il primato nella sua arte e direi anche nella sua vita.
L’icona de La dolce vita, Anita Ekberg, definendosi una donna “dai piedi piantati a terra”, ha criticato aspramente la passione di Fellini per il mondo dell’occulto. In qual misura l’esoterismo influenzava la vita del regista? Qual era il suo rapporto con le donne?
Troppo facile eliminarla come “attricetta svedesotta”. Anita Ekberg come Sigmund Freud; il secondo temeva “la nera ondata di fango dell’occultismo” come riferisce Jung nella sua autobiografia, descrivendo la sua rottura con il suo maestro. L’accostamento donne ed esoterismo mi sembra perfetto. Per Fellini, che citava spesso Jung in materia, e parecchio influenzato da Bernhard e il suo concetto della Grande Madre mediterranea, la donna comincia, dove per il maschio inizia la sua parte oscura, misteriosa, sconosciuta, fondamentale, inevitabile e dunque temibile. La donna è l’altro sé che però ti appartiene, in modo basilare e primitivo, pre-conscio più che inconscio. Mi pare di capire che per Fellini, che non concepiva un mondo, un film, una vita, che non avesse le donne in primissimo piano, come interesse principale, la Femmina era talmente vitale, indispensabile, da doverla provare a contenere con l’arte e con una forma di erotismo spesso postribolare, da spogliatoio. Era un italiano del suo periodo storico fatto e finito, ma con il dono visionario di sublimare l’oggetto del suo infinito desiderio in splendore universale.
E l’esoterismo in particolare?
Fellini (e io con lui) considerava poco interessanti, un po’ duri di comprendonio, coloro che disdegnano categoricamente il mistero che ci accompagna e ci circonda. Non aveva certezze Fellini; era pieno di dubbi. Era certissimo di non sapere, di non avere tutte le risposte sulla nostra esistenza. Cercare di afferrarne almeno un filo era il lavoro della sua vita.
Armani non ha mai nascosto il suo amore per il cinema, al punto da aver dato vita ad un “Laboratorio” cinematografico per i giovani, per preservare e tramandare il patrimonio del cinema italiano. Cosa distingue l’Italia dal resto del mondo, a suo avviso, e qual è l’eredità di Fellini?
Armani ha fatto male a limitarsi ai giovani. È un’occasione mancata particolarmente per le donne, che spesso – ci sono eccezioni, ovviamente – ci mettono parecchi anni a sentirsi sufficientemente sicure di sé per proporsi come registi, come colei che comanda. L’Italia si distingue in maniera innegabile per il suo patrimonio artistico-storico senza pari come qualità e quantità. L’eredità di Fellini sono i suoi film. Tutti i suoi film, senza eccezione alcuna. Nemmeno una. Punto.
– Elena Arzani
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