Venezia 77: Pieces of a Woman, un film sull’ineluttabilità della morte
La tragedia della morte della figlia neonata porta la relazione di una coppia a degradarsi irreparabilmente, affrontando in modi diversi la portata di un dolore inspiegabile. È il nuovo film di Kornél Mundruczó, presentato alla 77esima edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia.
Non ci sono parole per descrivere quale esperienza immersiva sia Pieces of a Woman del regista e sceneggiatore ungherese Kornél Mundruczó, in concorso alla 77esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, che con un piano sequenza iniziale di quasi trenta minuti di un travaglio e successivo parto, dove Vanessa Kirby regala una perfomance indimenticabile (non si può dire lo stesso purtroppo di Shia LaBeouf), ci introduce nella vita di una coppia che viene sconvolta dalla più terribile delle tragedie: la morte della figlia neonata. Il film, che è prodotto da Martin Scorsese e sceneggiato da Kata Wéber, racconta la storia di una coppia di Boston, Martha (Vanessa Kirby) e Sean Carson (Shia LaBeouf), e dello sfilacciarsi progressivo della loro relazione dopo quest’inspiegabile esperienza traumatica, che conferisce un senso di ineluttabilità alla morte, contro il quale i personaggi reagiscono in modi differenti: dalla fuga, alla ricerca di un colpevole o di un nuovo equilibrio. L’aspetto più interessante della narrazione è che facciamo esperienza delle emozioni che si agitano in Martha a partire principalmente dal suo corpo.
LA MORTE DELLA FIGLIA, IL CORPO DELLA DONNA, LA CRISI DELLA COPPIA
Dalla sequenza del parto iniziale, rumorosa, concitata, a tratti terribile nella sua manifestazione del dolore e girata quasi come un thriller, al distacco successivo fatto di silenzio, incedere quasi meccanico, difficoltà a lasciarsi sfiorare e a ritrovare una complicità sessuale, è sempre il corpo femminile il protagonista della comunicazione, di questo raggelamento ben simboleggiato dal paesaggio invernale: grigio, innevato, opaco. Il conflitto dalla coppia in breve tempo si estende alla famiglia, dove l’austera, dispotica ma anche umanamente sincera madre di Martha (Ellen Burstyn) vuole accusare e portare in tribunale l’ostetrica per negligenza, per trovare un colpevole esterno e sottrarre la figlia a quella colpa che in parte lei le attribuisce per aver scelto incautamente il parto casalingo, ma che soprattutto Martha non riesce ad affrontare, da cui non riesce a liberarsi.
FUGA, COLPA E ASSOLUZIONE
Così mentre Sean cerca rifugio nella cugina avvocatessa per placare il desiderio sessuale represso, i rifiuti della moglie, la frustrazione emotiva indotta dall’improvvisa estraneità e forse anche quel senso di inadeguatezza, prima sotteso e ora manifesto, per aver scelto come compagna una donna lontana dal suo mondo (Sean è un operaio specializzato mentre Martha proviene da una famiglia molto benestante), Martha comincia un percorso molto più lento di accettazione che, passando attraverso l’antagonismo con la madre, esplode nel pianto dell’aula di tribunale dove è lei ad assolvere l’ostetrica. Bellissimo il monologo con cui riconosce l’innocenza della donna, sostenendo l’inutilità di un passaggio di testimone nella colpa, richiamandosi al profondo valore della breve vita della figlia, che nessuno le avrebbe restituito, neanche la sofferenza provocata a un altro essere umano. Pieces of a Woman è un film dalla cui visione non si esce indenni. Un’opera di grande respiro, forse con qualche caduta di stile ma dove la modulazione emotiva è gestita con così grande maestria (soprattutto dalla sua interprete protagonista) che per questo motivo crediamo si meriti un riconoscimento ufficiale.
– Carlotta Petracci
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