Presentato al Torino Film Festival “Pino” il biopic sulla vita e sul mito di Pino Pascali
Un documentario fotografico e poliglotta che racconta un inedito Pino Pascali. Firma la regia del film Walter Fasano, artista di cinema che con il montaggio ha costruito i film più belli degli ultimi anni. Il viaggio di Pino inizia dal Torino Film Festival e andrà ben oltre.
Pino è il documentario diretto da Walter Fasano e prodotto dalla Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare per il 50esimo anniversario dalla morte dell’artista (Bari, 1935, Roma, 1968). Il film è stato presentato con grande successo alla 38esima edizione del Torino Film Festival, dove ha ricevuto il premio come Migliore Film della sezione Italiana.doc con la seguente motivazione: “Per la capacità di tradurre un lavoro su commissione in un’esplorazione creativa libera e personale. Coniugando il ritorno al luogo d’origine con il paradosso, l’anticonformismo, il gesto vulcanico di Pascali, il film trasporta lo spettatore in una dimensione in cui materiali d’archivio, parole e suoni sono presenze vive che aprono un dialogo tra artista e cineasta”. Abbiamo parlato del film con il regista e montatore Walter Fasano e con Giuseppe Teofilo, Presidente della Fondazione Museo Pino Pascali.
Come è avvenuto l’incontro con Walter Fasano e come è nata l’idea di affidargli la regia del film su Pino Pascali?
Giuseppe Teofilo: Con la Fondazione Pascali abbiamo acquisito i cinque Bachi da seta e un Bozzolo e per fare ciò abbiamo dovuto nominare una commissione tecnica che verificasse e accompagnasse l’opera in tutte le varie fasi, da Roma fino a Polignano a Mare. Tutta questa attività doveva essere documentata da fotografie e video; avevamo pensato di trovare un artista che facesse un’opera video, in modo tale da veicolarla poi nel sistema dell’arte. Ma in seguito ci siamo accorti che non era corretto rimanere nello stesso ambito dell’arte contemporanea, per cui abbiamo deciso di estendere il progetto al mondo cinematografico. Cercavamo un nome importante che facesse questo tipo di operazione e allo stesso tempo osasse, senza fare il solito documentario descrittivo. Abbiamo chiesto all’Apulia Film Commission di assisterci nella ricerca. Abbiamo passato al vaglio tanti nomi, prima di arrivare a Walter Fasano.
Come vi siete conosciuti?
GT: L’ho incontrato a una serata del Bif&st nel 2018. Non appena seduti, Walter mi ha subito sorpreso dicendo che voleva fare un film solo con le fotografie, mescolando fotografie antiche, di repertorio o di archivio, insieme a fotografie nuove che avrebbe fatto lui. Le fotografie vecchie sarebbero state restaurate e digitalizzate, le nuove sarebbero state antichizzate e trasformate in fotografie degli anni ‘60. Ho immediatamente immaginato un documentario sperimentale, fatto solo di immagini e questa cosa mi è molto piaciuta.
Un incontro fortunato…
GT: Sì, ho accettato subito che fosse Walter Fasano a fare il film su Pascali. E poi è successa una cosa straordinaria, completamente slegata dal nostro lavoro per il film. Ci è arrivata una donazione spontanea di Carla Ruta Lodolo, con sui stavamo collaborando per una mostra, che invece di prestare le fotografie ha regalato alla Fondazione tutto il suo archivio: 146 scatti quasi tutti inediti. Quando l’ho detto a Walter ne ha gioito! Voleva fare un film fotografico e aveva da quel momento a disposizione anche 146 fotografie di Pino Pascali. Poteva realizzare quindi un documentario con gli occhi dell’artista. Una cosa straordinaria!
Ci sono tanti modi di approcciare al documentario. Lei ha montato anche diversi capolavori di questo genere cinematografico: come mai per il suo film ha scelto proprio il racconto fotografico?
Walter Fasano: È stato frutto di un’intuizione, forse perché gran parte del materiale relativo all’attività di Pino Pascali è fotografico. Come diceva Bernardo Bertolucci, bisogna lasciare la porta aperta alla realtà quando si crea, quando si fa un film nello specifico. In questo caso è anche molto bello che il privato e le passioni personali riescano ad entrare nel lavoro. In quel periodo, in particolare, ho condotto una riflessione sui materiali d’archivio ispirandomi a film come La jetée di Chris Marker, un cortometraggio francese di fantascienza del 1962 integralmente composto da fotografie, ma anche a Hiroshima mon amour di Alain Resnais. Ho messo insieme tutti questi elementi e sono uscito dal mio impasse creativo.
D’altronde lo dicevano i latini, l’imitatio è fondamentale. C’è sempre qualcuno che ha fatto qualcosa prima di noi da cui poter attingere.
WF: Di questo sono convinto e lo confermano maestri assoluti, primo tra tutti Martin Scorsese. Penso che “rubare” sia una maniera intrigante di elaborare, studiare e far proprio qualcosa di bello fatto da altri. Forse la rivisitazione del materiale di archivio è di per sé un furto, è l’appropriazione e rielaborazione di qualcosa per farla diventare un elemento diverso. Mi riferisco alle foto di Pino Pascali, ma anche al film-opera SKMP2 di Luca Maria Patella e a Libro dei Santi di Roma eterna di Alfredo Leonardi, che sono presenti nel film.
Pino è inoltre un film poliglotta. L’arte deve sapere parlare a tutti. Come mai questa scelta in parte innovativa, soprattutto in Italia?
WF: Per ragioni professionali e geografiche, mi sono sempre trovato in un mondo in cui la babele di linguaggi è sempre stata all’ordine del giorno. Immaginavo sin dall’inizio una narratrice in lingua inglese, desideravo quel tipo di istituzionalità super partes. Poi è un po’ cambiato il progetto, si è arricchito con altre due lingue, il francese e l’italiano, con registri e funzioni diverse, è venuto tutto da sé.
GT: Secondo la mia lettura può esserci il francese in onore di Michelle Coudray, l’inglese perché Pascali è un artista internazionale e l’italiano perché tutte le attività legate all’acquisizione dei cinque Bachi erano in italiano e le parole stesse di Pascali lo sono. Walter Fasano ha mescolato tutto quanto e ha usato tre lingue che hanno creato un ritmo musicale molto bello all’interno del film.
In Italia credo si sia un po’ perso il valore della voce di un attore. Se chiudiamo gli occhi, pochissime sono le voci che riusciamo a riconoscere tra le nuove generazioni.
WF: Sono d’accordo. Negli anni ‘60 c’era questo proliferare di 45 giri di poesie recitate da attori famosi come Nando Gazzolo, Alberto Lupo, Vittorio Gassman. Per me, da montatore, è inevitabile lavorare sul suono e sulle voci come elemento importantissimo. Anche la costruzione di una battuta molto spesso è un’ibridazione di diversi ciak per ottenere un’esposizione perfetta o giusta, alle orecchie mie e del regista.
Cosa l’ha colpita dell’intensa vicenda umana e artistica di Pino Pascali?
WF: Questo aspetto di vita vissuta pericolosamente in ogni senso. Una vita terminata presto e in modo innaturale è sempre frutto di riflessioni istintive e profonde: è un grandissimo mistero, quello della scomparsa di una persona giovane, soprattutto nel caso di Pino, pronto per il suo successo internazionale. Pascali è sempre stato rappresentato come geniale, spiritoso, bravissimo artigiano. In alcune interviste ci sono affermazioni che suonano evocative ma non completamente risolte. Invece, andando a scavare, è evidente che avesse un sistema poetico e riferimenti estetici molto precisi: ha cominciato a muoversi nei territori della Pop Art superandoli dopo aver visto la Biennale del ’64, in cui trionfarono gli artisti americani. Immediatamente, cercando di capire quale fosse il meccanismo e il senso di un’operazione di quel tipo, comprese che in Italia non aveva senso quel tipo di lavoro. Capì i codici della Pop Art ma li applicò a modo suo, con grandissimo intuito e coscienza.
Il suo film è stato premiato al Torino Film Festival. Pino continuerà il percorso?
WF: Ci sono varie possibilità. Chiaramente è un momento particolare per i festival in versione online e credo che tutti stiano cercando di trovare il senso di normalità in un percorso che un tempo era molto codificato. Se mi avesse fatto questa domanda due anni fa avrei potuto immaginare una serie di inviti, avremmo girato il mondo insieme a questo piccolo film. In questo momento, purtroppo, i festival non hanno molto chiaro che cosa ne sarà di loro; hanno necessità di reinventarsi. Mi auguro che Pino abbia una vita lunga, vorrei che la figura di Pascali possa essere conosciuta da tutti e che questo piccolo film d’arte possa essere considerato un’opera cinematografica a tutti gli effetti.
GT: Il nostro intento sin da subito era quello di veicolare il documentario all’interno di festival cinematografici. Quando ci hanno selezionato per il Torino Film Festival eravamo felicissimi, un obiettivo raggiunto. È però un film dalla doppia vita: sia per accedere ai festival cinematografici che per entrare all’interno dei musei come vera opera d’arte.
–Margherita Bordino
https://www.museopinopascali.it/
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