Il cinema spirituale. Intervista a Gianluca Arnone, direttore del Tertio Millennio Film Festival
La manifestazione che usa il cinema come strumento per un dialogo interculturale e tra religioni è giunta alla ventiquattresima edizione. L’intervista
Si è svolta su MYmovies.it la XXIV edizione del Tertio Millennio Film Festival, il festival del dialogo interculturale e interreligioso organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. Abbiamo intervistato Gianluca Arnone, direttore artistico insieme a Marina Sanna, per farci raccontare qualcosa di più sulla sua nascita, sull’importante tema di quest’anno “Vita Nuova” e su alcuni film che hanno avuto il particolare merito di risollevare le nostre coscienze su argomenti pregnanti come la Memoria e il Sacro, facendoci riflettere sulla necessità del cosiddetto “cinema spirituale”.
Il Tertio Millennio Film Festival è giunto alla XXIV edizione. Come, quando e perché è nato?
Il festival nasce ufficialmente nel 1997, per volontà di Papa Giovanni Paolo II che, pochi sanno, fu attore e drammaturgo, nel periodo precedente alla scelta di diventare sacerdote e pochi anni più tardi venne istituito dalla Santa Sede anche il Premio Robert Bresson (1999), conferito a quei registi di fama mondiale che si fossero distinti per il valore delle loro opere e per la capacità di affrontare tematiche di natura spirituale. Il Tertio Millennio si pone lo stesso obiettivo: andare alla ricerca di film non solo belli ma che manifestino una forte aspirazione nell’indagare i conflitti spirituali dell’uomo moderno e contemporaneo. Inizialmente era un festival di vetrina, che proponeva opere non necessariamente inedite in Italia ma che avessero questo tratto comune di interrogare l’essere umano sul senso ultimo delle cose o comunque, senza irrigidire troppo la visione, di stimolare un certo tipo di riflessioni. Nel 2012-13 quando sono subentrato nella direzione artistica insieme a Marina Sanna abbiamo cominciato a ragionare sull’introduzione di un concorso.
Quando ha preso la forma del Festival interculturale e interreligioso?
Nel 2015, dopo gli attentati al Bataclan, il dibattito sullo scontro di civiltà era diventato particolarmente acceso e sentito all’interno della comunità cattolica e del Vaticano. Inoltre Papa Francesco aveva fatto alcune dichiarazioni sull’ecumenismo e sul dialogo interreligioso, rapidamente colte dall’allora Presidente dell’Ente dello Spettacolo, che decise di abbracciare questa voglia di unione dando al festival una direzione interreligiosa. Ad essere invitate a farne parte furono per prime la comunità ebraica e mussulmana (il festival inizialmente era sostenuto dalle tre religioni abramitiche: cristiana, mussulmana, ebraica), successivamente l’invito fu esteso ad altre comunità, come gli ortodossi e la chiesa valdese. La naturale evoluzione è stata non circoscriverlo più alle sole religioni monoteiste, bensì conferirgli una dimensione universale. Si è giunti così all’assetto attuale, non definitivo, e che mi piacerebbe riportare in parte allo spirito delle origini, quindi più orientato ad un “cinema spirituale” e di ricerca.
Cosa intendi per “cinema spirituale”? Da alcuni film, come This is not a burial, It’s a resurrection, emerge una visione anche socio-antropologica della religione. Un’esperienza che funge da collante comunitario prima di ogni istituzionalizzazione.
Aggiungerei al film che hai citato Liborio, in entrambi i casi si parla di manifestazioni sincretiche di esperienze religiose, che non sono riconducibili a una confessione tout court. Ci sono elementi del Cristianesimo tanto quanto animisti, molto legati alla cultura locale, autoctoni. Questa commistione è ciò che intendo per “spirituale”, quel movimento primo, che è l’apertura dell’Uomo alle verità più profonde del proprio Essere. Non la psicanalisi, che è un modo di indagare i meccanismi con cui agiamo e pensiamo, bensì il tentativo di connettere ciò che c’è di più profondo nell’Uomo con ciò che c’è di più profondo e di misterioso nella vita in generale.
Tenendo fermo quanto dici, come avvengono le selezioni?
Quando selezioniamo i film prestiamo attenzione sempre a due aspetti: prima di tutto che il film sia bello, perché dove c’è Estetica c’è tutto il resto, c’è una ricerca della Bellezza, della Forma, dell’Armonia o della disarmonia ma che sia comunque armonica, quindi una connessione con qualcosa che non è prettamente tangibile, poi che siano film capaci di parlare a tutte le culture e religioni. Dal nostro punto di vista l’elemento che riesce a far sedere attorno a un tavolo persone con background differenti è questa ricerca di ciò che ci accomuna nel profondo. Una ricerca che ci ricorda che il nostro essere al mondo è una domanda.
L’edizione di quest’anno si intitola “Vita Nuova”. Che cosa intendete con questo concetto? Suppongo non sia riconducibile solo all’esperienza della pandemia.
Esattamente, va oltre. È un concetto che non va confuso con la ripartenza. La Vita Nuova c’è adesso e c’era anche prima. Si tratta di prendere coscienza, chi più chi meno, che un cambiamento profondo, forse anche antropologico, è in atto. Questo cambiamento nelle nostre abitudini, negli stili di vita, esteriore, ha delle ricadute anche sulla nostra interiorità. Produrrà un orizzonte di senso diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati, ma non è merito della pandemia che l’ha accelerato e imposto come tema. È un processo che è cominciato probabilmente con la caduta del muro di Berlino. È la trasformazione dell’Uomo innanzitutto, anche se parliamo di transizione ecologica, di nuovi modelli di sostenibilità, di tutti questi temi molto attuali, ad andare in crisi è l’idea di Uomo.
Quindi?
Quindi più che la crisi sanitaria è la crisi degli intellettuali, la crisi del pensiero, che rende manifesta la difficoltà di ripensare il genere umano, l’essere umano e tutto ciò che riguarda la sua esistenza quotidiana: modelli politici, sociali, culturali, pedagogici, relazionali e anche tecnologici. La tecnologia in particolare è un campo pervasivo, ma fuori controllo. Nel senso che non abbiamo ancora sviluppato un pensiero su come gestire la nostra vita nel tempo tecnologico. Secondo me questa è la crisi dell’Umanesimo, che è cominciata con l’Umanesimo stesso e che è esplosa con la fine del blocco tra i due mondi, con lo scongelamento dei due schieramenti: il Capitalismo da una parte e il Comunismo dall’altra. Adesso la chiamiamo pandemia, però prima l’abbiamo identificata con i mutui subprime, con l’11 settembre, ma fondamentalmente fa tutto parte dello stesso processo di trasformazione.
Tra le folgorazioni c’è senza dubbio Oylem, con la sua capacità di ricordarci il potere e l’importanza della parola.
Oylem è un film incredibile, che parla della memoria attraverso la parola. Recuperare una lingua, recuperare la parola significa per il suo autore recuperare un mondo, nel senso di rinascere e rivivere. Oggi c’è un grande impoverimento linguistico, che è senza dubbio alla base di quello culturale. Se il primo passo per il recupero della memoria è quello della parola, il secondo però è questa scommessa straordinaria di raccontare la Shoah senza gli ebrei e senza i nazisti. L’ho trovato molto suggestivo, capace di rinviare quasi ad un immaginario distopico, anche se non c’è distopia. C’è al contrario un’elegia, un reincanto, poesia, vita. È un film pieno di vita nonostante sia un film sull’assenza.
Il Sacro è un altro tema centrale, che spesso viene confuso col religioso.
Il Sacro è il rispetto del Mistero della Vita. È un rispetto arcaico, ancestrale. Quando viene meno, l’essere umano muore.
Ci abbiamo rinunciato da tempo, mi pare.
Infatti stiamo rinunciando all’umano. Ci stiamo trasformando in consumatori o se vuoi, come diceva Umberto Eco, in Apocalittici. Non c’è più un’esperienza complessa dell’essere umano al di fuori di questo dualismo. Viene a mancare quel rispetto del Mistero della Vita, dell’Esserci, che è ciò che ci rende umani. Non voglio però trasferire una visione critica in senso negativo o punitivo, è semplicemente un dato di fatto.
–Carlotta Petracci
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