Hulston la nuova serie di Netflix
Un ruolo complicato quello di Ewan McGregor che nella miniserie appena atterrata su Netflix interpreta il sarto americano Roy Halston Frowick
Un ruolo complicato quello di Ewan McGregor che nella miniserie appena atterrata su Netflix interpreta Roy Halston Frowick il sarto americano che ha interpretato – a sua volta – per tutta la vita qualcuno altro. Quando Ewan McGregor era un ragazzino in Scozia negli anni ’70, a 3200 miglia di distanza in una residenza della 63esima Strada Est a Manhattan Halston viveva utilizzando una dieta di patate al forno e caviale beluga, vodka Stolichnaya ghiacciata, ragazzi in affitto e cumuli di cocaina ammucchiati nei posacenere d’argento di Elsa Peretti, sua musa (inutilmente) innamorata di lui. Viveva insomma insieme a “una banda di checche, svitati e ragazze non ancora cresciute” (parole sue). Era un ispirato poseur Halston, cresciuto nello stato dell’ Indiana arrivato a Manhattan come modista di cappelli (suo quello calcato in tesata a Jacqueline Kennedy per la cerimonia di insediamento di J.F.K.) e poi divenuto il couturier più famoso d’America. Pettinatissimo con i capelli tirarti all’indietro, con il volto spalmato di bronzer Guerlain, “indossava” grandi occhiali da sole, spesso un dolcevita nero e un affettato accento Upper East Side.
RIPENSANDO ALLO STUDIO 54
La nuova serie di Netflix lo pone al centro di un’era selvaggia e tragica per New York. Quella dello Studio 54 con i suoi sballi a volte letali e la pletora di marchettari di ogni genere e tipo che frequentava il suo seminterrato. Il racconto si fa interessante quando illustra la battaglia che da sempre infuria tra gli interessi economici e quelli creativi in ogni settore in cui l’arte incontra il commercio: per il regista Ryan Murphy l’idea che il business uccida la creatività è un tropo: il “visionario” che preferisce l’espressione al guadagno è antitetico alla logica del conglomerato finanziario, quello che premia innanzitutto le strategie di franchising. Il lato oscuro di questa serie non si annida nella quantità di droghe che lo stilista ha assunto (anche se, pare sia stato sbalorditivo), nella quantità di denaro che ha speso in orchidee o nella sua isteria urlante. Il cattivo assoluto qui è il primo finanziatore che instupidisce il designer con le sue promesse di espansione illimitata, convincendolo a vendere il suo nome in cambio di una gabbia d’oro. Intrappolato nel lusso e nella sua megalomania Hulston scivola lungo il pendio che lo porta inesorabilmente da Bergdorf Goodman, lo store più raffinato di New York giù, sempre più già verso la grande diffusione dei magazzini J.C. Penny dove finirà per firmare prima l’immancabile profumo, e poi bagagli, occhiali da sole, lenzuola, moquette, parrucche, calzini … qualsiasi cosa gli viene chiesto. Lo fa inoltre sull’onda di un grande malinteso: la convinzione che il marchio e la persona fisica del designer non potevano essere separati.
HE LOST CONTROL
Un peccato di presunzione di cui è stato forse la prima vittima, ma di certo non l’ultima. L’elenco incompleto di designer che dopo di lui hanno perso il controllo del loro nome include Hervé Léger, che ha tentato un ritorno infruttuoso come Hervé Leroux; Roland Mouret, che è diventato brevemente RM2 prima di riacquistare finalmente il suo marchio; lo straordinario John Galliano, che attualmente disegna per Maison Margiela mentre qualcun altro (a turno) crea John Galliano. Con Martin Margiela, il fondatore della Maison del resto ancora in circolazione nel suo Belgio, esattamente come l’austriaco Helmut Lang, esattamente come Jil Sander nella loro Austria… La scelta che porta Hulston alla distruzione è la stessa che devono oggi affrontare la maggior parte dei designer. Per poter crescere a livello globale un designer attualmente deve dare l’assenso a più estensioni di marca; dare il via a collaborazioni in edizione limitata con marchi di massa, spesso sportivi e specializzati in sneaker; entrare a far parte di conglomerate del lusso. ED è intorno a questo nocciolo che Ryan Murphy sviluppa il suo racconto avvolgendolo però delle crisi del protagonista esasperate apposta per il binge-watching. Il che è un peccato perché il sogno del couturier Halston era quello di un’elegante liberazione da una macchina vestito (Cristobal Balenciaga, Christian Dior, Bill Blass, lo stesso Oscar della Renta) sino allora decisamente costrittiva per qualsiasi donna. Il genio di Halston è stato quello di prendere i valori dell’abbigliamento sportivo e portarli al livello della couture. E’ stato capace di disegnare abiti tagliati con una singola cucitura.
LA MINISERIE NETFLIX
La mini serie di Netflix ha dalla sua l’eco della prossima mostra di costumi del Met incentrata sugli stilisti americani e i suoi abiti saranno presenti in entrambe le sue parti. C’è poi l’influenza di Tom Ford, presidente del Council of Fashion Designers of America e presidente onorario del suddetto Met Gala, che ha spesso nominato Halston come una dei suoi ispiratori. Ford ha di recente persino acquistato l’ex residenza cittadina del designer – perfettamente ricreata in tutta la sua gloria minimalista – nella serie di Netflix e la sta restaurando. Halston ha vestito oltre a Jackie Kennedy ed Elsa Peerretti anche Lee Radziwill, Lauren Bacall e Liza Minelli, utilizzandone al meglio il glamour. Qualcuno lo ha paragonato Hulston a Cole Porter, anche lui dell’Indiana: hanno preso Manhattan e hanno definito la café society nelle rispettive generazioni. Entrambi gay, entrambi bellissimi, entrambi pronti a tutto per realizzare i loro sogni cosmopoliti. Il personaggio di Hulston disegnato a partire dalla biografia di Steven Gaines Simply Halston è davvero complesso, e difatti il bellissimo Ewan Mc Gregor riesce a renderlo credibile solo a tratti, tutto sommato pochini…
–Aldo Premoli
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