Jean Giono e il lago di Serre Ponçon. Una storia da non perdere
Sessant’anni fa veniva completato il bacino artificiale sulla Durance, creato per irrigare i campi della Provenza. Un progetto epocale che fu ispiratore di film e canzoni
Nel maggio del 1961, sessant’anni fa precisi, veniva completato il progetto di Serre Ponçon col riempimento del grande lago artificiale creato per regolare il corso della Durance e irrigare i campi della Provenza. Siamo appena oltre il confine italiano e da oltre mezzo secolo il grande bacino d’acqua – il terzo più grande d’Europa – accompagna per un lungo tratto chi, superato il Monginevro da Briançon scende lungo la N94 in direzione di Aix-en-Provence, Avignone e Marsiglia.
LA MODERNITÀ IRROMPE SUL BRIANÇONNAIS
La creazione del lago comportò lo spostamento delle popolazioni che risiedevano in quella parte della valle e la distruzione dei villaggi di Savines e di Ubaye. Solo il primo venne ricostruito più in alto e oggi, con il nome di Savines-le-Lac, è il centro delle tante attività sportive e turistiche che si svolgono in zona. In un angolo del lago, su un’isoletta, sopravvive la cappella di Saint-Michel, edificata nel XII secolo e poi ricostruita nel XVII, dopo le distruzioni apportate dall’esercito del Duca di Savoia. Unica testimonianza di un mondo sommerso dalle acque.
La costruzione del barrage fu un’irruzione drammatica della modernità nelle valli dei dipartimenti delle Hautes-Alpes e delle Alpes-de-Haute-Provence, in un contesto sociale ancora legato alle tradizioni contadine e alla transumanza. Con qualche polemica tra i fautori del progresso e chi, legato a quel mondo pastorale, sollevava dubbi di carattere ambientale e culturale.
IL FILM COMMISSIONATO A JEAN GIONO
Forse per prevenire possibili contestazioni e per comunicare in positivo l’impresa in corso, nel 1955 l’EDF – la società elettrica francese che stava realizzando la diga – commissionò a Jean Giono la sceneggiatura di un film che doveva avere come scenario i lavori di costruzione dell’invaso. L’autore de L’ussaro sul tetto era considerato il cantore lirico dell’Alta Provenza, ma nei dialoghi che scrive per L’eau vive, questo il titolo del film, riprende solo in parte e con accenti meno forti i temi antimodernisti dell’insofferenza del mondo rurale verso il progresso tecnico che avevano caratterizzato alcuni sui testi d’anteguerra: Le poid du ciel, Lettre aux paysans sur la pauvreté et la paix, Recherche de la pureté.
Il film, affidato al regista François Villiers, venne presentato in concorso a Cannes nel 1958 ma non fu distribuito in Italia, pur avendo vinto un Golden Globe come miglior film straniero. Protagonista è Hortense, interpretata da Pascale Audret, una giovane rimasta orfana del padre, proprietario terriero, che riceve trenta milioni di franchi di indennizzo per le terre espropriate in previsione della costruzione della diga. I paesani rapaci e rozzi cercano di appropriarsi del malloppo, ma la bella Hortense non è così sprovveduta e, con l’aiuto dello zio buono, il dramma trova l’happy end. Il ruolo di Giono non si limita ai dialoghi: alcuni spezzoni dell’INA – Institut National de l’Audiovisuel ce lo mostrano sul set, quasi un regista aggiunto, a dirigere gli attori, a suggerire inquadrature.
GIONO ECOLOGISTA DELLA PRIMA ORA
Lo scrittore di Manosque aveva già una lunga consuetudine con il cinema. Fin dagli Anni Trenta era stato un collaboratore di Marcel Pagnol. Insieme avevano firmato molte sceneggiature, tratte da romanzi dello stesso Giono: Jofroi, Angèle, La vita trionfa, La moglie del fornaio, con i ruoli da protagonista affidati a Raimu e Fernandel. Un cinema dall’accento fortemente provenzale: Fernandel era un marsigliese doc, Pagnol era nato nella vicina Aubagne e Giono portava in dote lo spirito libero dei territori lungo il corso della Durance, allora ancora un fiume non imbrigliato, ma soggetto a piene disastrose o a secche altrettanto perniciose per l’agricoltura.
A oltre sessant’anni dall’uscita nelle sale, L’eau vive, più che per la trama, continua ad avere un suo interesse nella capacità di rendere sullo schermo i grandi paesaggi delle Alpi del Sud che si fondono con quelli, grandiosi, dell’Alta Provenza. Scenari naturali che sono lo sfondo di tante pagine dello scrittore di origini piemontesi. Anticipando le tematiche ambientaliste, Giono scrive nel ’53 L’uomo che piantava gli alberi, un breve racconto diventato una bandiera del pensiero ecologista. Ne è testimonianza il cortometraggio d’animazione con lo stesso titolo realizzato nel 1987 dal canadese Frédéric Back, che continua a essere proiettato e applaudito ai festival.
IL SUCCESSO DELLA COLONNA SONORA DI GUY BÉART
L’eau vive, per parte sua, fu ben accolto dal pubblico (4 milioni di spettatori e ottavo film per incassi nel 1958 in Francia) e persino Truffaut e Godard lo recensirono positivamente. Ma il botto arrivò dalla colonna sonora scritta dallo chansonnier Guy Béart, il padre di Emmanuelle, l’attrice protagonista di Un cuore in inverno, Mission: Impossible e tante altre pellicole. La canzone che porta lo stesso nome del film ebbe un enorme successo, tanto da diventare immediatamente una berceuse, la ninna nanna che le mamme francesi dell’epoca cominciarono a cantare ai loro bambini: Ma petite est comme l’eau. Elle est comme l’eau vive. Elle court comme un ruisseau, que les enfants poursuivent… Una semplice melodia che è diventata un classico della musica popolare francese.
– Dario Bragaglia
François Villiers – L’eau vive
Francia, 1958, b/n, 96′
Sceneggiatura di Jean Giono e Alain Allioux
Musiche di Guy Béart
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati