The Velvet Underground, il documentario di Haynes come avanguardia pura

Un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dell’essenza più rivoluzionaria e anticonformista dei mitici Velvet Underground. Un documentario firmato da Todd Haynes, maestro nel costruire cinematograficamente diverse stanze delle meraviglia dove l’arte sperimentale trova sempre spazio.

Con Carol nel 2015 e con Wonderstruck nel 2017 il regista Todd Haynes ha affascinato con la sua poetica il Festival di Cannes. Fa ritorno sulla Croisette nell’edizione 74, quella della ripartenza, con un documentario sui Velvet Underground. Un film che è vera espressione ed essenza dell’arte, che gioca con lo schermo dividendolo in tasselli e più colori. Si susseguono interviste a personaggi chiave di quell’era così come documenti inediti e immagini live mai viste, e insieme a questo, come grande chicca, una ricca collezione di registrazioni, pellicole di Andy Warhol, interessante sguardo di sperimentazione e unione con la band. A detenere i diritti mondiali del film The Velvet Underground è Apple mentre la Universal Music Group è stata a pensare al progetto e a cercare Haynes che in una intervista a Screendaily racconta: “ho iniziato con una serie di regole o limitazioni per concentrarmi su ciò che non avevo visto o letto sui Velvet Underground. Volevo riportarci indietro nel tempo e nello spazio intervistando le persone che erano lì. Volevo fare affidamento sul film d’avanguardia per avere un linguaggio visivo che supportasse questa esperienza in modo da fare sentire lo spettatore in un modo nuovo. L’altra cosa per me fondamentale era guardare l’arte di New York degli anni ’60, i Velvet, il modo in cui erano anticonformisti e si sentivano veri outsider la cui musica. C’è chi con la loro musica, ascoltandola la prima volta, si è spaventato”.

DA TODD HAYNES SPERAVAMO MEGLIO

Come scriveva Baudelaire, “music fathoms the sky”. Con queste parole Todd Haynes apre il suo documentario, il primo, dedicato alla band che sul finire degli anni 60 ha cambiato il modo di fare musica accostando a questa l’arte sperimentale nel suo complesso e totale. Un documentario che propone alcuni dei pezzi più preziosi e importanti dei Velvet Underground come “Heroin,” “Venus in Furs,” “Black Angels Death Song,” “There She Goes Again,” “I’m Waiting For The Man”, “Sunday Morning” e molto altro ancora. Attenzione, questo documentario non è un concerto, anzi si tiene ben lontano dall’esserlo. Si rivolge a un pubblico di un certo livello culturale, conoscitore di un preciso momento musicale e artistico quello che ha reso grande la 42esima strada di New York per oltre un decennio. The Velvet Underground è un documentario però scivoloso, lento, a tratti noioso. Era tra i film già attesi qui a Cannes e forse da Haynes ci si aspettava di più. Forse una lettura più personale. Invece ci si trova di fronte a un excursus lineare che racconta un arco temporale senza troppo delineare una chiave succulenta.

RIVOLUZIONARI INSIEME A WARHOL

I Velvet Underground rappresentano un’epoca. La band, attiva dal 1965, nel 1966, guidata dal manager, produttore, amico Andy Warhol, inventa il primo spettacolo multimediale della storia, l’Exploding Plastic Inevitable Show, per presentare live l’album destinato a essere il migliore di quegli anni (o forse di sempre per quanto riguarda il rock). Per Warhol, i Velvet Underground erano capaci di fare in musica quello che lui faceva con i suoi film, con la sua arte. Avevano quindi una perfetta connessione mentale e artistica. Un sodalizio che sin dal principio era destinato ad essere vincente. La copertina del loro album di debutto è stata infatti disegnata dallo stesso Warhol. Una copertina divenuta icona rivoluzionaria, quella con la banana, anche se l’originale era leggermente diversa da come la conosciamo oggi. Infatti, la buccia era adesiva e si poteva staccare, rivelando una banana di colore rosa, al di sotto, con una evidente ed esplicita allusione sessuale. Il tutto accompagnato dalla scritta “Peel slowly and see”, sbucciare lentamente e vedere. Un inno alla libertà di essere, divenire e costruire che ha reso i Velvet Underground provocanti, interessanti, sempre più creativi e stimolanti.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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