“Massimo, mio fratello”. Intervista a Rosaria Troisi
A Napoli c'è una mostra che racconta la storia di uno degli attori più amati del nostro cinema. Ne abbiamo parlato con Rosaria Troisi in questa intervista infinitamente generosa. Per farci raccontare com'era, davvero, l'attore de “Il postino”.
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve!”. Così Massimo Troisi (San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – 4 giugno 1994) nei panni di Mario Ruoppolo nel film Il postino, l’ultima fatica cinematografica dell’attore napoletano in cui ogni scena, ogni parola sussurrata si fa metafora per raccontare cos’è la poesia. Dopo il successo a Roma al Teatro dei Dioscuri nel 2019, la mostra Troisi poeta Massimo al Castel dell’Ovo a Napoli è un viaggio nella vita artistica e privata dell’attore scomparso prematuramente circa trent’anni fa a Roma, poche ore dopo la fine delle riprese del film.
LA MOSTRA A NAPOLI
Promossa e organizzata dall’Istituto Luce-Cinecittà, la mostra – a cura di Nevio De Pascalis e Marco Dionisi con la supervisione del nipote dell’attore Stefano Veneruso – è suddivisa in cinque ambienti e ciascuno presenta al pubblico l’infanzia e alcuni momenti privati vissuti a San Giorgio a Cremano, dagli esordi con il gruppo La smorfia con Enzo Decaro e Lello Arena al Centro Teatro Spazio nella città di origine, fino ad arrivare al film Il postino, Premio Oscar 1996 come Miglior Colonna Sonora a Luis Enrique Bacalov, passando tra gli altri per Ricomincio da tre, Il viaggio di Capitan Fracassa, Scusate il ritardo e Pensavo fosse amore invece era un calesse.
Dai premi vinti come il Nastro d’Argento e il David di Donatello ai costumi di scena di Non ci resta che piangere con Roberto Benigni, la mostra è un percorso espositivo tra video, fotografie e ricordi tra gli altri con Pino Daniele, Gianni Minà, Maradona, Carlo Verdone e Anna Pavignano. In questa occasione la mostra si arricchisce di ulteriori testimonianze per raccontare sì la carriera di uno dei più grandi attori e registi del nostro tempo, ma soprattutto la vita di una persona dall’animo gentile, umile e malinconico che, con parole mai scontate, a modo suo, ha saputo denunciare con sottile ironia fatti di attualità coinvolgendo negli anni, senza intermediari, un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo.
Senza mai cadere nella trappola della polemica, nella sua spontaneità, Troisi ci ha lasciato un patrimonio artistico senza precedenti, ma soprattutto umano attraverso quelle parole, quelle battute non solo dei suoi film, che ancora oggi ritornano nei nostri dialoghi quotidiani come se nulla fosse andato, come se niente fosse cambiato. Perché tutto, in qualche modo, sempre ritorna. Raccontare il profilo privato di Massimo Troisi non è semplice e proprio per questo, Rosaria, una delle sue sorelle, ci racconta la “leggerezza troisiana”.
L’INTERVISTA A ROSARIA TROISI
Chi era Massimo Troisi?
Era uno che, partito da San Giorgio a Cremano con una salute fragile, da una famiglia semplice, umile e onesta, non amava molto la scuola. Massimo ormai ha attraversato l’Oceano, quindi è diventato di tutti. A Los Angeles, quando hanno letto il mio passaporto, mi hanno chiesto: “The Postman?”. È qualcosa che ti lascia senza parole! Non ce ne sono per definire quello che è successo nella nostra famiglia. Non avevamo molto, ma siamo cresciuti innamorati, abbracciati e man mano quelle scintille sono diventate fiammelle e siamo rimasti non illuminati, ma folgorati!
Insomma, una grande conquista!
Dopo le esibizioni che sono partite dall’oratorio e dal Centro Teatro Spazio, noi siamo rimasti sempre un passo “indietro”, non ci siamo mai “presentati” e, quando è successo, lo abbiamo fatto in punta di piedi. Quando Massimo si esibiva nei teatri, come il San Ferdinando a Napoli, vedevamo quell’atmosfera delle serate di Eduardo De Filippo con quelle stesse luci accese e quella gente così desiderosa di ascoltarlo… Una volta, quando finì lo spettacolo, chiesi a mio padre di avvicinarci, e lui: “No, lass’oji, chillo adda ra cunto a tanta ggente”.
Non voleva disturbare Massimo?
Sì, per non disturbare quel momento suo. Qualsiasi cosa facevi, per mio padre perdevamo sempre tempo! Massimo giocava bene a calcio, infatti, se gli chiedevi cosa vuoi fare, l’attore o il calciatore, ti rispondeva: “Voglio giocare a pallone!”. Quindi, quando Massimo incominciò ad andare a La Chansonne a Roma e poi in televisione, mio padre diceva: “Ha pigliato ‘o posto!”, perché sapeva fare qualcosa, aveva una professione, anche se non aveva ancora compreso pienamente il grande successo, perché non considerava la gloria o il personaggio.
L’AMORE DEI GIOVANI PER MASSIMO TROISI
Quale ricordo di Massimo conservi con grande affetto?
Lui diceva cose che ti facevano innamorare. Una volta mi raccontò quando presentò Ricomincio da tre in Spagna e, osservando la sala, si chiedeva se ce l’avrebbe fatta con tutta quella gente. Quando finì la proiezione ci fu un grande applauso e tutti si complimentarono con lui. Oppure, quando gli chiedevano come era lavorare con Marcello Mastroianni, rispondeva: “All’inizio lui è stato un po’ in soggezione con me, ma poi si è sciolto”. Mio fratello era una persona mite, timida, che è riuscita a unire tutti quanti con i suoi concetti portati avanti con leggerezza, si potrebbe dire con “leggerezza troisiana”, una filosofia di vita! Non mi piace pensarlo triste, ma una effervescenza come succede con i ragazzi che incontro nelle scuole. È bello quando tra loro si alza qualcuno che per la timidezza mi ricorda Massimo e gli dico: “Vieni vicino a me, cosa vuoi dirmi?”.
Cosa ne pensi del fatto che Massimo sia così tanto amato ancora oggi, anche dalle nuove generazioni?
La mia platea preferita è quella dei ragazzi, perché Massimo è un modello positivo che mette allegria. Se dico che lui ha frequentato tre volte la seconda media e dopo pochi anni è diventato il fenomeno del cinema italiano, dico sempre “non preoccupatevi se non riuscite a risolvere un problema o se vi viene la sindrome del foglio bianco perché non riuscite a scrivere qualcosa, pensate a Massimo quello che poi è diventato. Quindi è la vostra interiorità che deve avere sussulto perché significa che c’è la passione, e pregate sempre che vi accompagni per tutta la vita perché prima o poi vi porterà a qualcosa, magari proprio dove volete voi. All’improvviso!”.
Ricordi qualche aneddoto in particolare?
Un ragazzo una volta mi disse: “La settimana scorsa abbiamo visto ’Il postino’ e mi sono innamorato della poesia”. Cos’altro c’è da aggiungere? Ricordo lo sguardo di quel ragazzo timido, quella dolcezza con la quale mi ha fatto questa confidenza; lui è riuscito a smuovere tutto quello che aveva dentro per dirmi che Massimo lo ha fatto innamorare della poesia. Invece, in un’altra occasione, un ragazzo seduto accanto a me in treno, mentre parlava al telefono disse all’altro: “Se avessi ascoltato mio padre, io mo ero come Robertino!” (in Ricomincio da tre). Massimo è ovunque e molti ricordi con tavole inedite sono raccolti nel libro Oltre il respiro. Massimo Troisi, mio fratello, i cui proventi sono devoluti in beneficenza.
GLI ULTIMI MESI DI MASSIMO TROISI
Che ricordo hai del film Il postino?
È stato un percorso di dolore. Con Il postino abbiamo un rapporto di contrasto, ma Massimo ha voluto finirlo a tutti i costi. Dal momento che avevamo già appuntamento a Londra perché si pensava a un trapianto, gli dicevamo di lasciare stare, ma davanti al medico disse: “Io a stu film c’aggia rimmanè stu core ccà!”.
Non c’è stato verso di fargli cambiare idea?
Sai quando stai male e senti che la vita ti sta abbandonando e aspetti tuo figlio che sta lontano e non esali l’ultimo respiro perché devi salutarlo? Così è stato Il postino per Massimo. Per esalare l’ultimo respiro ha aspettato che finisse questo film, e lo dico come fosse una cosa bella. Magari mia madre avrebbe detto “Che capa tosta ca tiene!”, invece no, e sai perché?, perché lui andava a sentimento, Massimo amava quello che stava facendo. Il film voleva finirlo a tutti i costi, e per esalare l’ultimo respiro ha atteso suo figlio.
E se Massimo fosse seduto qui, cosa penserebbe di oggi?
Di stare attenti, tutti quanti, perché non ritorni il peggiore passato vissuto per ignoranza e superficialità. Ogni volta che si parla di Massimo è un rinnovo del cuore e ringrazio per averlo avuto perché era un ragazzo che poteva disprezzare la vita, perché a dodici anni si è ammalato e invece ha cercato quelle forme, quelle espressioni più belle e dolci per tirarsi su. La sua vita è stata breve, ma è come se avesse vissuto cento anni!
– Fabio Pariante
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