The French Dispatch di Wes Anderson, la ricerca simmetrica ed estetica non bastano

Un omaggio al giornalismo e ai giornalisti, una ricerca simmetrica eccessiva e bellissima, un grande e profondo senso di noia. Wes Anderson presenta il suo The French Dispatch in Concorso al Festival di Cannes.

Una ricerca simmetrica e geometrica esasperante tanto da raggiungere il sublime, ma che questa volta non basta. The French Dispatch di Wes Anderson, presentato al 74esimo Festival di Cannes e nelle sale italiane il prossimo 11 novembre con Walt Disney Pictures, è un film non del tutto brillante come si sperava. Un film che rasenta in diversi momenti la noia e che cattura l’attenzione principalmente per la sua estetica. È un film però di particolare interesse, molto concettuale, che fa avanti e indietro nell’originale tra inglese e francese, per cui una visione in italiano può essere necessaria per non perdersi alcun passaggio. Si tratta di tre episodi, tre notizie di giornale che prendono vita e che meritano attenzione e riflessione: un artista condannato all’ergastolo, le rivolte studentesche del ‘68 e un rapimento risolto da un cuoco. Si tratta del decimo film di Anderson, regista visionario e sognante più di ogni altro e per certi versi molto simile e vicino al nostro Federico Fellini. Questo suo film ha atteso la riapertura dei cinema per presentarsi al grande pubblico, e d’altronde, come avvenuto per i precedenti lavori, già solo le scenografie e le cromature del racconto non possono essere ridotte allo schermo di un pc. Non sarebbe assolutamente un viaggio cinematografico.

The french dispatch, Wes Anderson

The french dispatch, Wes Anderson

THE FRENCH DISPATCH: TRA I PERSONAGGI UN MERCANTE D’ARTE E UN ARTISTA

Con The French Dispatch, dichiaratamente “lettera d’amore al giornalismo e ai giornalisti”, siamo catapultati in fatti e vicende legate alla redazione parigina del quotidiano French Dispatch, edizione europea dell’americano Evening Sun di Liberty, Kansas. La rivista si occupa di argomenti di vario tipo, da articoli di politica mondiale, fino a quelli di cronaca, toccando temi di cultura generale, come arte, moda, cucina e storie di vita. Alla morte del direttore, i vari redattori decidono di pubblicare un numero commemorativo, raccogliendo articoli di successo pubblicati negli ultimi anni. Appartengono alla redazione del French Dispatch Bill Murray nei panni del direttore Arthur Howitzer Jr., i redattori interpretati da Elisabeth Moss, Tilda Swinton, Fisher Stevens, Griffin Dunne e il ritrattista Herbsaint Sazerac, interpretato da Owen Wilson. Nel cast del film ci sono anche Adrien Brody nel ruolo di un mercante d’arte di nome Julian Cadazio, Jeffrey Wright come Roebuck Wright, un giornalista gastronomico del Sud degli Stati Uniti, e Benicio del Toro insieme a Léa Seydoux, rispettivamente l’artista Moses Rosenthaler in carcere con ergastolo e la sua guardia carceraria Simone, nonché musa ispiratrice.

The french dispatch, Wes Anderson

The french dispatch, Wes Anderson

STRUTTURA ANTOLOGICA SI O NO?

The French Dispatch ha tutto lo stile di Wes Anderson: ricerca estetica, grammatica visiva, voce fuori campo. C’è la dimensione onirica ma molto mento quella ironica. È un chiaro omaggio che il regista di Grand Budapest Hotel fa al New Yorker e alle sue grandissime firma. Questo non basta però a supportare un’opera antologico a suo modo che viaggia tra binari intellettuali molto alti. Se la prima storia cattura l’attenzione, le altre due sono di troppo. Non meno interessanti, attenzione! È forse la struttura antologica a pesare… Nel primo episodio Tilda Swinton è il critico d’arte JKL Berensen, e racconta la storia di Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), condannato a morte per omicidio; nel secondo Frances McDormand è Lucinda Krementz, una scrittrice che si tuffa in profondità nella turbolenta scena rivoluzionaria studentesca di Ennui-Sur-Blasé, e finisce per avere una relazione con il giovane leader, Zeffirelli (Timothée Chalamet); nel terzo Jeffrey Wright offre una performance meravigliosa nei panni di un critico enogastronomico che racconta in un’intervista televisiva il suo tentativo di intervistare il capo della polizia speciale, il tenente Nescafier (Stephen Park), a cui hanno rapito il figlio. In questo ultimo episodio viene fuori la grande debolezza, più in generale, di Wes Anderson. Lui che è un regista di finzione, di costruzione, di perfezionismi non è in alcun modo capace, o interessato, a scene action che qui sostituisce con l’uso dell’animazione. Escamotage interessante, intelligente, ma al tempo stesso stonante con il resto del racconto.

QUESTIONE DI NOIA?

The French Dispatch è un grande film, dal grande ma grandissimo budget nonostante il cast presente. È un film scenograficamente eccellente, ha una strutta di interesse, è coerente a se stesso dall’inizio alla fine ma si, pecca di noia. A cosa sia effettivamente dovuta non è semplice dirlo, forse all’essere sempre uguale a se stesso di Anderson? Se invece fosse una noia voluta, cercata, dichiarata? La città francese che fa da contorno a The French Dispatch ha il nome di “Ennui-sur-Blasé” e forse non è un caso se: “Ennui” e “Blasé” sono due termini francesi che esprimono noia, apatia, indifferenza, e più precisamente disincanto verso la realtà che prende vita intorno. Se fosse un vero nome di luogo, “Ennui-sur-Blasé” diverrebbe nella letterale traduzione inglese “Boredom-on-Apathy”, quindi “Noia su apatia”. Da qui si può dedurre che in The French Dispatch nulla è lasciato al caso. Tutto ha un peso e una collocazione, una spiegazione e una direzione. Se questo senso di noia che prevede il film fosse realmente voluto, allora cosa è che non va? Qualcosa c’è, come se il film fosse vittima di se stesso.

-Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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