La storia di Renato Casaro, l’ultimo cartellonista del cinema
Treviso rende omaggio a una storica figura del cinema, da Cinecittà a Hollywood, con una rassegna che approfondisce la carriera del cartellonista Renato Casaro, autore dei manifesti di film epocali.
Dalle pellicole di Sergio Leone ad Amadeus all’Ultimo imperatore, da Il nome della rosa a Il tè nel deserto, Sapore di mare, Balla coi lupi, Rambo III, sono tantissimi i film che portano “la firma” del cartellonista Renato Casaro. Una ricca selezione dei suoi manifesti è confluita nella mostra allestita presso il Museo nazionale Collezione Salce ‒ che, come è noto, conserva la più ampia raccolta di grafica pubblicitaria esistente in Italia e che ha da poco inaugurato la sua nuova sede, insieme storica e supertecnologica. Un omaggio a Renato Casaro (Treviso, 1935), il cartellonista autore dei manifesti che hanno accompagnato numerosi capolavori del cinema, da Cinecittà a Hollywood.
Treviso, città natale dell’artista Renato Casaro ‒ in cui ha vissuto fino a 19 anni e in cui di recente è tornato a risiedere ‒, celebra oggi il suo illustre cittadino con una mostra antologica di ampio respiro, dislocata in tre sedi museali. Sono 170 i film selezionati su un totale di oltre 1000 e ben 300 i manifesti esposti, dei quali molti sono “originali” e restaurati per l’occasione. Non mancano i bozzetti preparatori ed esecutivi, compresi i primi schizzi a matita e le varianti richieste dalla committenza.
LA CARRIERA DI RENATO CASARO
Certamente non può sfuggire il fatto che l’arte di Renato Casaro, cartellonista cinematografico di fama internazionale, sia capace di coniugare talento e maestria, ingegno e intuito in un mirabile, impareggiabile, assolo. Mezzo secolo trascorso nell’arte del manifesto cinematografico, un mestiere che lo ha visto sempre impegnato ai massimi livelli, a partire dagli esordi trevigiani, dove da ragazzo realizza sagome pubblicitarie per i cinema della città, in cambio di biglietti gratuiti per le proiezioni dei film, fino al trasferimento a Roma, a metà degli Anni Cinquanta. Quindi l’apprendistato presso lo studio di Augusto Favalli e poi subito il successo. Una parabola ascendente che non conosce battute d’arresto: la sua arte si evolve e si affina, sia esteticamente che tecnicamente, ed è sempre al passo con la produzione cinematografica con la quale si interseca e si confronta. A richiedere i suoi manifesti sono le più grandi case di produzione e distribuzione nonché registi del calibro di Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Tornatore, Dario Argento, Ingmar Bergman, Claude Lelouche, Jean-Jacques Annaud, Francis Ford Coppola e tanti altri ancora, fino alla recente richiesta da parte di Tarantino di avere dal suo cartellonista preferito un fake poster per il film C’era una volta a… Hollywood. Renato Casaro è molto attento ai cambiamenti sociali e a quelli del gusto del pubblico che il cinema riflette e riproduce. Osservati soprattutto con lo sguardo non solo di un professionista ma anche di un grande estimatore di quella “settima arte” che Casaro stesso sostiene essere il suo hobby, il suo mestiere e la sua vita.
INTERVISTA A RENATO CASARO
Lei si è adattato ai cambiamenti sociali e ai progressi della tecnica, riuscendo a gestirli in maniera del tutto originale, introducendo la fotografia nel manifesto cinematografico oppure l’uso dell’aerografo. Non pensa che se la “svolta digitale” fosse giunta nel bel mezzo della sua carriera, anche in quel caso avrebbe saputo farne buon uso?
Sono convinto di sì. Ciò che mi interessa è raggiungere lo scopo, realizzare l’idea che ho in testa; i pennelli, l’aerografo, la fotografia sono gli strumenti che mi consentono, dopo tante prove, dopo vari tentativi, di riuscire nell’intento. Certamente, una predisposizione ottimista verso i cambiamenti, l’apertura verso sempre nuovi orizzonti e la curiosità che non mi abbandona mai possono aiutare in tal senso.
La sua capacità di calarsi nello spirito del film, tradurne lo stile, trasmetterne il senso fa parte di una sua personale prerogativa, non ravvisabile nei suoi colleghi, pure molto bravi, che negli stessi anni hanno realizzato manifesti per il cinema. È come se lei non perdesse mai di vista l’obiettivo principale, ovvero condensare in un fermo immagine l’idea del regista, il genere filmico e le aspettative dello spettatore. Senza contare l’attenzione al lettering.
È importante non perdere di vista l’obiettivo, che consiste nel conseguire l’idea, la quale di sicuro è la mia, ma non solo, poiché deve accordarsi con quella del regista, ma anche della produzione, della distribuzione, e infine, ma non per ultimo, deve piacere al pubblico. Posseggo un grosso archivio fotografico che mi ha consentito, negli anni ‒ adesso, nell’era di internet, non sarebbe più necessario ‒ di attingere dalle “pose” iconografiche di cui avevo bisogno. Spesso, però, non soddisfatto delle fotografie di scena che mi venivano fornite, mi recavo personalmente sul set per osservare, ritrarre, fotografare, ma soprattutto per assorbire quell’atmosfera che si respira sul set e che poi esprimevo appunto nel fermo immagine del manifesto del film. Lei, poi, ha colto l’aspetto del lettering, certo non facile da rendere, perché bisognava disegnarlo a mano, pazientemente, e per questo occorre molta esperienza, una buona tecnica e ovviamente tanta fantasia.
Vorrebbe raccontarci qualcosa rispetto ai suoi progetti futuri e all’impatto che questa mostra ha su di lei?
“La mia vita è come un film”, non è solo uno slogan, ma è la mia vita, che consiste nella mia arte. Non ho mai smesso di disegnare e di dipingere, ma ovviamente da quando non lavoro più sono libero di prendere altre direzioni. Oltre ai miei lavori sulla wildlife, legati al mio lungo soggiorno in Africa, da qualche tempo mi dedico ai ritratti di attori protagonisti di film classici che mi piace inserire in contesti rinascimentali, e poi ho altri progetti ancora. Intanto, le confesso che sono felice del grande riscontro che questa mostra sta suscitando, una mostra così ampia, nella mia città d’origine e nella più importante collezione di manifesti in Italia, il cui fondatore Nando Salce fu addirittura il primo collezionista dei miei primi manifesti pubblicitari; vederli ora esposti qui, in questa mostra, è per me davvero una grande emozione.
‒ Adriana Scalise
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati