Cinema, hard e tragedia. La storia dell’attrice Lilli Carati fra arte e realtà
Marco Giusti, ideatore dello storico programma televisivo “Stracult”, ripercorre la sfortunata vicenda di Lilli Carati, all’anagrafe Ileana Caravati, che in una intervista rivelò di non aver mai amato il cinema
In data 10 novembre 1986 mi scrive Manuel Cossu, che non conoscevo né come artista né come musicista, e mi manda un artzine dedicata a Lilli Carati (Varese, 1956 – Roma, 2014), in pratica un Albo Blitz ribattezzato Kriegbop dal titolo Lilli Carati è rinata una stella. Mi scrive, a stampatello, con gli stessi caratteri che troverò nelle sue opere, che era rimasto molto colpito dalla mia intervista a Lilli, a Stracult, dai “toni molto delicati”, dove avevo mostrato una “sensibilità nei confronti della persona”.
LILLI CARATI SECONDO MANUEL COSSU
In un primo momento, sfogliando distrattamente la artzine, mi era sembrata una di quegli atti d’amore dei fan dedicati alle loro star preferite, ricordo un grande plico che mi regalò in gran segreto Moano, che si autodefinì il primo fan di Moana Pozzi, costruito e scritto un po’ allo stesso modo. La voglia di rivivere e in qualche modo possedere la vita e l’immagine della divinità più amata porta il fan alla riscrittura continua, al disegno che stringe in un abbraccio infinito di inchiostro le sue foto e le sue forme. Lo facevo anche io da ragazzo, collezionando migliaia di flani d’epoca ritagliati dai giornali e scrivendo sopra altri nomi di attori, date, annotazioni impossibili con la penna biro, cioè in maniera che rimanessero per sempre. Moano non era arrivato all’artzine. Altri fan si erano spinti oltre. Mi disse Riccardo Schicchi di Jeff Koons che andò a abitare di fronte a casa di Cicciolina per non so quanto tempo prima che lei si convincesse del suo amore. Da fan. Non da artista. Ma la passione del fan si può facilmente confondere con quella dell’artista. Manuel Cossu, nell’artzine, porta Lilli a rivivere momenti della sua vita. La troviamo così “su una scala che sa se scendere o salire”, o mentre prova “noia a sentirsi sempre in bilico”. Ma c’è anche una Lilli più storicizzata, che “si buca in posti nascosti della città e del corpo”, o in sala colloqui nel carcere femminile di Varese, “Pensa che non vuole più una vita piena di guai”, o al suo primo giorno in comunità. E una Lilli disperata, che “mostra le gambe a un futuro che non c’è”. Quello che vediamo, nelle tavole di Manuel Cossu, insomma, è una riscrittura della vita di Lilli Carati, con una serie di annotazioni più o meno tragiche, come tragico è stato il suo martoriato percorso, che parte ovviamente dalla passione per l’attrice e dall’attenzione al suo tragico destino, così letterariamente inevitabile.
LA STORIA DI LILLI CARATI
Anche io, come Manuel Cossu, adoravo Lilli Carati. Da subito. Da quando la vidi al cinema nei suoi primi film e nelle riviste del tempo nelle foto prima soft e poi hard. Rispetto ad altre star del cinema sexy del tempo, Lilli aveva dalla sua la caduta nella droga e nell’hard. In maniera totale e profonda. Quasi senza ritorno. Non c’era più nulla di erotico né di eroico nei suoi hard. Per caso avevo a Stracult un paio di trailer dei suoi hard, che non avevo visto integrali, e che la mostravano bellissima e sconvolta, una tragedia assoluta, che la pellicola in 35 mm fissava con colori assolutamente pittorici, rossastri. Dalla seconda metà degli Anni Ottanta, Lilli era scivolata in una depressione che sembrava difficilmente recuperabile. Due tentativi di suicidio, un arresto per detenzione, la vita in comunità, la malattia. Il cinema per lei era finito. Ma l’avevamo vista nel 1994 nel documentario di Rony Daopoulos Lilli, una vita da eroina, trasmesso da Rai Tre, che aveva molto colpito i suoi fan. Quando tornò a parlare della sua vita, del suo recupero, in un programma di Alda D’Eusanio di Rai Due nel 2008, decisi di chiamarla e di intervistarla per Stracult, ma a parlare solo di cinema. E le dissi che non avrei parlato con lei né della malattia né della droga né dello scivolamento nell’hard. Volevo parlare di lei e dei film che aveva fatto. Esattamente come Manuel Cossu cercavo di riportarla agli Anni Ottanta, nella Roma dei cinematografari, in quel momento assolutamente magico dove era ancora una star, anche se già toccata da tutto. In un qualsiasi film sulla vita di una stella cadente, sappiamo, il momento più forte è quello delle scelte sbagliate, del rendersi conto di cadere continuando a cadere. Avessi potuto salvarla, almeno nella ricostruzione della sua vita, lo avrei fatto di cuore. Avrei anche io ri-scritto le sue date, le sue idee per fornirle un appiglio, una mano che non la facesse scivolare ancora più giù.
L’INTERVISTA DI MARCO GIUSTI A LILLI CARATI
In quella mezza giornata che sono stato con lei, dove nacque un qualche rapporto che andava oltre quello dell’intervistatore e l’intervistato o del vecchio fan e della star, Lilli si è mostrata in tutta la sua totale fragilità, facendomi capire che non era affatto interessata al cinema, che non si era mai sentita un’attrice, anche se, sì, era vero, era stata malamente sfruttata dai produttori. E l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare, non ricordo se una commedia o un film con Carmelo Bene, che lei amava, il produttore che l’aveva sotto contratto gliela vietò. Per cattiveria. Le era piaciuto lavorare con Fernando Di Leo e Gloria Guida in Avere vent’anni e con Pasquale Festa Campanile ne Il corpo della ragassa, ma in generale il cinema non l’aveva mai interessata. Né il mondo del cinema, le feste, gli attori, i contatti e i contratti. Non era lontana solo nel 2008 dal cinema, lo era stata anche allora. Lontana da tutto. Con la testa altrove. Era una persona molto diversa da come la avevo immaginata da spettatore e da fan. E molto più viva e interessante di quella costruita coi film e le poche interviste in tv. Anche rispetto alla sua apparizione dalla D’Eusanio da sopravvissuta, a Stracult era ridiventata una star. Perché di fatto lo era ancora. La cosa che più mi ha stupito nell’omaggio che le ha dedicato Manuel Cossu è di averla capita, credo, senza averci mai parlato, averla mai sentita. Il suo essere altrove, mentre il suo corpo era visto da così tanti spettatori, la rendeva un’eroina impenetrabile e penetrabilissima al tempo stesso. Nuda in tutti i sensi rispetto a qualsiasi riscrittura. Nessuna attrice è così aperta e disarmata nel non riconoscersi in nulla o quasi di quello che aveva fatto. Una ragazza in bilico, in attesa di un futuro che lei per prima sa che non ci sarà. Pronta però a farti capire immediatamente la sua realtà, la sua totale trasparenza, ad aprirsi a qualsiasi sguardo. Ecco, Manuel Cossu penso che abbia capito che non c’era nessuno schermo a dividerci da lei, nessun corpo da attraversare per arrivare al centro di Lilli. Che avrà vent’anni per sempre.
‒ Marco Giusti
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