Wes Anderson e il suo film “The French Dispatch” ispirato a “L’oro di Napoli”
Al cinema il nuovo film di Wes Anderson. Un film a episodi omaggio alle storie e alle narrazioni. Un racconto fatto con più tecniche visive e con un linguaggio più arguto del solito
Un cast stellare per un film antologico. Bianco e nero, colori e animazione. Ironia e profondità. Design ancora più meticoloso e ossessivo e un grande omaggio a una storica rivista, ma non è una storia sul giornalismo. Finalmente al cinema con Walt Disney c’è The French Dispatch di Wes Anderson, film che ha avuto il suo debutto mondiale al Festival di Cannes del luglio scorso. Si tratta con molta probabilità del film più articolato e complesso di Anderson, non solo visivamente ma anche linguisticamente. Quattro storie in totale con un inizio dedicato all’arte: nel primo episodio è infatti il critico d’arte e storico J.K.L. Berensen (Tilda Swinton) a raccontare la vicenda di Moses Rosenthaler (Benicio Del Toro), un artista con disturbi mentali che diventa famoso in tutto il mondo mentre sconta la pena per omicidio in un carcere di massima sicurezza a Ennui. Rosenthaler deve la sua carriera a una guardia carceraria di nome Simone (Léa Seydoux), che è una musa anticonformista: posa per lui ed è la sua amante, ma è anche il suo vero comandante. Da qui è possibile immergersi subito in una visione narrativa di grande finezza e cultura. The French Dispatch (che conta, tra gli attori del cast, anche Adrien Brody, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri) è un film anche complesso, potrebbe non essere proprio per tutti e richiedere un pubblico ben preparato e con voglia di alta attenzione, anche se al tempo stesso è impossibile non perdersi nella dimensione quasi onirica di Anderson. È lo stesso regista che in Italia, in un incontro con la stampa, spiega idea, motivazioni e suggestioni che stanno dietro a The French Dispatch.
COME NASCE “THE FRENCH DISPATCH”. IL RACCONTO DI WES ANDERSON
“L’ispirazione nasce dal ‘New Yorker’ che leggevo già quando ero ragazzino, poi ho cominciato a interessarmi a tutta la realtà che stava dietro questa rivista e a studiarla per capire come fosse la redazione, come venisse fatta questa pubblicazione, che tipo di persone vi lavorassero, quali fossero tutti i personaggi che animavano la redazione”, racconta Anderson. “Ho sviluppato un interesse spiccato nei loro confronti, la prima cosa che mi ha attirato sono stati i racconti brevi che tradizionalmente erano proprio all’inizio della rivista, racconti di fantasia solo successivamente sostituiti in primo piano da racconti più sul giornalismo. All’epoca, erano racconti di narrativa.
“THE FRENCH DISPATCH”: UN FILM SUL GIORNALISMO?
“Questo film tratta di giornalismo ma non è sul giornalismo”, sottolinea Anderson. “Alla fine del film, sullo schermo, appaiono i nomi di coloro che hanno ispirato questo mio lavoro, ma si tratta per me di un omaggio a qualcuno, di mostrare il rispetto nei confronti di qualcuno da cui ho imparato qualcosa. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con il giornalismo, per me è una straordinaria tradizione alla quale sono molto legato e questo soprattutto per quanto riguarda i quotidiani (ogni giorno vado a comprare e leggo un quotidiano). Questo film si concentra su quel tipo di giornalismo che sta un po’ scomparendo. Io cerco di creare un’esperienza su un argomento di mio interesse senza però che vi sia un’identificazione. Uso tutto quello che ho imparato per creare delle storie”.
“THE FRENCH DISPATCH”. BIANCO E NERO VERSUS COLORI
“Per quanto riguarda il bianco e nero, in realtà il mio primo lavoro è stato un corto girato proprio in bianco e nero. Poco tempo fa mi è capitato di parlare del bianco e nero con un regista che lo utilizza, si è parlato del colore e delle proporzioni da utilizzare. Ha detto che se fosse per lui, se ne avesse la possibilità, utilizzerebbe sempre il vecchio formato quadrato e il bianco e nero perché per lui è una garanzia bellezza. Non è questa la mia posizione. Io tendo a cambiare passando dal bianco e nero al colore cambiando anche il formato dello schermo, la dimensione, a seconda delle mie esigenze, però capisco quello che intendeva questo regista. Facciamo un esempio tratto da un momento del mio film, si tratta della scena con Benicio del Toro e Lea Seydoux. Quando ho iniziato a immaginarmi questa scena, avevo in mente l’attrice Michel Simon che non ho mai visto a colori, quindi automaticamente per me quella scena andava girata in bianco e nero. In altri casi invece ho preferito optare per il colore, e questo porta anche a riflettere sull’uso della luce Per me è stata una gioia poter utilizzare tutte queste tecniche insieme al direttore della fotografia e allo scenografo”.
L’ORA DI NAPOLI E CINECITTÀ PER WES ANDERSON
“The French Dispatch è un film francese, però l’ispirazione nasce da un film italiano, L’oro di Napoli di Vittorio De Sica”, racconta Anderson. “Quando vidi quel film, decisi che volevo fare qualcosa di simile, ovvero un film che raccogliesse storie diverse. È una tradizione molto italiana, De Sica non è il solo ad avere usato questa forma di antologia, la ritroviamo anche in Fellini o in Visconti”. E in futuro? “Ho finito di girare il mio nuovo film due settimane fa in Spagna, anche se è ambientato negli Stati Uniti, e devo dire che è stata un’esperienza molto divertente”, conclude il regista. “Per quanto riguarda l’Italia, ho avuto modo di lavorare qui e ogni volta che penso a un nuovo progetto cerco di trovare un modo per tornare a Cinecittà, per fare un film a Roma. Sono sicuro che presto troverò la risposta”.
– Margherita Bordino
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