Su Netflix il film sulla storia di Marylin Monroe: Blonde, la dissacrazione di un mito

Seppure in concorso a Venezia, ha ottenuto critiche e nessun premio. Dal 28 settembre sarà su Netflix. Il film prodotto (anche) da Brad Pitt ed è vietato ai minori di 17 anni, un caso unico per la piattaforma divenuta il più grande produttore di film al mondo, che all’ultima Mostra del Cinema non ha ritirato premi malgrado una presenza importante

La critica non è stata tenera. Il film diretto da Andrew Dominik sulla vita e il mistero di Marilyn Monroe, è troppo audace e crudo. Riporta l’icona warholiana su di un piano esistenziale di quotidiana banalità, ma smaschera la quotidianità del male (di vivere) con audacia pubblicitaria. Se il cinema l’aveva trasfigurata in un sex symbol, in un puro oggetto del desiderio abitante un universo metafisico, un poco come un’idea platonica, questo film dissacra e disvela il volto sfigurato di Norma Jeane Baker in arte Marilyn Monroe; è un volto fragile e sensibile, dotato di desideri naturali (amore e maternità) propri, di errori e paure, traumi e speranze. Un volto troppo simile al nostro. E per questo il pubblico potrebbe non perdonare questa demistificazione, che è come se un film affrontasse per tre quarti del tempo i buchi esistenziali di Peter Parker o di Clark Kent. I supereroi hanno un alter ego, ma non è lui il protagonista. Quello di Marilyn qui lo è.

BLONDE, Still

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BLONDE: UNA BIOGRAFIA

Qualsiasi biografia, in quanto “messa in scena” di una vita altrui, non è mai soltanto una questione di fatti concatenati ma coinvolge interpretazioni e scelte, indaga i segreti e comprende gli abbandoni, registra le dannazioni ma anche le salvezze. Per far ciò il cinema deve adattarsi; questa “macchina del desiderio” (come giustamente la definisce il regista neozelandese) non può procedere in modo lineare e superficiale, per fatti inoppugnabili (come meriterebbe una figura sacra, e Marilyn nel 2022 non lo è più), ma deve inabissarsi e inventare scene e sequenze capaci di restituire il mistero di una bambina abbandonata divenuta presto donna in balia della società dello spettacolo, e dello star system, che la adora e la uccide. Non c’è niente che uccida meglio del successo.

BLONDE: SEMPRE UNA QUESTIONE DI MITI

Un mito tira l’altro e quello di Marilyn, narrato dalla scrittrice americana Joyce Carol Oates da cui Dominik trae la sceneggiatura, ne è la quintessenza contemporanea. Marilyn è la diva di Hollywood ma lo è perché, oltre a sintetizzare la femme fatale ed un nuovo tipo di potere femminile sulle masse, come ogni nano sulle spalle dei giganti richiama inconsciamente (“quando si è famosi, ci si imbatte sempre nell’inconscio delle persone”, ha detto una volta la vera M.) le figure di Elettra, Ifigenia e Cassandra: come la prima è una una figlia che agogna il padre che l’abbandona bambina; come la seconda è una vittima sacrificale; come la terza è condannata (dopo il “bacio” di Apollo, che qui è il produttore cinematografico) ad essere per sempre inascoltata.Tutto ciò fa sì che la storia di Marilyn sia quella di una morte annunciata, il ritratto di un’anima straziata da ripetuti eventi traumatici, tradimenti, sopraffazioni e autodistruzioni. Quando Warhol sceglie le icone del proprio tempo, Marilyn è quella più brillante, la più pellicolare, la più seducente e universale, ma questo film cerca il lato umano troppo umano, il dietro le quinte e il risvolto della maschera, tra i meandri di una psiche (anima) gentile sempre più provata. Non c’è cattiveria in questa Marilyn e, come in una passione contemporanea, nell’arco di pochi anni, il peso di fatali sventure la stronca.

BLONDE, Still

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BLONDE: SCENE FORTI

All’inizio della tragedia della maschera, l’alfa è l’abuso sessuale subito per entrare nel mondo del cinema. Dominik lo tratta con rudezza e velocità, per dare l’idea di una serialità che si rispecchia sul volto compiaciuto e sprezzante della segretaria testimone. Definito facilmente come “femminista”, il film è qualcosa di più, è di un anti-maschilismo virale. L’omega della vicenda Monroe-diva-incastrata-nella-propria-bellezza è il capitolo Kennedy: qui il film diventa dinamitardo per come tratteggia la figura del presidente abusante e sprezzante, ben oltre il limite della decenza. Il dettaglio tecnico di un atto sessuale mimato con realismo è ciò che costa il divieto ai minori, ma è anche il segno di un cinema che ha deciso di non alludere più, di smontare qualche barriera pudica per vedere l’effetto che fa (anche in termini di pubblicità e audience forse). Dominik decide di mostrare fino in fondo il reale di una sopraffazione: il gesto eseguito, l’oltraggio subito. L’astrazione e la poesia sono altrove: ad esempio nella scena dell’incontro al bar tra un Arthur Miller incantato e una Marilyn che gli offre le idee più incisive sulla sua pièce, tanto conosce Cechov. “L’abbiamo in qualche modo uccisa noi stessi con il nostro sguardo?”. Con questa domanda il regista presenta il suo film, che in un paio di occasioni ritrae la diva mitragliata da centinaia di flash dell’epoca (sembra un concerto di oggi con i telefonini accesi) che sbottano a raffica come colpi di fucile (uno dei tanti efficaci escamotage registici). Ma Marylin muore un poco alla volta, la vita può essere un patibolo e Dominik lo allestisce come una tragedia greca in forma post-pulp, con un cinema che ha recepito la lezione di Tarantino, così come quella del suo più radicale antagonista Terrence Malick. Colei che incarna la diva, l’attrice cubana naturalizzata spagnola Ana de Armas, è chiamata ad una prova d’attrice sovradimensionata: il suo volto si rompe nel sangue, nel pianto, nell’urlo. Arriva perfino a “vomitare in macchina” (nel senso del “guardare in macchina”). Ecco la storia di una “una bambina indesiderata (…) diventata la donna più desiderata del mondo – conclude Dominik -. Lei ora esiste come la polvere di una stella esplosa, sotto forma di migliaia d’immagini che fluttuano nel nostro inconscio collettivo, nei film, nelle fotografie, sui muri, nelle pubblicità, sulle fiancate dei furgoni dell’aria condizionata e la sua luce – come quella di una stella – viaggia ancora verso di noi, anche se lei si è spenta da tempo”.

– Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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