Love life. Dalla fiaba al noir: la prima volta nei cinema italiani di Koji Fukada
Una storia ispirata da una canzone. Koji Fukada presenta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia un film che parla di dolore, solitudine e amore. La vicenda centrale è drammatica, ma leggerezza e ironia non lasciano spazio alle lacrime
In Concorso alla Mostra del Cinema edizione 79 c’è stato anche Koji Fukada, che ha alle spalle un percorso cinematografico di circa vent’anni e che con il suo Love life esce anche in Italia per la prima volta, distribuito da Teodora Film. Il film, accolto benissimo da pubblico e critica al Lido di Venezia, racconta di Taeko, una donna che conduce una vita tranquilla accanto al marito Jiro e al figlio Keita, finché un tragico incidente riporta nella sua vita Park, padre biologico del bambino, di cui non aveva notizie da anni. Per affrontare il dolore e il senso di colpa, Taeko decide di aiutare l’uomo, sordo e senza casa. In Love life – un titolo che inneggia appunto a vita e amore – la tristezza passa in secondo piano, e il racconto è avvolto da una dolcezza infinita. Il regista pensava a questo film da quindici anni, ispirato dalla voce della cantante Akiko Yano: “non importa quanto siamo distanti, ti amerò per sempre”. Il film mostra la perdita e il senso di isolamento che ogni metà di una coppia prova quando deve affrontare un dramma pur mantenendo una vivacità e ironia di colori e linguaggio. Una breve conversazione con il regista e la protagonista, Fumino Kimura.
Taeko è una donna che sente la necessità di prendersi cura degli altri. Del marito, del figlio, dell’ex marito. Non vive mai i propri bisogni…
Kôji Fukada: Quella di Taeko è un’immagine che acquisisce se stessa con le relazioni che ha e con i luoghi che vive. Ad esempio, sente di esistere in quanto protettrice di Park, l’ex marito, in quanto madre. Sono tutte situazioni che la aiutano a sentirsi se stessa. Tuttavia, nel film tutti questi elementi poi le vengono tolti e lei si sente annullarsi. Per questo è stato importante avere un’attrice così forte di spirito come Fumino Kimura: posso dire che nel momento in cui le ho lasciato la parte recitativa, Taeko si è allontanata da me ed è diventata una creazione di entrambi.
Dolore, solitudine, amore. Love life ha più di una sfumatura…
Fumino Kimura: Il dolore e la solitudine possono in qualche modo comunicare anche senza l’uso delle parole. Possono essere percepiti solo guardando chi in quel momento ne sta soffrendo. Invece l’amore è qualcosa di cui ti accorgi quando c’è. La Taeko del film è in cerca di amore, vorrei che lo spettatore condividesse con lei questa sensazione.
Un film che spazia dai toni della fiaba al noir mantenendo pur sempre dei colori vivaci. Come mai questa scelta di contrapposizione?
Kôji Fukada: La ragione per la quale commedia e tragedia coesistono è perché alla fine così è la vita. Senza voler propendere per l’uno o per l’altro, la vita non è altro che questo susseguirsi di eventi che possono essere tragici e comici. Invece, per quanto riguarda il colore, non so quanto sia stato un fattore volontario, posso però dire che segue i miei gusti. Nei film non basta semplicemente appoggiare la macchina da presa in un determinato punto e dire “ok, questo è quanto sta succedendo”. L’elemento di fiction diventa anche una ricostruzione e ovviamente l’uso del colore può far sì che le variazioni all’interno della storia ne risentano e anche la percezione di determinate scene possa essere in qualche modo cambiata. Come il fatto che inizialmente Park avesse una camicia gialla e poi lo cambiasse, il fatto che il bambino cantasse quando era ancora in vita e ci fosse l’uso di quei palloncini colorati e poi non più. Ecco, queste scelte derivano dal registro del colore, che ritengo importante.
– Margherita Bordino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati