Venezia 79: al cinema Bardo di Alejandro G. Inárritu
a presenza di Netflix alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 continua con Bardo, falsa cronaca di alcune verità di Alejandro G. Inárritu. Un film critico e intelligente, onirico e metaforico sull’essere umano, sulle sue paure e sul suo ego incontenibile.
Un flusso di incoscienza, un periplo joyciano in cui perdersi e ritrovarsi, per riperdersi meglio. Con Bardo, falsa cronaca di alcune verità, in concorso a Venezia 79, Alejandro G. Inárritu costruisce un film che sembra una macchina escheriana, un esperimento gestaltico con illusioni continue ma capace di offrirsi come una lucida superficie specchiante caleidoscopica in grado di riflettere le sfaccettature di un ego (il suo, ma anche il nostro) che improvvisamente si scopre intrappolato nell’età di mezzo e nelle sue molteplici crisi. Come una navicella spaziale al rientro sulla terra, anche il suo protagonista, l’alter ego giornalistico documentarista Silverio Gama (cognome dell’amato padre), tradisce danni strutturali, lacune costruttive, insufficienze tecniche che fanno traballare tutte le certezze su di sé, la propria vita ed il mondo intero. Ne affiora una potente lettura (auto)critica dell’essere umano, soprattutto l’homo occidentalis, quando questo finisce di fronte a se stesso in quel guado doloroso che sta nel mezzo del cammino di una vita mai davvero compresa (i figli sono i principali accusatori) e spesa a costruire un successo che, quando giunge impetuoso, procura un senso di colpa insopportabile, una sensazione di inadeguatezza verso un cammino che sembrava scritto come una sceneggiatura e che ad un certo punto salta per aria.
BARDO: GLI INTRECCI DELLA TRAMA
Difficile mantenere il filo del discorso, ma poco alla volta, e dopo diverse ipotesi interpretative, il fruitore accede alla verità di una trama che affronta, tra una decine di temi almeno, anche quello di uno dei più profondi misteri del cervello umano.
“Alcuni anni fa, mi sono accorto all’improvviso che la strada davanti a me era molto più breve di quella che avevo già percorso. Inevitabilmente, ho incominciato a esplorarla a ritroso e nel profondo, ma entrambi i sentieri sono ingannevoli e labirintici”. Con queste parole il regista messicano che vive dal 2001 a Los Angeles (“doveva essere per anno e son divenuti 20”, dice) presenta un’opera di quasi tre ore in cui la scrittura, i dialoghi serrati, i confronti durissimi e le sentenze inappellabili si alternano alle immagini di un candore senza ipocrisia. Con questo film Inárritu sembra fare i conti non soltanto con se stesso ma con l’intera storia del Messico e con quella città degli angeli piena di gringos e di studios. Ma è anche una resa dei conti con la propria cultura di appartenenza, con i miti ancestrali messi in discussione o difesi. Un film che dichiara il suo amore per il cinema di Fellini, ma che va anche oltre, toccando il surrealismo di Jodorowsky e Luis Buñuel o i tratti lugubri e grotteschi del Roy Andersson leone d’oro nel 2014 (li cita tutti in conferenza stampa).
BARDO: COLPO DI SCENA
Un certo colpo di scena finale spiegherà allo spettatore, almeno quello che avrà resistito agli assalti continui, che tutti i diversi piani di realtà e di irrealtà tra i quali ha dovuto navigare (magari perdendosi) trovano di colpo una spiegazione razionale in un film che utilizza effetti speciali e ricercate soluzioni registiche in modo così integrato, o addirittura invisibile, da produrre come risultato un labirintico trattato esistenziale autobiografico narrato in stile surrealista eppure medicalmente plausibile. Un film da vedere con tempo ed energie mentali a disposizione: un’intera vita, quella del regista ma anche la nostra, si espone in esso, affrontando gli attacchi del tempo e dei dilemmi che il nostro sistema di vita e di pensiero inevitabilmente producono. A noi, usciti dalla sala, il compito di concludere il trattato, magari riflettendoci per una vita intera, per chiuderlo con un happy end o con la morte tragica del protagonista.
– Nicola Davide Angerame
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