Chiude i battenti il Teatro Nuovo di Milano. Fine di una storia che rischia di essere dimenticata
Dalle rappresentazioni di stampo antifascista ai grandi musical degli ultimi tempi: il teatro di piazza San Babila ha attraversato quasi un secolo di storia politica, del costume e dello spettacolo. Ma ora cessa l’attività nell’indifferenza generale
Potrebbero essere gli effetti delle ripetute restrizioni pandemiche, quelli della crisi economica, quelli di un tempo che cambia anche il volto dello spettacolo. Diverse ragioni convergenti in un unico esito: quello della chiusura di un’altra storica sala milanese. Stiamo parlando del Teatro Nuovo, che si affaccia su Piazza San Babila. Verrà rimpiazzato da una attività commerciale (forse il ristorante di Nusr et quello delle bistecche da 1600€ condite facendo calare il sale dal gomito…), impoverendo un centro storico che vive in orario uffici e si spopola notevolmente di sera, la cui vita notturna è relegata in pochi locali di tendenza. Ma, soprattutto, lascia la città orfana di un luogo di produzione culturale, che ha attraversato la storia nascendo prima della Seconda Guerra Mondiale, e che chiude i battenti in silenzio, nell’indifferenza generale e senza alcun proclama.
LA STORIA DEL TEATRO NUOVO DI MILANO
Risale al 22 dicembre del 1938 la data di apertura del Teatro Nuovo, quando il sipario si alzava sulla voce dei fratelli De Filippo in Ditegli sempre sì e Natale in casa Cupiello. Un teatro privato, progettato dall’architetto Emilio Lancia, che si è fatto specchio dei conflitti del tempo già dal suo nome: c’era chi voleva chiamarlo “Teatro Amba Aradàm” a ricordo delle “imprese” abissine, oppure “Teatro D’Annunzio”, figura iconica dell’epoca. A chiamarlo Teatro Nuovo, invece, fu Remigio Paone, primo direttore, grande conoscitore di questo mondo, amico personale di Luigi Pirandello, ma soprattutto antifascista. L’inizio è brillante: i De Filippo in 40 giorni rappresentano 23 testi diversi per un totale di 48 recite; i prezzi dei biglietti sono 25 lire i primi posti, 20 lire i secondi, 15 lire i terzi e 6 lire i posti in piedi. Il teatro totalizza oltre 27.000 visitatori. La sua attività prosegue persino durante la guerra, quando Paone manda in scena spettacoli come L’opera da 3 soldi di Brecht, Zizì e compagni dell’ebreo Szilagyi, Piccola Città di Thornton Wilder. Rappresentazioni che gli costano brevi arresti e poi l’esilio: Paone scappa a Roma dove rimarrà clandestino fino al 1945. Ma poi riparte l’Italia, e con essa anche la grande stagione teatrale: sul palco, che ora ha una parte centrale girevole, grande innovazione per l’epoca, si alternano Rina Morelli e Paolo Stoppa, Totò ospite fisso di ogni stagione, Wanda Osiris e Carlo Dapporto, Ernesto Calindri, Anna Magnani e Paola Borboni. Si iniziano ad accogliere gli spettacoli provenienti dal resto d’Europa e nascono nuovi personaggi come Tognazzi, Rascel, Sordi, Chiari, Gassman, Billi e Riva.
LA CHIUSURA DEL TEATRO NUOVO DI MILANO
Il Teatro Nuovo ha sempre avuto l’ambizione di intercettare le novità di maggior rilievo nel panorama degli spettacoli nazionali ed internazionali e presentarli alla città. Uno sforzo, quello di essere protagonista di ogni tempo, ripagato dal successo, fino alla morte di Remigio Paone nel ’77, a cui seguono alterne fortune. La gestione passa nelle mani dell’imprenditore milanese Franco Ghizzo, che alterna la prosa all’introduzione dei grandi musical, fino alle produzioni dialettali dei Legnanesi. Sul palco si alternano nomi sempre più noti, come Liza Minnelli, Julio lglesias, Jerry Lewis; Jonny Dorelli, Carla Fracci, Carmelo Bene, Mariangela Melato, Il grande Barnum con Massimo Ranieri, il Trio Marchesini, Lopez, Solenghi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Nel 2013 la gestione è passata a Lorenzo Vitali, produttore e amico della famiglia Ghizzo. È stato l’ultimo capitolo prima della chiusura, definitiva, di una storia che è stata anche la storia di una città e dello spettacolo italiano.
Giulia Ronchi
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