Massimiliano Finazzer Flory tra Verdi e Pasolini all’Auditorium di Milano
Massimiliano Finazzer Flory veste i panni di Verdi in uno spettacolo che unisce prosa e musica.Ne abbiamo parlato con lui affrontando anche i suoi progetti cinematografici che riguardano il basket e Pasolini
Sabato 29 ottobre, presso l’Auditorium di Milano, Massimiliano Finazzer Flory diventa Giuseppe Verdi in uno spettacolo dedicato alle sue parole, le sue lettere, come un romanzo in prima persona. Verdi legge Verdi è una trasposizione teatrale in musica e prosa della affascinante esistenza accompagnata al pianoforte da Stefano Celeghin. Massimiliano Finazzer Flory, artista sempre in movimento tra teatro e cinema, è stato impegnato di recente anche in altri due progetti: “Un coach come padre”, un film emozionale dedicato al basket con al centro un’autentica storia italiana e “Altri comizi d’amore”, inchiesta di genere documentario sulla vita delle persone attraverso 50 interviste, come fece a suo tempo e modo il grande scrittore.
Leonardo da Vinci, i Promessi sposi, Dante, a breve Verdi. Come sceglie le storie da portare sul palcoscenico?
Scelgo la strada dei maestri. L’ammirazione è la mia motivazione. Segnati dalla gloria e non dalla fama ovvero dalla ricerca di notorietà ma dall’essere consapevoli di essere già postumi, i Maestri sono portatori di history e non di stories. La loro gloria è un dono che essi ci lasciano affinché noi si possa raccontare il loro viatico. Scelgo, insomma, campioni di incomprensioni terrene ma Maestri delle mie preghiere. Per incarnarmi in loro devo sentire la grandezza di uomini che ci includono, tutti.
“Torniamo all’antico e sarà un progresso”, diceva Giuseppe Verdi. Perché la scelta di mettere in scena la sua vita proprio adesso, in questo momento storico?
L’antico non è il passato, l’antico non passa o se preferiamo come direbbe Agostino: il presente del passato è la memoria. Che noi stiamo silenziosamente perdendo dentro una certa idea di digitale. Verdi intende dire che abbiamo qualcosa dentro di noi che non è ancora uscito verso il fuori… che ha la forma del desiderio. È quest’ultimo sentimento che sconfigge le nostre paure, non il coraggio. L’antico ha in sé una forza di trasformazione perché attiva un confronto con la Storia.
Il teatro è il punto di riferimento della sua vita ma a questo unisce anche il linguaggio audiovisivo. Ed anche attraverso il cinema si rivolge a grandi personaggi. Quale è il punto di incontro tra Pier Paolo Pasolini e Massimiliano Finazzer Flory?
Il sacro e l’indipendenza. Sembra una strana relazione. Ma da un lato c’è bisogno della tradizione più profonda, dall’altro la necessità di una rivoluzione quotidiana. In altri termini la poesia, come salvezza. Come dire: meglio le parole alle cose.
Mi porti dentro, con le parole, in “Altri Comizi d’Amore”…
L’amore come fondamento invisibile, come sorso di felicità prima che sia troppo tardi direbbe Mario Luzi. Ma anche come domanda su cosa sia l’amore. È una domanda su cui seguo Dante:
“I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’ e’ ditta dentro vo significando”.
Pg. XXIV, 52-54
Dunque, non una docufiction ma nel mio film “Altri Comizi d’Amore” realizzato in collaborazione con Rai Cinema e l’illuminata visione di Paolo Del Brocco, un docu che smaschera la fiction attraverso la scelta di intervistare i marginali di successo, gente per la strada che sa cosa essa sia.
Scienza, letteratura, storia, teatro, cinema e… sport. È un grande appassionato di basket, corretto?
Il basket è in me da oltre quarant’anni e ormai, ne sono certo, per sempre. Una passione che è nata vivendola, il basket come arte e scienza al tempo stesso. Noi siamo fatti di tempo come suggerisce Eraclito e Borges. E nel basket impari che con 5 decimi di secondo puoi cambiare la sorte di una partita. Ma il basket è anche futurismo, danza giocata su un campo pubblico e politico di integrazione non solo estetica. Da sempre integrazione di pelle. Che c’è di meglio? Forse solo tifare EA7 Emporio Armani Olimpia Milano.
Si può dire quindi che da questa passione nasce un altro suo progetto cinematografico, “Un coach come padre”…
Da una mano ferita a una mano felice e fortunata… come insegna Kant la mano è il secondo cervello dell’uomo. E allora sono partito da una storia vera per fare un film sul bisogno di coach oggi termine in voga sulla formazione. Ma prima di tutto, in questo film “Un coach come padre” in collaborazione con il Presidente della FIP Giovanni Petrucci, il ritorno è il bisogno di educatori. In particolare, nei playground, una volta si chiamavano oratori. Il risultato è sotto i nostri occhi. Se fai sport sogni e sudi il dream team non la baby gang.
Il leone di via Washington, Sandro Gamba, è il protagonista del suo documentario che potrebbe intitolarsi anche “una mitragliata e un pallone”. Che ne pensa?
L’eterogenesi dei fini. Le conseguenze non intenzionali delle nostre azioni. Penso che le sofferenze siano meno casuali dei nostri successi. Da un problema può nascere un’opportunità come insegna la storia del teatro. La commedia nasce male e finisce bene contrariamente alla tragedia che ha la direzione opposta. Nella proposta culturale del nostro tempo vedo molta brutta tragedia e poca bella commedia. Sarà il tema del Ministro Sangiuliano.
Potremmo dire che nel suo piccolo quella di Gamba è una storia epica?
Epica è certamente la modalità con la quale il cinema è sorto e solo attraverso la narrazione può sopravvivere come arte. Va inoltre sottolineato che l’epica è anche un’impresa vittoriosa da questo punto di vista lo sport è la continuazione della guerra in termini etici, politicamente corretti. Tuttavia, in Gamba c’è qualcos’altro che abbiamo anestetizzato, a volte censurato: la voglia di vincere. Per citare Epicuro con cui apro il film: non si è mai troppo giovani né troppo vecchi per la conoscenza della felicità.
Viviamo un momento culturale particolare per teatri e cinema. Gli interessi del pubblico sono cambiati e spesso non sono calcolabili. Cosa possono fare attivamente gli artisti italiani per conquistare la fiducia o la curiosità della gente?
Prima di tutto più ironia e meno ipocrisia. Gli artisti devono vivere di più i luoghi d’arte. Sembra paradossale ma non lo è. Torniamo ad esempio nei cinema ovvero nelle sale e occupiamole di eventi, di relazioni. Torniamo a prendere posizione su ogni aspetto della vita quotidiana consapevoli che la cultura è dividere la società tra chi pensa e chi non pensa e poi fare di questa differenza la cifra di Cesare… “essere inventori e interpreti de natura e de omini” mi pare a partire da Leonardo da Vinci il delizioso destino che ci ha assegnato.
Margherita Bordino
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