My soul summer, la musica per parlare e stare al mondo raccontata in un film
Il regista Fabio Mollo dirige Casadilego al suo esordio cinematografico. Il film, in anteprima ad Alice nella Città, è un racconto di formazione e determinazione, di ricerca e scoperta di se stessi. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista
“Mi sa che voglio cantare nonna”. “Canta, non devi chiedere il permesso a nessuno”. Anita è una giovane che sta inseguendo il suo sogno, la musica, un sogno condiviso – ma in modo diverso – dalle persone che la circondano e dai personaggi che incontra. Anita è la protagonista di My Soul Summer, il nuovo film diretto da Fabio Mollo (Anni da cane, Il padre d’Italia, Il sud è niente), regista sempre attento e sensibile all’identità totale dei suoi personaggi. Il film, con protagonista al suo esordio sullo schermo la cantante Casadilego (nome d’arte di Elisa Coclite, già vincitrice di X Factor nel 2020), è in anteprima ad Alice nella città e arriva in sala come evento il 24, 25 e 26 ottobre con Europictures. La storia è quella di una ragazza che sta costruendo il suo sogno con tanta dedizione e con tanti sacrifici, quando sul suo cammino irrompe un cantante un po’ “stonato”, di un’altra generazione che l’aiuta a scoprire un altro aspetto del suo sogno. Grande protagonista è la musica, quella musica che per Casadilego è fonte di vita, per Fabio Mollo la prima fonte di ispirazione che attraversa la sua passione per il Cinema.
INTERVISTA AL IL REGISTA FABIO MOLLO
Dedizione e determinazione sono le parole chiave di questo film, di questa storia di formazione? Ci sono una figlia, una madre e una nonna che in modo diverso lo sono…
Mi piace molto questa lettura al femminile, ci sono tre generazioni di donne raccontate con la determinazione di essere se stesse. La nonna (Lunetta Savino) e la madre (Anna Ferzetti) hanno un po’ perso di vista chi sono, mentre nel caso di Anita, la protagonista, anche un po’ per l’età, sta cercando di capire chi è veramente.
E cosa ti ha colpito di Anita?
L’amore profondo per la musica, che passa però attraverso il sacrificio.
Anita quindi è come Casadilego, la sua interprete…
Anita come Elisa ma anche come chi studia e ama la musica in modo profondo, dedicandosi più e più ore al giorno al proprio strumento (qui il pianoforte!). Anche solo questa è una profonda dedizione e determinazione verso la propria passione, ed Elisa quando si è approcciata al personaggio ha regalato ad Anita veramente tutto di sé.
Hai quindi scoperto qualcosa in più di Elisa, della ragazza e dell’artista?
Devo dire la verità: ho molto rubato da Casadilego la determinazione che ho affidato ad Anita; lo stesso per il rapporto con la musica che le ha richiesto tanto studio, lavoro, sacrificio e voglia di realizzare un sogno.
In che modo la musica è incontro tra i personaggi?
La sceneggiatura non è mia, sono intervenuto poi girando, ma già alla base c’era questo rapporto d’amicizia tra Anita e Vins (Tommaso Ragno), quindi tra una giovane musicista classica, che vuole assolutamente dedicare la sua vita al pianoforte, e un cantante pop rock molto famoso che ha fatto della musica la sua vita ma che è un vero animale da palcoscenico. Per lui la musica è esibizione! Sono due contrari che si attraggono, un pieno e un vuoto, hanno una divergenza e uno sguardo diverso su cosa vuol dire fare musica. Questi due sguardi sono però anche la base della loro amicizia, del loro scambio. Uno scambio che ci tenevo tanto fosse non paritario, non equilibrato e anche traditore.
La musica è un collante anche tra tutti gli altri personaggi.
Ci tenevo che fosse così! Abbiamo un Vittore (Luka Zunic) a cui non piace la musica; un Filippo (Matteo Oscar Giuggioli) che è un deejay a cui piace fare festa con la musica; una madre che vive la passione della figlia come fosse sua; una nonna che incoraggia questa nuova strada della nipote verso il canto proprio perché riconosce nella musica questo potere: far scoprire qualcosa di altro, che non sapevi di avere o che non conoscevi.
Cos’è per te la musica?
Quando mi sono approcciato a questo film me lo sono chiesto tante volte e prima di andare sul set. Mi sono fatto guidare da Casadilego perché per lei vivere la musica è respirare, è come bere un bicchiere d’acqua, per parlare e per stare al mondo. La prima cosa che abbiamo fatto io ed Elisa è stata usare la musica per comunicare tra noi…
In che modo?
Abbiamo fatto una playlist che ascoltavamo insieme, abbiamo parlato ore e ore di musica, non della sua né di quella che può piacere a me. Da lì siamo arrivati a raccontare unendo i nostri sguardi. Per quanto mi riguarda ho portato nel rapporto con lei una musica connessa alla mia passione per il cinema. La musica d’altronde è stata la prima fonte di ispirazione e di racconto, da ragazzo, un po’ come molti, scrivevo delle canzoni e le suonavo con la chitarra…
La musica non è mai casuale, non credi?
Se stai ascoltando una canzone in quel preciso momento c’è un motivo, ne sono certo! Anche se non la cerchi tu ma sta passando in radio, non è un caso: ho sempre avuto questa sensazione! Ed è anche lo stesso mood che ho messo volutamente nel film. La musica che Anita sta ascoltando non è casuale ma racconta qualcosa di lei. Devo dire che questo è anche un elemento che torna spesso nel mio cinema e in Anita prende piena potenza perché lei canta canzoni per raccontare, svelare se stessa.
La madre dice ad Anita: “Tu hai una responsabilità verso il tuo talento. Hai il pianoforte ma ora pensi di metterti a cantare”. Non credi che viviamo in una società in cui se ti dicono di splendere è meglio non farlo? Che sia quasi diventato un “vizio di forma”?
Una bellissima analisi! Io vengo da una generazione che ha dovuto sgomitare tanto perché quella precedente alla mia non lasciava spazio. Dalla mia in poi credo che tutti abbiamo subito questo. Ad oggi nei ruoli di potere ci sono sempre le stesse generazioni. Questo è significativo del fatto che chi ci ha preceduto è intimidito dal talento di chi viene dopo e questo c’è molto nel rapporto tra Anita e Vins, ma meglio non anticipare troppo! Diciamo che il loro è un rapporto spietato nella sua bellezza. Qualcosa in cui molti si rivedranno.
È una mia impressione o quasi sempre i tuoi film, scritti o non da te, sono storie di chi cerca una risposta al “chi sono io”?
Fondamentale, non accetterei i film su commissione se non fosse così! Vengo da un cinema molto personale, solo negli ultimi anni ho lavorato su progetti più commerciali e dal largo pubblico. Per me è sempre centrale che ci sia qualcosa in cui posso rispecchiarmi, non per egocentrismo ma per esigenza cinematografica. Per me il cinema è un’esplorazione della vita, mi ha insegnato a diventare uomo o forse mi insegnerà ad esserlo. Attraverso i film ho esplorato la vita e l’identità di altri. I miei personaggi devono essere alla ricerca di se stessi, della propria identità, non devono accontentarsi, mai essere troppo sicuri, devono essere anche un po’ rotti e quindi alla ricerca di una dimensione. È questo il sentimento che mi guida… E soprattutto non giudico mai i miei personaggi, e questo mi aiuta tanto a farli viaggiare e anche a farli sbagliare.
Margherita Bordino
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