Cinema: La pantera delle nevi. Il documentario che ci ricorda che non siamo soli
La pantera delle nevi è nelle sale dallo scorso 20 ottobre con Wanted. Il doc, diretto da Marie Amiguet e Vincent Munier, ha la voce narrante del Premio Strega Paolo Cognetti
Un fotografo, uno scrittore e una regista in un’avventura documentata in modo cinematografico ne La pantera delle nevi. Il documentario, di grande successo in Francia, nasce da un’esperienza diretta di Vincent Munier e da un successivo viaggio condiviso e fatto di altri incontri, anche artistici. Entrando più nel dettaglio, di cosa racconta? Come riporta la trama ufficiale: su un altopiano tibetano, tra valli inesplorate e impervie vallate si trova uno degli ultimi santuari del mondo selvaggio dove vive una fauna rara e sconosciuta. Munier, uno dei fotografi di fauna selvatica più famosi al mondo, accompagna l’avventuriero romanziere Sylvain Tesson nella sua ultima missione. Per diverse settimane, i due esploreranno queste valli alla ricerca di animali unici e cercheranno di avvistare il leopardo delle nevi, uno dei più rari e difficili felini da avvicinare. L’intervista con il fotografo Vincent Munier.
Cosa deve essere chiaro agli spettatori?
Questo film non è solo un film sulla pantera delle nevi né solo un documentario sugli animali come siamo abituati a vederli sulla BBC.
Di cosa parla La pantera delle nevi? Quale è il suo focus principale?
Parla di un incontro tra un fotografo e un autore “che si è avventurato in questa spedizione, nell’appostamento alla ricerca di animali selvaggi”. E’ quindi un film che invita lo spettatore a venire accanto a noi dove c’era un minimalismo incredibile: eravamo pochissimi, eravamo solo noi due o quattro al massimo, una troupe piccolissima, soprattutto per non spaventare gli animali. E’ stato il più sincero e autentico possibile, senza alcuna mise en scène. E’ stato come condividere un patrimonio: io sono un fotografo che ha girato il mondo e il mio obiettivo è sempre stato arrivare il più vicino possibile alla realtà e ho sempre cercato di rispettare gli animali – è stata un’esperienza molto personale.
Andiamo al principio di tutto. Come ha inizio questa tua avventura?
Questo film inizia con me da solo. Ho passato un mese ad orientarmi tra tutti gli animali e a poco a poco, alla terza spedizione, sono riuscito a scovare anche la Pantera delle nevi, avevo accumulato parecchi scatti di animali, e dopo questo ho pensato di invitare Sylvain Tesson, voleva venire con me, e quindi gliel’ho proposto. Il film è effettivamente sull’incontro tra me e lui e poi ho chiamato Marie Amiguet che si è dedicata al filmarci senza interferire in alcun modo nelle scene.
Come è andata tra te e Sylvain Tesson?
Sylvain all’inizio era un po’ ansioso e angosciato di dedicarsi a questa spedizione perché è una persona che si muove e parla molto anche da ciò che si evince dal suo rapporto con i media in Francia, poi invece è stato molto posato e discreto ed è riuscito a stare almeno 8 ore nascosto, e scriveva in continuazione.
I titoli di coda sono composti da fotografie che riempiono il cuore e dalla musica di Nick Cave. Come è nata la collaborazione con lui?
E’ davvero un racconto magnifico e poi la ciliegina sulla torta è stata la musica di Warren Ellis e la voce di Nick Cave, è stato un sogno lavorare con una musica così minimalista che si accordava perfettamente con i paesaggi tibetani, un po’ austeri ma la musica era così sottile, poco invadente, ma che creava atmosfera. E’ stata un’occasione speciale che abbiano accettato.
Raccontami bene come è andata.
Stavamo montando ancora il primo girato del film e sia Ellis che Cave erano molto occupati e sono riusciti a ricavare uno spazio nella loro agenda per comporre l’intera colonna del film, è stato un sogno. Hanno realizzato un equilibrio sottile tra suoni della natura, perché abbiamo proprio lavorato con i microfoni a fianco ad essi, la musica, le parole che scambiavamo io e Sylvain e il silenzio – non è stato affatto facile, ci sono voluti ore e giorni per realizzarla e montarla nel film. E alla fine si vede la pantera della nevi, e non c’è mise en scene, è davvero il girato di quando l’abbiamo notata. Penso che senza la visione della pantera alla fine il film sarebbe stato diverso, è stata una grande fortuna vederla solo tre giorni prima della fine del viaggio. La pantera che uccideva uno yak che dormiva dentro una grotta, il clou del film.
Possiamo dire che “La pantera delle nevi” è un film con più sinergie!
E’ stato un film di incontri su incontri, competenze e talenti: tra le creature, la musica, filmare insieme a Marie – un mélange che ha ben funzionato; io ho avuto la fortuna di essere lì, “ho vissuto come dentro una fotografia di Marie”.
L’importanza di questo film va ben oltre il suo protagonista, non credi?
Penso che l’importanza di questo film, e lo abbiamo visto con il successo riscosso in Francia, non è solo il fatto di aver visto la pantera e di vivere ciò che abbiamo vissuto ma anche il fatto di aver vissuto a stretto contatto con tutti gli animali che ci circondavano. La pantera delle nevi è un pretesto, come un affare personale tra me e lei, per la mia carriera da fotografo naturalistico, ma non vale per tutti. Questo film funziona bene e ha funzionato benissimo in Francia perché tende a risvegliare ciò che ognuno di noi ha nel profondo, ci fa meravigliare di ciò che abbiamo intorno. Può essere aver visto “una creatura là” o una renna, cose che sono vicino a noi e ciò ci aiuta ad aprire la mente e a risvegliarci perché siamo molto severi con noi stessi, siamo stati formati fino dai primi anni di scuola per lavorare e consumare – è il grande dramma della nostra società, ci si dimentica di vivere alla fine – e ci dimentichiamo di entrare in contatto con tutti gli altri esseri viventi – ci dimentichiamo che non siamo soli. Questo film ha la sua trama, ma ci porta alla mente concetti come il fatto che non siamo soli, “We’re Not Alone” è la frase del brano di Nick Cave e Warren Ellis, e “prendi il tuo tempo”, rallentiamo, prendiamoci il tempo di nutrirci di questa bellezza.
Come mai della natura proponi solo scatti di qualcosa di bello e il brutto lo lasci da parte? Non sei un “classico” fotoreporter…
Ho cominciato a fotografare occupandomi di foto per la stampa, ero un fotoreporter, ma ero troppo sensibile e fragile per lavorare ogni giorno in quei contesti, i conflitti e tutti i lati più oscuri dell’umanità. Era difficile. Preferisco mostrare una parte più bella, senza fingere o mentire, penso sia complementare al resto – credo che sia indispensabile vedere anche del bello oltre a tutto ciò che di duro e atroce esiste al mondo. E’ come una medicina, quasi terapeutica: vedere una bella immagine e ti senti meglio, senza un peso. Spero succeda lo stesso con questo film, che possa fare bene, credo che ne abbiamo tutti bisogno.
Quali sensazioni ti sono rimaste addosso dopo l’incontro con il Leopardo delle nevi?
E’ difficile esprimere con parole, Sylvain lo fa benissimo per tutto il film, io parlo tramite immagini. E’ qualcosa di veramente personale, qualcosa di innato, che viene da tanto tempo fa e coinvolge chi fa parte della mia vita, è difficile esprimere a parole ciò che ho visto. Ci ho provato tramite immagini, ma è evidente sia stato uno shock, e al tempo stesso è paradossale perché hai tutto il giorno animali attorno, che vivono in quel posto, li vedi e ti fanno stare bene; poi c’è lei, che non vedi ma sai essere là e questo ti fa stare ancora più bene. L’ho vista dentro una foresta, ho notato la sua presenza nell’ombra, non volevo vederla subito, la società di oggi ci spinge all’immediatezza, tutto uno “spendi e consuma” subito, trovo invece che il sapere attendere sia importante. Ho visto una pantera anche nelle Alpi in Francia, possibile ce ne siano anche in Italia, e anche avendo passato diverse notti a cercarla ed è stato stupendo – quando la vedi il momento molto intenso ma è come se si rompesse una sorta di aurea di mistero. E’ bello sapere della sua presenza senza vederla.
Ti definisci “un ragazzino che vive di sogni e immagini di animali mitici”. Qual è il prossimo sogno che vuoi realizzare?
Sto patendo molto il fatto che tendiamo a fare del male agli altri esseri viventi. Un sogno sarebbe che l’uomo fosse meno arrogante e provasse a vivere in armonia, lasciando più spazio e pace al mondo selvaggio. Questo è un mio sogno: credo che l’uomo non si renda conto a che punto si sbagli direzione, e si crede di poter decidere per gli altri. Il mio sogno sarebbe un risveglio delle coscienze e la scoperta che la vita non è solo qualcosa di materiale, di comfort. E non è solo questione di dormire nella foresta tra gli animali, io non sono uno scienziato ma sono un osservatore naturalista e mi sono reso conto di quanto sia tutto interconnesso, e di quanto ogni cosa sia interdipendente senza bisogno di altro artificio. Ce ne siamo resi conto durante la pandemia: siamo diventati vulnerabili in qualche modo a causa delle nostre colpe, è giusto svegliarsi e muoversi in modo opposto, fermarsi dal sovra-consumare ed essere irrispettosi verso gli altri.
Margherita Bordino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati