Intervista a Michele Placido sul suo Caravaggio bohémien e pasoliniano
In una delle location coinvolte per il lancio della pellicola dedicata al Merisi, la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, il regista ha raccontato come l'arte permei ogni aspetto del film
Michele Placido siede di fronte alla Canestra di frutta di Caravaggio, alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. In occasione dell’uscita del suo film L’Ombra di Caravaggio lo scorso 3 novembre, la produttrice Federica Luna Vincenti ha stimolato una collaborazione con alcune fra le principali gallerie d’arte in Italia e diversi musei internazionali, in cui il pubblico potrà visionare delle scene tratte dalla pellicola e dove presenzierà parte del cast. A Milano, questa scelta non poteva che cadere sull’Ambrosiana (in pieno rilancio), custode di uno dei capolavori più famosi di Michelangelo Merisi, interpretato nel film da Riccardo Scamarcio, anche grazie alla mediazione del segretario generale della Veneranda Biblioteca Ambrosiana Antonello Grimaldi, per cui “la cura del patrimonio è sacrosanta ma non meno rilevante è la sua valorizzazione anche economica, che, quando c’è, genera un circolo virtuoso, diventa volano per una maggior cura dello stesso patrimonio”. Un’opera, questa, rivoluzionaria, ricordano dalla stessa Pinacoteca, in cui Caravaggio va ad elevare un soggetto umile con riferimenti alla vanitas umana creando un particolare equilibrio grazie a una asimmetria geometrica e così dimostrando per vera quella frase a lui attribuita che riconosce come “tanta manifattura gl’era à fare un quadro buono di fiori, come di figure”.
INTERVISTA A MICHELE PLACIDO IN OCCASIONE DEL LANCIO DE L’OMBRA DI CARAVAGGIO
L’arte permea il film, anche laddove meno ce la si aspetta. Così la similitudine tra questo Caravaggio, un po’ bohémien ante litteram, e Pier Paolo Pasolini: in cosa sono vicini?
Approfondendo la conoscenza del Merisi con gli sceneggiatori Fidel Signorile e Sandro Petraglia e facendo ricerche nell’arco di cinque anni in tanti musei e archivi, Vaticano incluso, abbiamo compreso non tanto l’arte di Caravaggio, che molti conoscono, quanto il suo privato. È proprio il suo privato che noi siamo andati a scandagliare per capire chi erano quelle madonne e quei santi che lui ritraeva, nient’altro che prostitute e persone che vivevano ai margini della società, alla deriva. Abbiamo studiato la Comunità di San Filippo Neri, l’equivalente della Caritas oggi, e quanto Caravaggio la frequentasse: beh, se noi pensiamo a Pasolini la loro storia è davvero simile. Entrambi dalla provincia erano arrivati al grande palcoscenico che era la città di Roma, facendo il primo approdo nelle borgate e nei vicoli dove accadevano scene di violenza e dormivano poveracci. Entrambi, pur vivendo in questi ambienti, erano artisti riconosciuti e amati nei salotti della migliore Roma: Caravaggio era a Palazzo Madama, dai Colonna, e lì vicino presso piazza Farnese Pasolini frequentava i più grandi scrittori e artisti, da Moravia a Bertolucci. Ed entrambi, la notte, diventavano ombre che fuggivano in luoghi oscuri della Suburra romana, e così per loro si è compiuto lo stesso destino. Sia Pasolini sia Caravaggio trovano la fine della loro esistenza in riva al mare.
Come avete scelto le opere per riflettere il nuovo personaggio dell’Ombra, la spia vaticana che insegue il Merisi per tutto il film, ma anche l’ombra delle opere di Caravaggio e della sua vita?
Noi facciamo cinema, non siamo critici d’arte: chiunque ormai conosce la luce e il buio di Caravaggio, le tecniche e le opere. Abbiamo fatto un lavoro importante, almeno per noi, il cui significato più intrinseco nasce dal fatto che i personaggi che sono nei quadri che abbiamo scelto sono vite vere e vissute, non inventate. L’Ombra sì, è inventata, ma ci serviva cinematograficamente parlando per fare cinema, che io considero un’arte pop. I geni sono davvero pochi nel cinema, da Orson Welles a Fellini, noi altri siamo dei bravi professionisti e mestieranti, nel senso più nobile di mestiere. Noi vogliamo informare e intrattenere il popolo che va al cinema, che è a tutti gli effetti arte popolare.
L’idea di fare il film ha qualche anno, ma l’ispirazione viene da molto prima, viaggia fino alla sua ammirazione nei confronti di Giordano Bruno.
Sì, ho omaggiato nel film la figura di Giordano Bruno, quasi coetaneo di Caravaggio e che frequentava i suoi stessi quartieri, le stesse zone. Il più terribile di questi luoghi era il carcere Tor di Nona, a Roma, dove Giordano Bruno stava subendo l’inquisizione da parte della Chiesa, che durerà quasi sei anni e lo porterà al martirio a Campo dei Fiori. Caravaggio, per la sua vita scandalosa tra duelli, ubriacature e arresti, era a sua volta frequente ospite di questo carcere, e in un carcere ci si conosce tutti, si sanno le storie di chiunque. Lì ho voluto fare questo omaggio.
Da un punto di vista religioso, l’ispirazione caravaggesca è molto moderna nel suo mettere al centro l’uomo e la donna reali, ribaltando santi e madonne.
Caravaggio, più che al cattolicesimo, è vicino al cristianesimo. E c’è una bella differenza. In ogni forma di questa religione, dai luterani agli anglicani, c’è in comune la figura dell’uomo-Cristo. Poi tutte le altre discussioni sono libertà di pensiero, ma come diceva il regista Damiano Damiani: “Seguiamo l’uomo Cristo, il rivoluzionario”.
Giulia Giaume
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