Il Buondì Motta e la fatina ammazzata. Spot e polemiche

La nuova campagna dedicata al mitico Buondì Motta rispetta la recente tradizione aziendale. Politicamente scorretta, ironica, fantasiosa, divide osservatori e consumatori. Troppo violenta o deliziosamente irriverente? E torna in mente il meteorite...

Torna a far discutere il mix di ironia, fantasia e cinismo con cui la storica azienda dolciaria Motta ha scelto di identificare la sua strategia di comunicazione. Un nuovo spot, declinato in tre versioni, punta sulla più classica tra le scene domestiche. Un’allegra famigliola, una cucina, l’ora della colazione e un soffice protagonista: il solito Buondì da inzuppare nel caffellatte. Stesso soggetto di qualche anno fa, stessa merendina e stesso mood. E stesse polemiche, naturalmente. Qualcosa è andato storto in quel quadretto familiare, proprio come allora.

Buondì Motta, campagna 2017

Buondì Motta, campagna 2017

QUANDO IL BUONDÌ DIVENTAVA UN METEORITE

Era il 2017 e Motta lanciava una serie di spot destinati a generare il caos. Un massiccio Buondì-meteorite giungeva dallo spazio a zittire una ragazzina sorridente, interrompendo la sua stucchevole filastrocca promozionale (“vorrei una colazione leggera ma decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità!”): travolti la mamma, il papà, persino il postino, miscredenti demolitori dei desideri della piccola. Tutti inceneriti dall’improbabile oggetto volante, piombato in giardino per dimostrare che sì, una merenda così buona esisteva davvero.
Nel giro di niente esplose un terremoto, tra valanghe di commenti sui social, lettere di protesta, articoli sui giornali… Sconvolte le “mamme pancine”, indignati consumatori tradizionalisti e inflessibili difensori del “buon esempio”. Sopprimere una mamma amorevole, mandare all’ospedale una famiglia intera, per promuovere una merendina? Diseducativo, inaudito, di pessimo gusto.
In realtà la campagna, partorita dall’intelligenza dei creativi di Saatchi & Saatchi, era esilarante, geniale, pensata per distruggere tutti gli stereotipi possibili, a cominciare da quelli della stessa industria pubblicitaria, traboccante di testi ruffiani, di pose affettate, di immagini zuccherose. Un modo, tra l’altro, per svecchiare un prodotto della tradizione (il lancio della famosa brioche con i granelli di zucchero risale al 1953), trasferendogli un carattere più audace, divertente, contemporaneo, lontano dalla retorica di un tempo. Al netto delle polemiche – a cui fecero da contraltare moltissimi apprezzamenti – lo spot divenne un tormentone, finì al centro del dibattito nazionale e vinse la sua sfida comunicativa.

Campagna Buondì Motta 2022 - teaser social

Campagna Buondì Motta 2022 – teaser social

IL NUOVO SPOT MOTTA: REALTÀ VS FIABA

A cinque anni di distanza, dunque, Motta ci riprova. Ancora una volta ribaltando gli schemi e scegliendo la via dell’umorismo. Nulla a che vedere con la rassicurante, edulcorata narrazione pubblicitaria, affezionata ai cliché e al politically correct. Stavolta la firma è dell’agenzia milanese Connexia, che costruisce un’intera campagna intorno alla figura di una fatina bionda, vestita di rosa, munita di ali e bacchetta magica. Un primo teaser sui social mostrava la fata la telefono, impegnata in una misteriosa conversazione, pronta a misurarsi con “una magia per una colazione golosa e leggera”. Compito “FATAstico”, da eseguire al volo. E il giochino di parole è servito. Stay Tuned, avvertiva il post.
Circa un mese dopo sarebbe arrivata la triade di spot. Nella versione uno, dedicata al Buondì classico, è il papà a commettere l’esecrabile gesto: la minuscola fata svolazza sul tavolo, annunciando con voce stridula l’incantesimo imminente. Una colazione golosa e leggera? “Ma è già così!”, sbotta lui, in un misto di sonno, sdegno e fastidio, schiacciandola tra le mani, manco fosse una zanzara. Stessa situazione per la variante al cioccolato: “L’incantesimo è certo. Di cacao sia ricoperto!”. Stavolta è la figlia ad ammazzarla, con un colpo secco di paletta schiaccia-mosche. Terzo e ultimo set, in giardino, dinanzi a un Buondì ripieno di marmellata: “La magia scocca. Sia farcito all‘albicocca!”… Si agita e strilla, la creatura, con i suoi inutili abracadabra. E in pochi istanti finisce disintegrata sul tavolo con una manata della mamma killer.

Chi l’ha detto che al risveglio siamo tutti rilassati e amorevoli? Il suono della sveglia, la fretta per andare a scuola e al lavoro, l’insofferenza a chiacchiere e rumori: la realtà è ben lontana dai quadretti della réclame. Ed è proprio un affilato principio di realtà a orientare la filosofia della campagna, che punta tutto sull’idea di una merenda di qualità, riconosciuta come tale, concretamente e tangibilmente buona. Non serve inventarsi favole, costruire chimere, ricorrere a leziosi stratagemmi narrativi. A vincere è il prodotto, così com’è. E ancora una volta nel mirino c’è la retorica pubblicitaria – di cui la fata è metafora buffa – con la sua stereotipata, fasulla, idealizzata immagine del mondo, strumento per indurre nel consumatore quella sottile mistura di frustrazione e desiderio.
Lo slogan finale, tornando ai facili calembour intorno al termine “fata”, recita così: “Buondì Motta. La colazione leggera e golosa, fata già così”. Ha spiegato bene il senso di questa operazione Riccardo Catagnano, executive creative director di Connexia: “Bill Bernbach scriveva che ‘The magic is in the product’ e noi, con l’ultima campagna Buondì, l’abbiamo preso alla lettera. Lo abbiamo fatto esautorando una fatina che prova a rendere magica una colazione che è già “FATAstica” così com’è. Il risultato è liberatorio: una colazione finalmente epurata dalle sovrastrutture pubblicitarie e che racconta il momento meno magico della giornata di ognuno di noi”.

REATO DI FATINICIDIO. LE ACCUSE CONTRO MOTTA

A molti lo spot non è piaciuto, tra riferimenti a un evocato femminicidio e critiche più generiche contro un’implicita idea di violenza. Per zittire chi ci dà fastidio basta farlo fuori, schiacciarlo come un insetto. Ancora una volta l’accusa è di risultare diseducativi, fuori luogo. Ad accendere le polemiche sui social è Aestetica Sovietica, magazine on line interessato ad “analisi sociale, linguaggio della politica, stereotipi di genere e rappresentazione delle minoranze”. La critica arriva con un lungo post su Instagram, che ad oggi supera gli 11.500 like. La colpa di Motta? Insegnare che “è quello il modo corretto per chiedere a qualcuno di fare silenzio. Silenziarlo. E sulla violenza in famiglia si crea un clima di connivenza”. Il ‘fatinicidio’, in sostanza, indurrebbe nella mente del consumatore un parallelismo automatico con il mondo reale, legittimando reazioni aggressive, in particolare nei confronti del genere femminile.
Quanto al fatto che la fatina è un essere immaginario e che nessun elemento oggettivo, nello spot, rimanda a dinamiche interpersonali, sociali, familiari, la pagina risponde che vale comunque la pena parlarne e indignarsi, perché quella fatina “ha le sembianze di una persona, in particolare di una donna (…) in un mondo che fa costantemente ‘tone policing’ alle donne”. E ancora: “Esiste violenza di genere in questo spot? Sì, L’estetica della fatina è uno stereotipo del femminile per eccellenza, tutto da decostruire ma, proprio come da manuale, racchiude il rosa, i capelli biondi, la collana di perle. Anche un po’ il cliché della donna stupida. E quando si sta riprendendo, dopo un primo schiaffo che l’ha messa al tappeto, noi continuiamo a colpirla per levarla di torno (…). Più i simbolismi sono sottili, fra le righe, e più facilmente si infileranno nella nostra testa”. Lettura radicale, militante, ultra severa, ideologica. Forzata, secondo molti, necessaria secondo altri. I commentatori si dividono, il dibattito tiene banco. Tra i diversi contributi anche quello di Matteo Flora, comunicatore, esperto di sicurezza informatica e storytelling digitale, che su Youtube imbastisce un’analisi molto dura (“La nuova pubblicità del Buondì Motta, deliziosamente scorretta, ci insegna come trattare le donne petulanti: ammazzandole. Oggi parliamo di Responsabilità, della Bambola Bobo, dell’apprendimento vicario e del perché fossi un pubblicitario della Motta non dormirei sogni tranquilli…“).

Una slide del post di Aestetica Sovietica contro la pubblicità del Buondì

Una slide del post di Aestetica Sovietica contro la pubblicità del Buondì

LA REAZIONE DI MOTTA

A irritare ulteriormente gli autori di Aestetica Sovietica è la reazione dell’azienda. Le risposte del social media manager di Motta restano su un registro leggero, quasi canzonatorio, in un dialogo confidenziale con gli utenti: “Nessuna fatina è stata realmente danneggiata per la realizzazione di questi spot”. E in risposta a chi intima “Le fatine non si toccano!”, il tono è ancora scherzoso: “Mai, nemmeno con un fiore, siamo d’accordo! Ma questa non vuole proprio accettare che la colazione leggera e golosa è #giàcosì. Tu come glielo faresti capire? Accettiamo suggerimenti :)”.
In seconda battuta arriva il comunicato ufficiale, che prova a placare gli animi: “Siamo aperti alle critiche costruttive ed è del tutto normale che ci siano opinioni contrastanti sul buono o cattivo gusto di uno spot che fa uso di un’ironia pungente e dissacrante. Ci dispiace, quindi, se la nostra creatività ha colpito la sensibilità di alcuni spettatori perché l’unico intento dello spot è comunicare in tono frizzante e distintivo l’unicità di Buondì Motta”. Campagna nient’affatto ritirata, rivendicando anzi la volontà di utilizzare “il paradosso e l’iperbole comica” per far passare un messaggio semplice. Ovvero, la merendina è tanto gustosa quanto light. Sul serio. Non serve nessuna magia o sofisticazione.
Come cinque anni fa, quel pizzico di cinismo fa la differenza. Se gli stereotipi sul femminile sono odiosi, altrettanto insopportabili sono quelli coltivati dai pubblicitari. A cominciare da certe narrazioni iper codificate, banalizzanti, smielate o inchiodate al politicamente corretto. E l’idea del luogo comune che la fatina in qualche modo incarna, a proposito di rappresentazione del mondo da parte dell’industria dell’advertising e della comunicazione di massa, viene colpito dal sarcasmo dello spot. Silenziata, sì, ma per finta e per sorridere, come in una puntata di Tom & Jerry, di Willy Coyote, di Gatto Silvestro, dove catastroficamente si finiva spiaccicati, polverizzati, in mille pezzi, fra teatrini dell’assurdo infarciti di comicità. Per poi risorgere, aspettando la prossima avventura.
La violenza contro le donne e gli abusi sulle minoranze sono un fatto serio. Cercarne simboli e moventi ovunque, persino in uno spot giocoso, inverosimile quanto un cartoon, non è forse così utile alla causa. Se tutto è pericolo e minaccia, niente lo è. E l’ironia, come l’irriverenza, continueranno a salvarci dalla melassa e dalla banalità. Insidiose, come i cliché.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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