Marco Bellocchio a Cannes. Il film sul bimbo ebreo rapito dalla Chiesa

Rapito arriva al cinema dal 25 maggio: un film importante e contemporaneo, complesso e lucido che esce in un momento storico strategico, a quasi 40 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi

Il cinema americano ha Martin Scorsese, ma noi abbiamo Marco Bellocchio. Il maestro, dopo l’evento speciale con Esterno Notte a Cannes 2022, torna al Festival e in Selezione Ufficiale con Rapito, un film che ha più livelli di lettura e più temi, che riguarda un delitto – come spiega lo stesso Bellocchio – ma anche un tradimento, una famiglia spezzata, il peso della religione (e dell’inquisizione) e l’abbandono. Rapito è un film forse fuori moda, ma importante, pur ambientato alla metà del XIX secolo. Non pretende di dare risposte, e anzi sottopone allo spettatore una serie di domande su cui riflettere. Una grande storia che arriva da una vicenda brutale della realtà, che ha in sé l’eroe, ma anche il villain. Il primo è un padre disperato, che non si arrende alla sottrazione del figlio avvenuta da parte della Chiesa, il secondo è Papa Pio IX che ha imposto e preteso il rapimento del titolo. Può un bambino essere sottratto alla sua famiglia per una questione di culto religioso? Può la Chiesa imporre la conversione? Può un bambino scegliere una religione in cui riconoscersi?

Rapito, Marco Bellocchio. Nella foto Fabrizio Gifuni. Photo Anna Camerlingo

Rapito, Marco Bellocchio. Nella foto Fabrizio Gifuni. Photo Anna Camerlingo

EDGARDO MORTARA, EBREO RAPITO DALLA SANTA ROMANA CHIESA

Rapito mette in scena, come fosse una lucida lente di ingrandimento, la storia di Edgardo Mortara. La vicenda si svolge tra eventi storici di rilevanza epocale, il Risorgimento italiano, il declino del potere temporale dei papi, la presa di Roma e l’Unità d’Italia. È una storia di tradimento, di lotta, di conversione. Il piccolo Edgardo – sesto degli otto figli di Salomone (Momolo) Mortara e Marianna Padovani, famiglia ebrea – non ha neanche 7 anni quando nel 1857 viene sottratto alla sua famiglia dai gendarmi pontifici e condotto a Roma su mandato del Sant’Uffizio dell’Inquisizione sotto il diretto controllo del papa Pio IX. Il motivo? Una domestica cattolica, temendo che il piccolo fosse gravemente malato e potesse morire, lo battezza di nascosto e così segna il futuro di Edgardo. La legge papale è inappellabile: il bambino dovrà ricevere un’educazione cattolica, e così viene allontanato dalla famiglia. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia della famiglia Mortara assume presto una dimensione politica, ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Edgardo cresce secondo l’educazione cattolica e ormai ragazzo rifiuta di abbandonare il convento dei Canonici Regolari Lateranensi a San Pietro in Vincoli, dove vive in apparente adesione alla politica del papa di cui assumerà anche il nome, Pio, al momento di essere ordinato sacerdote. Tanto forte è stata la pressione esercitata su di lui in età infantile e tanto sottile il condizionamento subìto, che Edgardo Mortara tenterà di far convertire la sua famiglia e continuerà a fare opera di proselitismo a favore della Santa Romana Chiesa sino alla sua morte, avvenuta nel monastero dei canonici regolari di Bouhay, in Belgio, nel 1940.

Rapito, Marco Bellocchio. Photo Anna Camerlingo

Rapito, Marco Bellocchio. Photo Anna Camerlingo

LA PAROLA A MARCO BELLOCCHIO

La storia del rapimento del piccolo ebreo Edgardo Mortara mi interessa profondamente perché mi permette di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio assoluto”, dichiara Marco Bellocchio. “‘Io ti rapisco perché Dio lo vuole. E non posso restituirti alla tua famiglia. Sei battezzato e perciò cattolico in eterno. Il Non Possumus di Pio IX ammette sia giusto per una salvezza ultraterrena schiacciare la vita di un individuo, anzi di un bambino che non ha, poiché bambino, la forza per resistere, per ribellarsi. Rovinando la sua lunga vita anche se il piccolo Mortara rieducato dai preti resterà fedele alla Chiesa cattolica, si farà prete (e questo è un affascinante mistero che non si può liquidare col solo principio della sopravvivenza, perché dopo la liberazione di Roma Edgardo, potendo finalmente “liberarsi”, resterà fedele al Papa) e anzi tenterà fino alla morte di convertire la sua famiglia rimasta fedele, invece, alla religione ebraica”. E aggiunge: “Il rapimento di Edgardo Mortara è anche un delitto contro una famiglia tranquilla, mediamente benestante, rispettosa dell’autorità (che era ancora in Bologna, l’autorità del Papa-Re), in anni in cui si respirava in Europa un’aria di libertà, dove si stavano affermando ovunque i principi liberali. Tutto stava cambiando e proprio per questo il rapimento del piccolo rappresenta la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare. I regimi totalitari hanno spesso dei contraccolpi che per un momento li illudono di vincere (il breve risveglio che precede la morte)”.

Margherita Bordino

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

Scopri di più