Futuro Antico. Intervista al regista Giacomo Abbruzzese

Il suo ultimo film, “Disco Boy”, ha ottenuto l’Orso d’Argento alla Berlinale 2023: Giacomo Abbruzzese riflette sul valore della distanza nell’approccio alle cose e su quanto la storia venga riscritta costantemente, ma solo dai vincitori

Nato a Taranto, classe 1983, Giacomo Abbruzzese si è laureato in Scienze della comunicazione all’Università degli Studi di Siena e ha conseguito il master in Cinema, Televisione e Produzione multimediale nel 2008 all’Università di Bologna.
Fotografo in Israele e Palestina, si è diplomato nel centro de Le Fresnoy ‒ Studio National des Arts Contemporains di Tourcoing, in Francia.
Selezionato e premiato per i suoi cortometraggi nell’ambito di numerose manifestazioni, nel 2022 è candidato ai Premi César per il documentario America e nel 2023 presenta alla Berlinale il suo primo lungometraggio, Disco Boy, con Franz Rogowski, aggiudicandosi l’Orso d’argento.

Alexei (Franz Rogowski) in Disco Boy di Giacomo Abbruzzese

Alexei (Franz Rogowski) in Disco Boy di Giacomo Abbruzzese

INTERVISTA A GIACOMO ABBRUZZESE

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Le cose che abbiamo amato in qualche modo costruiscono il nostro sguardo, il modo che abbiamo di pensare il mondo. In letteratura per me sono stati fondamentali Dostoevskij, Kafka, Céline. Ma poi ci sono stati tanti altri libri importanti, sia di narrativa, come La Luna e i falò di Pavese, o di filosofia, come l’immagine-tempo L’immagine-movimento di Deleuze, Il tempo e lo spirito di Merleau-Ponty.
Nel cinema penso a Godard, Kubrick, Tsai Ming-Liang, Herzog, Fassbinder, Antonioni, Pasolini.
Per quanto riguarda le arti plastiche è più difficile. Forse i colori di Rothko e Matisse, per stati d’animo molto diversi.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Un cortometraggio di finzione, Fireworks, girato nel 2010, su un gruppo di ecoterroristi che decide di far saltare in aria l’Ilva di Taranto, tra i fuochi d’artificio del 31 dicembre. La questione dell’acciaieria era totalmente assente a livello nazionale. Volevo che le riprese avessero una dimensione performativa e politica, scelsi allora quasi tutte location vietate per vincoli industriali o militari. In quegli anni si girava ancora pochissimo in Puglia e, quando la polizia arrivava per cacciarci, era sorpresa di trovare sul luogo tutta una troupe cinematografica. Chiedevo ogni volta il permesso per una location adiacente e fingevamo di esserci sbagliati. Riuscivo a strappare almeno un take, mentre i poliziotti emozionati guardavano, in qualche modo tornavano bambini. In Italia, nel bene e nel male, sono possibili cose totalmente inverosimili. Sempre per Fireworks, volevo girare una scena aerea sopra l’Ilva, che mostrasse in qualche modo l’estensione apocalittica, atroce, della fabbrica, grande tre volte la città. In quel caso si trattava di violare segreto industriale e segreto militare, persino su Google Maps tutta l’area era sfocata.

Cosa accadde, dunque?
Chiesi a mio cugino, operaio all’Ilva, se c’era un giorno in cui i controlli fossero più blandi. Mi consigliò il 1° di gennaio. Quel giorno andai quindi in un’altra cittadina pugliese, affittai un elicottero (all’epoca non esistevano i droni) e convinsi il pilota a comunicare una finta traiettoria alle torri di controllo. Con una camera sospesa, attaccata all’elicottero, fingemmo di aver sbagliato percorso e attraversammo tutta la zona dell’acciaieria, riprendendo tutto. È l’inquadratura di cui sono più fiero, in qualche modo storica: non c’è altro archivio di questo tipo. In contemporanea all’uscita di Fireworks in Italia, arrestarono tutti i vertici dell’Ilva per disastro ambientale. Normalmente per i cortometraggi c’è pochissima attenzione, ma Fireworks riuscì a diventare un po’ il film bandiera del movimento ecologista a Taranto. Persino alle proiezioni di mezzanotte la sala che lo proiettava era stracolma, c’erano anche gli operai dell’Ilva.

Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Nel cinema a volte c’è la tendenza a girare dove è possibile parcheggiare i camion delle attrezzature. Il direttore di produzione cercherà sempre di ridurre il numero di spostamenti e di appoggiare location facilmente accessibili e anche tu, come regista, sei il primo a voler evitare di perdere tempo tra mille spostamenti. Ma i luoghi per me sono importanti come gli attori. Sono loro che mi ispirano la messa in scena. Ho sempre un’idea astratta delle inquadrature che intendo fare, ma questa idea si incarna poi in un luogo, è in dialogo con le sue linee, la sua singolarità, con gli attori che ne prenderanno possesso. La coreografia tra i loro movimenti e quelli della camera è in dialogo profondo con la location. Per questo non potrei mai girare un film interamente in studio. A parte la noia mortale di girare in interni asettici, credo di aver bisogno della sfida della realtà per immaginare la mia messa in scena. Parto da un dispositivo astratto, che poi in qualche modo deve accogliere la realtà, confrontarsi con essa. Il vento, la pioggia, determinati suoni, tutta una serie di cose che non posso controllare sono quello che in qualche modo metterà in crisi il mio piano di riprese e allo stesso tempo, in questa perdita di controllo, ci sarà quella scintilla che è la vita, che è l’irriducibile, il perdersi in qualcosa più grande di noi. Ci vuole una rotta e poi ci vuole una tempesta.

Udoka (Läetitia Ky) in Disco Boy di Giacomo Abbruzzese

Udoka (Läetitia Ky) in Disco Boy di Giacomo Abbruzzese

PASSATO E FUTURO SECONDO GIACOMO ABBRUZZESE

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Il tempo non è lineare, ha forme cicliche, crea spirali, quindi c’è una continua contaminazione tra passato e presente. Il passato è nel presente, nell’architettura, nel pensiero, nelle parole, negli habitus. E il dialogo con il passato è sempre in movimento. La storia si riscrive costantemente. Però la scrivono quasi solo i vincitori.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Per una quindicina d’anni ho realizzato circa un cortometraggio all’anno. Senza una lira, con cinquanta euro, con duemila euro, con diecimila euro fino ad arrivare a budget più importanti. È stata questa la mia vera scuola, mi ha insegnato a confrontare costantemente quello che volevo fare con la realtà, a mettere mano ‒ da autodidatta ‒ alla camera, al montaggio. Sono competenze che mi sono rimaste, ma che soprattutto mi permettono di pensare un film nell’insieme, con tutte le sue componenti. Quindi consiglierei di mettere insieme una banda di amici che condivide la stessa passione e realizzare dei piccoli film autoprodotti. E di prendersi il tempo per fare le cose bene, di pensarle il più possibile prima di realizzarle, anche al montaggio di lasciarsi un tempo di ricerca. Per vedere le cose c’è bisogno di distanza. E questa la dà non solo lo spazio, ma anche il tempo.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Se per sacro si intende la dimensione dell’invisibile caricata di affetti, di proiezioni, penso sia qualcosa di immutabile all’animo umano.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
La migrazione, l’ingiustizia sociale e la catastrofe ambientale detteranno i prossimi venti anni. Se reagiamo come si è reagito con il Covid, è finita. Ormai quasi tutta la politica è solo gestione dell’emergenza, incapacità di visione, ignoranza. Tutto è semplificato, la complessità è guardata con sufficienza e supponenza. Si dice spesso che le informazioni circolano sempre più rapidamente, ma non c’è quasi più vero dibattito, incrocio di prospettive. Siamo sempre più soli, di fronte a un abisso che si avvicina man mano. E non c’è neanche quella leggerezza, quell’allegria, di ballare sotto le bombe. Siamo così terrorizzati dalla paura di perdere i nostri privilegi, la nostra sicurezza, che ci scordiamo anche di vivere.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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