Beatrice Borromeo Casiraghi ci racconta la sua nuova serie Netflix “Il principe”
Dal 4 luglio su Netflix c’è la docuserie “Il principe”. Un racconto ben serrato che ricostruisce la morte di Dirk Hamer e il successivo processo con protagonista Vittorio Emanuele. Un fatto di cronaca, ma è anche un dramma umano
“Le cose non finiscono nella generazione in cui sono state scatenate”, e questo vale un po’ per tutti, per chi ha un titolo nobiliare e per chi non l’ha. Il principe – nuova docuserie targata Netflix – ripercorre una storia che Beatrice Borromeo Casiraghi vive da quando è piccola. Riguarda la morte di Dirk Hamer – 19enne tedesco ucciso mentre si trovava in barca coi suoi amici in Corsica, a Cavallo, nella notte tra il 17 e il 18 agosto del 1978 – e fratello di Birgit Hamer, migliore amica della madre di Beatrice. Il principe non ripercorre soltanto un fatto di cronaca o giudiziario, ma mette a nudo l’identità infranta di un uomo che era destinato a diventare re – Vittorio Emanuele di Savoia, il colpevole della morte di Dirk Hamer per la sorella Birgit – ma così non è stato, e di come un dramma umano porta con sé ferite molto profonde che si ripercuotono nella quotidianità di molte persone. Abbiamo raggiunto telefonicamente la regista Beatrice Borromeo Casiraghi – che con la sua casa di produzione Astrea Film ha in mente un progetto sui Grimaldi – per una conversazione sui temi di questa docuserie, sul suo protagonista e sulla sigla magnifica che introduce ogni episodio.
Intervista a Beatrice Borromeo Casiraghi
La serie consta di una storia principale con tante piccole storie al suo interno – la nuova medicina tedesca, la P2, lo sciopero dei secondini francesi. Il tuo spirito da giornalista ti ha mai distratta dal cuore della docuserie o dai suoi personaggi primari?
Avevo ben chiaro che volevo tenere tutto quello che era necessario per raccontare due cose: la figura di Vittorio Emanuele e come quella notte del 1978 abbia cambiato le vite di così tante persone. Tutte le finestre che ho aperto in realtà le ho aperte per raccontare cose che facessero capire questa vicenda e per mostrare chi è veramente Vittorio Emanuele di Savoia – come la sua storia d’amore, il suo matrimonio, la sua infanzia, quell’esilio che lo ha portato a sviluppare forse rabbia nei confronti degli italiani che prima facevano parate in suo onore e poi lo hanno rifiutato -, e poi altre finestre che invece raccontano le conseguenze e tutto quello che è avvenuto dopo l’episodio di Cavallo. È questo che avviene quando la verità non esce fuori, e in questa storia la medicina germanica è uno dei tanti aspetti così come lo è la vita traumatizzata dei fratelli Hamer e di chi c’era quel giorno, di tutti i testimoni che non hanno mai parlato fino a oggi, ma anche delle figlie di Birgit… Sono tutti aspetti che sono conseguenze di quell’episodio. Poi certo, le storie erano fantastiche, c’era veramente di tutto ed è stato difficilissimo scegliere.
Quello che dici si riassume in una frase che dice una delle figlie di Birgit: “Le cose non finiscono nella generazione in cui sono state scatenate”…
Sarebbe stato molto più facile fare un true-crime, raccontare l’episodio e finirla lì. Era quello che la gente forse si aspettava e quello che sappiamo funziona su Netflix, oltre a essere la scelta più ovvia e sicura. Io però sentivo fortissimo dentro di me la necessità di raccontare altri aspetti. Quel riverberarsi nelle generazioni. Quel trauma che si eredita e che continua a scavare e a fare danni anche se tu non eri ancora nato. E io ho vissuto questo. Era un tema che tenevo tantissimo a introdurre e per il quale ho lottato e sono molto felice di averlo fatto.
Il principe del titolo mi ha fatto pensare subito a Machiavelli. Per lui il principe è colui che è crudele e senza scrupoli, ma anche saggio, razionale, benevolo, furbo come una volpe e forte come un leone…
Molto interessante! La cosa più bella di questo periodo è che escono considerazioni, domande, questioni che io non mi ero posta, e quindi credo che la risposta stia ad ognuno di noi. Il motivo del titolo per me è che lui era principe dentro. Ha un’identità infranta – perché l’erede al trono che poi non c’è più e tutto quello che doveva essere poi non è stato – però lui è un principe. Lo vedi nel suo atteggiamento anche di impunità, in quello che si aspettava nei suoi precedenti formativi come svela il finale su Juan Carlos. E poi volevo un titolo non giudicante, aperto, non volevo un titolo che lo umiliasse né che tradisse il fatto che lui si era aperto con noi, era un modo di rispettare il fatto di avere avuto anche coraggio di partecipare, poi ognuno è responsabile di quello che dice, di come lo dice, però intanto lo ha fatto e io mi sono sentita di rispondere così.
Vittorio Emanuele e la sua famiglia hanno visto la docuserie prima della sua uscita su Netflix?
Emanuele Filiberto ha visto la serie montata due giorni prima che uscisse su Netflix. Hanno molto rispettato il mio lavoro, non mi hanno mai chiesto di vedere il documentario… Sai una volta che partecipi, con i precedenti che ci sono tra di noi, credo che questo fosse l’unico modo, ma ciò non toglie che si sono comportati con estremo rispetto. Emanuele Filiberto mi ha detto che è un documentario tutto sommato – nonostante avesse le sue riserve – corretto ed equilibrato, che rappresentava fedelmente quello che loro volevano dire e questo mi ha fatto piacere. Avrei voluto dare più elementi di innocenza di Vittorio Emanuele perché – se non altro per questioni drammaturgiche – si sarebbe creato un mistero più fitto, però era molto difficile trovarli, di tutti i materiali che ho scansionato non ho trovato nulla che indicasse la reale presenza di un secondo sparatore o un’innocenza del principe, anzi.
La sigla di questa docuserie è come l’attacco di un ottimo articolo di giornale che introduce l’argomento. Come avete lavorato a questa scelta narrativa e grafica?
È frutto di quel genio di Donato Sansone che è un personaggio meraviglioso, simpaticissimo che ha lavorato mettendoci il cuore. Lo ha portato Marco Ponti, il nostro produttore creativo. Ci siamo molto divertiti a fare quella sigla e nel vedere come lavora Sansone, e sarebbe fantastico vedere un making of di come realizza i suoi video perché ha un talento enorme e in futuro diventerà molto popolare.
Margherita Bordino
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