Il film Oppenheimer di Christopher Nolan è bello, ma forse non è un capolavoro
Nonostante la grandezza del regista, il film dedicato al fisico che con il Progetto Manhattan inventò la bomba atomica non è sconvolgente. Ecco perché secondo Christian Caliandro
Oppenheimer è un bel film, certo.
Se non fosse… Se non fosse che il suo autore è Christopher Nolan, il regista forse più riverito e ammirato degli ultimi vent’anni, dal quale uno onestamente si aspetta ogni volta qualcosa di più, sempre di più.
Pro e contro Christopher Nolan
Soprattutto poi se (come avveniva, in fondo, per Stanley Kubrick) il regista in questione è in grado di dividere polarmente le opinioni, tra odiatori e detrattori incontentabili, e adoratori senza se e senza ma – i cosiddetti ‘nolaniani’, schiera alla quale modestamente mi onoro di appartenere. Ricordo ancora infatti con emozione la prima volta che vidi Memento (2000), o la stranezza mainstream di Insomnia (2002) e The Prestige (2006), e l’effetto magicamente straniante di Batman Begins (2005) e del Cavaliere Oscuro (2008), veri e propri miti fondativi. Soprattutto, ricordo l’autentico sconvolgimento provato con Inception (2010) e con Interstellar (2014): quella sensazione irripetibile di uno scardinamento dei piani, e dei punti di riferimento.
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Dunkirk e Oppenheimer
Ora, ammetto di essere arrivato al cinema con grandi aspettative nei confronti di quest’opera che, insieme a Barbie, stava facendo rinascere il cinema dopo l’interruzione pandemica; e poi, l’inventore della bomba atomica, Los Alamos, la lotta contro il nazismo, Hiroshima e Nagasaki, la fisica quantistica… Beh, di carne al fuoco indubbiamente ce n’è. E però, se devo dirla tutta, quello sconvolgimento non c’è stato. Al massimo, posso dire che l’effetto si avvicina a quello di Dunkirk (2017) – il film in definitiva più simile e affine a Oppenheimer, non soltanto per il tema e il periodo trattato (la Seconda Guerra Mondiale), ma anche per una certa linearità, condotta in barba a tutti gli intrecci e ai giochini temporali.
Belli, molto belli anzi gli inserti dichiaramenti astratti che costellano e impreziosiscono la narrazione (anche quelli di fatto ricavati ed espansi quasi tutti da Interstellar), così come già leggendaria, e giustamente, la scena del test nel deserto di Alamogordo… Però, come dire, ciò che sembra mancare è proprio Nolan, in un certo senso. Mi spiego meglio. Persino un film per molti versi irrisolto e pieno di difetti come Tenet (2020), per molti versi incompreso, rivelava un coraggio e un’apertura unici: pur non essendo un capolavoro, provava infatti a sfondare confini mentali e a proporre un’idea di racconto radicalmente contemporanea. Dall’inizio alla fine, ti sentivi così catturato e accerchiato dal film, e tirato fuori dalla condizione di spettatori.
Il biopic sul fisico Oppenheimer/Batman
Qui no. Nonostante le linee temporali siano almeno tre, assistiamo a un biopic, solo un pochino più strano della norma. Spettatori siamo e spettatori rimaniamo. Assistiamo cioè all’avventura intellettuale e speculativa di questo supereroe della scienza (avete notato come l’abito di ‘Oppie’, la foggia di quell’abito e di quel cappello, pur aderendo ovviamente alla realtà storica costruiscano una divisa che assomiglia in maniera abbastanza inquietante al costume di Batman?) che insieme ai suoi amici superintelligenti realizza nel bel mezzo del nulla, in una cittadina costruita a suon di miliardi nel nulla, il “miracolo” di una bomba che viene poi sganciata su due città giapponesi.
Solo che in questa corsa mozzafiato verso la scena topica della verifica, in questa lunga cavalcata sottolineata dalla musica e dai suoi, a un certo punto il come questo miracolo venga effettivamente realizzato sembra perdersi. Un attimo prima c’è grandissima incertezza, un attimo dopo si stanno tutti preparando al grande evento. E poi, quello spalancarsi di orizzonti e di futuri possibili che collassano uno nell’altro e che provengono dritti dritti dal nucleo radiante (il buco nero) di Interstellar, semplicemente manca: non c’è. OK, viene accennato qui e là, viene ‘detto’ e suggerito con tono opportunamente oracolare: ma non c’è.
Christopher Nolan e Oliver Stone
E viene sostituito dal dopo (dopo-bomba atomica, dopo-guerra), dai torti e dalle ingiustizie maccartiste subite da Oppie in quella squallida stanzetta burocratica allestita per distruggere comodamente la sua reputazione. È lì, in quella fase (mezz’ora abbondante, anche quaranta minuti, che a me ha ricordato da vicino certe lungaggini e certe pesantezze alla Oliver Stone di JFK e Nixon, nell’alternanza insistita tra colore e bianco e nero, nella procedura estenuata ed estenuante, ecc…) che siamo in effetti ancora più ancorati alla nostra condizione di spettatori. Legittime tutte le volontà di riabilitazione, per carità; però forse la parola definitiva spetta proprio al meraviglioso Truman interpretato da Gary Oldman, che congedando Oppenheimer lo definisce – con (auto)ironia piuttosto insolita per Nolan – un “piagnone”.
E quindi, un passo indietro forse? Ci dice molto del cinema oggi.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…