Le donne e il loro mondo. Il nuovo film dell’artista Yuri Ancarani presentato a Venezia
Dopo la partecipazione alla Biennale Cinema 2021 con “Atlantide”, l’artista e regista di Ravenna torna a Venezia con la sua ultima opera cinematografica. Un film dove le donne non sono solo protagoniste, ma “si raccontano” attraverso le parole di una psicoanalista
“La violenza non è il male, è un istinto. Che l’essere umano deve imparare a gestire”. Queste sono le parole con cui si esprime Marina Valcarenghi, psicoterapeuta di scuola junghiana con un’esperienza di oltre trent’anni nelle carceri con detenuti per reati di violenza sessuale. È lei la protagonista de Il popolo delle donne, l’ultimo film di Yuri Ancarani presentato al Festival del Cinema di Venezia 2023, nell’ambito delle Giornate degli Autori. Proprio durante le riprese di Atlantide – presentato nel 2021 nella sezione Orizzonti della Mostra – l’artista incontrava la dottoressa Valcarenghi, in veste di consulente. L’idea di realizzare un ideale secondo volume della sua indagine sul maschile è nata quindi già sul set del suo primo lungometraggio.
Il popolo delle Donne di Yuri Ancarani: tra violenza, fragilità e affermazione
L’estetica asciutta e misurata di Ancarani fa da controcanto alla chiarezza espositiva di Valcarenghi, che siede in una cattedra collocata nel Chiostro della Statale di Milano, con intorno una trentina di sedie occupate da altrettanti studenti. Sulla cattedra una bottiglia d’acqua e un orologio, si tratta di una lezione di un’ora (la stessa durata della pellicola), tempo in cui l’unico volto ad essere inquadrato è quello della psicoanalista. Di fronte, di profilo, di tre quarti: punti di vista che coincidono con gli sguardi degli studenti ma anche degli spettatori al cinema che, grazie a questo escamotage, vengono catapultati nel chiostro. Il ritmo del montaggio è scandito così dai movimenti del collo della protagonista, soluzione efficace che rafforza l’idea di interazione con l’uditorio. La psicoanalista esordisce con tono mite ma con parole dirompenti, scomode, per il patriarcato ma anche per le femministe. La violenza sulle donne, dice, è in aumento perché gli uomini hanno perso in pochi anni il controllo di un potere che detenevano da millenni. L’identità maschile sta attraversando un momento di grande fragilità, proprio mentre quella femminile si rafforza. Ciò genera paura, e la paura può sfociare nella disperazione e, in casi estremi, in brutalità incontrollata, stupri e femminicidi.
Questo non significa giustificare o accogliere i comportamenti violenti, ma comprenderli. Sia da parte degli uomini, che necessitano di una educazione emotiva in grado di abbracciare e accettare il cambiamento che sta investendo il loro genere; sia da parte delle donne, che a loro volta devono approntare nuovi strumenti di convivenza.
Il popolo delle donne: riprogrammare la parità
Nella sua appassionata lezione, Valcarenghi fa diverse attestazioni dure. A suo parere la donna deve imparare a fare i conti con la possibilità di difendersi e, se necessario, attaccare. Perché, dice la psicoanalista, ci sono dei casi in cui si può derogare alla pace. In una dimensione collettiva se, ad esempio, ci si deve affrancare da un’invasione o da una dittatura. In una dimensione personale, quando si subisce un tentativo di stupro o si è in pericolo di vita. In tali casi, la donna deve riprogrammare le figure su cui ha fatto affidamento ed è stata sinora protetta, di solito maschili. Se è assodato che gli uomini devono rinunciare al loro ruolo dominante, allo stesso modo le donne devono dismettere quello di vittime, fragili e deboli. E indossare nuovi panni. Perché la parità è anche questo.
Mariagrazia Pontorno
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