Futuro Antico: intervista al regista Roberto De Paolis, tra cinema e Intelligenza Artificiale
Il lavoro di Antonioni e Pietro Germi come ispirazione, la vita di tutti i giorni e la nostalgia del passato, su cui incombono le nuove tecnologie. Intervista al regista di Princess
Vede il cinema come un percorso per scoprire mondi lontani, ammira Antonioni e teme l’AI: così vede il futuro il regista Roberto De Paolis.
Chi è Roberto De Paolis
Nato a Roma nel 1980, studia nella sua città natale e dopo il diploma liceale, De Paolis si trasferisce a Londra per frequentare la London Film School. Rientrato in Italia intraprende la carriera di fotografo, frequenta corsi di recitazione e si avvicina al cinema, prima come attore secondario e infine debuttando come regista cinematografico nel 2017 con Cuori puri, pellicola con cui ottiene riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale. Il suo secondo film, Princess, è uscito nel 2022. L’intervista per Futuro Antico.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Credo che a livello concettuale (il problema di cosa raccontare) l’ispirazione si formi da cosa viene assorbito e incamerato durante l’infanzia e la prima adolescenza. L’ispirazione formale (il problema di come raccontare) invece si forma più tardi, in età adulta. Da piccolo ho visto l’arte moderna nei musei, l’arte classica nelle città, i cartoni animati della Disney, e ho ascoltato le avventure di Ulisse che i miei genitori mi raccontavano prima di andare a letto. Quello che mi emoziona di più è sempre legato ad un mondo perduto che ritorna: i bronzi di Riace che riemergono dalle acque, le statue di San Casciano che riemergono dal fango. C’è qualcosa di torbido in questo, una strana nostalgia della propria infanzia che diventa nostalgia per l’infanzia del mondo.
Interviene in qualche modo nel tuo cinema?
Non a caso, sul mio primo film (Cuori Puri), ho lavorato molto sul Mito di Adamo ed Eva. Più da grande, i registi di cinema che mi hanno trasmesso di più in termini di ispirazione sono stati i fratelli Dardenne, Theo Angelopoulos e Michelangelo Antonioni. Uno dei miei film preferiti di tutti i tempi è Il Maledetto Imbroglio di Pietro Germi, un poliziesco veramente indimenticabile. Per il mio ultimo film (Princess, la storia di una ragazza nigeriana che si prostituisce in un bosco tra Ostia e Roma), ho cercato di rubare il più possibile al capolavoro di Fellini Le Notti di Cabiria; lì c’era una ragazza italiana degli anni ’50, qui una giovane africana. Ho cercato i punti in comune, le differenze, le cose che sono cambiate per le ragazze in strada: di sicuro oggi c’è più solitudine.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Forse Cuori Puri. Per me il cinema rappresenta la sfida di uscire da sé per addentrarsi in mondi lontani. In quei mondi, paradossalmente, mi ritrovo, o trovo aspetti di me (anche solo a livello simbolico) che protetto nella mia casa non avrei neanche immaginato. Nel caso di Cuori Puri un semplice fatto di cronaca (una ragazza finge di essere stata violentata da un Rom per “coprire” la sua prima volta) si è trasformato in un lungo viaggio nelle periferie romane e soprattutto nel mondo della fede cristiana. La ricerca è la parte che mi piace di più; girare il film invece è faticosissimo (verrà o non verrà?), montarlo è angosciante (verrà bene o verrà male?), presentarlo ai festival è disturbante (è venuto o non è venuto?). A volte penso che fare un film è solo un pretesto per fare delle ricerche, per darsi un tempo fuori dalla propria vita.
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Nel cinema mi sembra un concetto molto importante: scegliere un luogo, consacrarlo, investirlo di un significato; riuscire a far sì che un certo luogo prenda le fattezze dal sentimento che si vuole raccontare in un film. È la grande lezione di Michelangelo Antonioni: nel suo cinema, ogni luogo, come ogni gesto, ha un significato profondo e contiene un mistero da svelare. L’esempio più magnifico è il finale de L’Eclisse: un luogo qualsiasi (un incrocio di strade in chissà quale angolo di periferia) che diventa il luogo del Non-Incontro tra Alain Delon e Monica Vitti, tra uomo e donna, tra qualsiasi essere umano. Un luogo sacro, mitico, che meriterebbe un pellegrinaggio.
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Il concetto di Cuore Antico, legato al passato, forse si lega anche al passaggio di consegne tra generazioni. Un tempo c’era la tradizione orale, i più anziani insegnavano alle nuove leve; oggi purtroppo le informazioni si chiedono alle macchine. Un tempo i mestieri si imparavano dai propri padri, oggi si imparano dagli sconosciuti; non so se un mestiere imparato da uno sconosciuto possa avere la stessa importanza o sacralità di un mestiere imparato da un genitore. Per la mia generazione il problema è legato ad un’estrema idealizzazione del passato; tutti dicono che prima della Rivoluzione Digitale si stava meglio, si parlava di più, (soprattutto in treno) e ci si annoiava tanto perché non c’era Instagram, e che però annoiarsi era bello, anzi era stupendo.
Spiegaci meglio…
Non capisco se questi discorsi sono basati sulla realtà o se invece tutte le generazioni hanno nostalgia dei tempi della propria infanzia. Woody Allen ha fatto un film su questo – Midnight in Paris – dove i personaggi tornano indietro nel tempo e ogni volta trovano persone che a loro volta ambiscono a vivere indietro di 20 o 30 anni, idealizzando l’epoca dei loro nonni o dei loro genitori; quindi, il povero protagonista, che inizialmente voleva “solo” raggiungere Hemingway negli anni ’40, si ritrova nella Belle Époque.
E per il futuro?
Rispetto al futuro a cui andiamo incontro, mi sembra che la macchina de Il Sorpasso di Dino Risi stia ancora sfrecciando sull’asfalto rovente, sempre più veloce, e che prima o poi si schianterà di nuovo. Nel primo schianto morì L’Intellettuale (Jean-Louis Trintignant), nel secondo a chi toccherà?
Quali consigli daresti ad un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
Consiglierei senza dubbio di insistere fino alla morte per difendere le proprie idee. Mi è capitato di produrre un film: il regista esordiente vuole delle cose, mentre io insisto in direzione opposta per ragioni economiche, o forse perché voglio imporre il mio punto di vista. Ma mentre insisto, in cuor mio prego che lui insista più di me fino a vincere la sua battaglia.
In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Ho come l’impressione che l’arte abbia perso il valore del Sacro. Anche la fotografia lo ha perso; oggi il fotografo che dice di rubare l’anima dei suoi soggetti fa un po’ sorridere. Quando vediamo le pitture arcaiche dei cacciatori nelle grotte sappiamo che dipingendo quegli animali loro si preparavano a catturarli, anzi sappiamo che il dipingerli era il primo tentativo di cattura; l’atto pittorico determinava l’esito stesso della caccia, e quindi della vita. Sappiamo anche che le persone nutrivano dei sentimenti molto forti nei confronti delle statue greche e romane poiché esse rappresentavano (o meglio, erano) divinità capaci di cambiare il corso degli eventi. Ma sia i cacciatori che gli ateniesi non guardavano alle proprie creazioni come opere d’arte da vendere o da comprare, ma piuttosto le veneravano come entità fondamentali, vive e potenti, in grado di determinare la propria sopravvivenza.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Il futuro è che quest’intervista tra qualche anno la farà un’intelligenza artificiale perché saremo tutti troppo stanchi per pensare. Quindi ringrazio di questo prezioso spazio di confronto, ancora possibile.
Ludovico Pratesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati