Da Sex Education a Sex and the City. Quando la televisione educa al sesso
Due serie agli antipodi per gender, generazione, epoche, ambientazione, ma che hanno un merito comune, fare quello che non fanno i governi
Donne (Sex and the City) e adolescenti (Sex Education), due “categorie” sottostimate e poco considerate, almeno fino a qualche anno fa. Quando è iniziata per entrambe una rivoluzione, forse figlia (e non a caso è al femminile degli anni Sessanta, figlia del senso di ribellione dalle costrizioni, dagli abusi, dall’invisibilità: era ora di dire basta allo status quo e di dare sfogo alle pulsioni e alla legittima protesta. Le donne finalmente parlano e più avanti postano, gli adolescenti comprano e più avanti pubblicano. Entrambe le categorie hanno un nuovo potere, quello della visibilità. Se qualche film lo racconta, sono le serie tv che rivoluzionano il sistema perché rendono seriale la protesta, ne fanno un tema costante. E in questo spazio, che dall’etere raggiunge il web, finalmente se ne fregano di dover essere delle brave ragazze o bravi figli, si fanno sentire, prendono possesso della propria vita, si oppongono alle etichette, alle discriminazioni, ai divieti, partendo dal tabù per eccellenza, il sesso. Ma chi lo “fa” meglio?
It’s just sex: Sex Education 9 – Sex and the City 10
Sex and the City racconta quattro donne sui trent’anni, verso la fine degli anni Novanta nella “poshissima” Grande Mela, alle prese con un femminismo che indossa le Manolo Blanik e parla apertamente di pompini, vibratori, sesso anale, masturbazione femminile, bondage, vulvodinia, feticismo, sesso a tre, fellatio. E solo questo elenco vale 9 punti, 10 per il bonus di averlo fatto 25 anni fa. Sex Education è british, ambientata in una cittadina in mezzo ai boschi che però ricorda più il Maine del Galles, e narra le storie odierne di un gruppo di teenager, chi povero, chi ricco, ma rigorosamente cool, pur se bullizzato. A scuola, gli adulti non parlano di sesso e allora non resta che affidarsi ai consigli di un adolescente vergine e figlio di una terapeuta del sesso (Gillian Anderson, da X Files a X Rated), che si chiama Otis, per 4 serie indossa la stessa iconica giacca 3 colori anni ‘80.
Perché entrambe le serie sono patinate, lontane dagli estremi di Euphoria o Girls, con storie e protagonisti senza mai troppi eccessi. E, anche in Sex Education, si va dagli orgasmi spontanei al vaginismo, dalla clamidia ai noduli ai testicoli, dal sesso queer al poliamore e all’asessualità. E se Otis era vergine, la sua nemesi, nell’ultima serie, la terapista O, è asessuale. Quindi, per tematiche affrontate siamo a 7 punti, 9, dato che si raccontano anche storie di abuso e di importanza del consenso, ma non con comprimari, bensì con protagonistǝ. E abituiamoci allo schwa, perché “they/essi”, qui da noi, riporta al “voi” di fascista reminiscenza, l’asterisco è un fiocco di neve che si scioglie alla vista, meglio allora la “e” capovolta che è presagio di un mondo nuovo e di nuove prospettive. E di prospettive nuove, entrambe le serie ne hanno parecchie.
Queer Sex: Sex Education 8 – Sex and the City 2
Partiamo da Sex and the City, quella originale, escludendo il sequel And just Like That, che, per adeguarsi ai tempi, è stata verniciata di nuovi colori, non solo il bianco etero cisgender, ma anche il nero queer non binary, per intenderci quello che, nella genesi seriale, non era contemplato, semmai un po’ stigmatizzato. Insomma, in origine, andava bene che ci fosse del queer, l’importante è che non lo fosse una delle protagoniste, ricordiamo che nella realtà Cynthia Nixon lo era e nel sequel si scopre bisex. E se proprio doveva esserci, meglio l’amico, possibilmente bianco e un po’ macchietta, anzi mettiamone due e accoppiamoli (Anthony e Stanford). Si aggiungano gli stereotipi su bisessualità “una sosta sulla strada per Gay Town” e trans “metà uomo, metà donna”. Sarà anche perché la serie è stata creata da un bianco etero maschio, Darren Star, quello di Beverly Hills e Melrose Place? Al contrario, in Sex Education, complici i tempi e la scrittura di una donna, Laurie Nunn, di presenze queer ce ne sono parecchie. In primis, Eric (Ncuti Gatwa – il prossimo Doctor Who), il coprotagonista, che subisce di tutto, viene persino picchiato, ma ha un’evoluzione e un cambiamento privo di cliché con tanto di crisi spirituale. Poi ci sono Adam, figlio del preside, bisessuale con un’altra sorprendente evoluzione, Lily e Ola, una storia d’amore lesbica “aliena”. Abbi e Roman, meravigliosa coppia trans della quarta serie, inserita in un college utopico, il Moordale, così inclusivo da ghettizzare solo Ruby, la più popolare della vecchia scuola. Poi c’è Cal, alle prese con la disforia di genere, il lato più drama e realistico dell’ultima stagione, che si invaghisce di Aisha, queer e sorda, perché “non udente” è discriminatorio: spazio dunque al concetto di abilismo. E siamo a 8 contro 2, senza annoverare le mamme di Jackson, quest’ultimo alle prese con il piacere anale etero e la paura di un tumore ai testicoli. Ma non è unicamente una questione di numeri, bensì di sfumature dell’arcobaleno e di diversity dei colori, non solo in senso figurato. E la cifra di Sex Education sono proprio i colori, dalla fotografia alla scenografia, ai costumi. E in questo superano l’autumn in New York, ma non il fashion che ha reso Sex in the City un’icona della moda. Quindi, nello stile pareggiano, ma nella varietà entrambe hanno commesso un errore, quello di non aver fatto luce “rossa” sul porno che, senza “istruzioni”, “educa” gli adolescenti a un sesso distorto, deresponsabilizzando gli adulti dallo spiegarne la complessità. Due serie notevoli che, tra drama e comedy, hanno parlato di sesso, amicizia, amore, diversità, ma nessuna delle due ha tentato di andare oltre la sottile linea “rossa”.
Barbara Frigerio
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