In Visible Light. Il film di Gianmarco Donaggio montato in diretta

Abbiamo intervistato Gianmarco Donaggio che al Mirage di Oslo, il festival dedicato al documentario creativo, presenta la sua opera d’arte "In Visible Light", un film che riflette sull’elettricità e le sue forme. Il trailer

Cinema, arte e sperimentazione. Gianmarco Donaggio ha messo a punto un film dal titolo In Visible Light che riconduce alla primordialità dell’immagine e all’artigianalità della settimana arte, della sua creazione ed evoluzione. Il film è in costruzione, nel senso che viene montato durante la sua proiezione e ha per protagonista l’elettricità, colei che è fondamento di tutte le immagini e che crea al tempo stesso realtà ed illusione. Di seguito la nostra conversazione con il regista che presenterà In Visible Light tra l’11 e il 15 ottobre al Mirage Festival di Oslo.

Il cinema come arte nel lavoro di Gianmarco Donaggio

Arte e cinema. Quale mondo o mondi esplori con In Visible Light?
Credo che uno tra i privilegi di chi sceglie di fare avanguardia è la possibilità di potersi creare i propri mondi e ignorare le modalità in cui vengono definite le opere. La mia ricerca sta a metà tra diversi poli. Come un danzatore o un funambolo, mi esprimo in precario equilibrio, in costante divenire e trasformazione. Se fossi definito, terminerei. Penso, quindi, che il mondo – o la categoria – di In Visible Light verrà scoperto (se verrà scoperto) in futuro, e di conseguenza non me ne occupo. Un po’ come la visionaria interpretazione del concetto di storia di Walter Benjamin, da questo filosofo definita sempre dal futuro e non dal presente o dal passato. Sono comunque consapevole che nel sistema attuale – dove i creativi devono relazionarsi in un circuito in cui le opere vengono definite per etichette di mercato – collocare le proprie opere in un mondo aiuta a massimizzare il numero di visualizzazioni o vendite. In Visible Light è un’opera orfana di categorie, mondi, definizioni e di un pubblico specifico. Può essere presentata ovunque ci sia un proiettore e la voglia di intraprendere un viaggio poetico nella corrente elettrica.

Un film che è montato in diretta riconduce inevitabilmente all’artigianalità dell’arte. Da dove nasce l’idea?
Sì, un film montato in diretta apre le porte a una serie di temi e possibilità inesplorate all’interno del mondo cinematografico. Le motivazioni sono diverse e tra queste c’è la lettura di un saggio di Derrida intitolato “Memorie di cieco: L’autoritratto e altre rovine”, che, come spesso accade nel post-strutturalismo, lascia ampio spazio all’interpretazione. Ho trovato in questa lettura il seme di un’intuizione: nell’immagine siamo tutti ciechi. In altre parole, sia quando fruiamo che quando generiamo immagini, esiste un potere intrinseco ad esse che ne determina la percezione e la creazione. Da quando ho preso coscienza di questa mia cecità, e di quella che possibilmente mi circonda, ho iniziato a sfidare le nozioni che ritengo impediscono una visione più profonda e completa dell’immagine stessa. Pertanto, la mia volontà di spaziare nella performance deriva anche dalla necessità di superare le restrizioni imposte dai generi e dalle funzioni date all’immagine movimento.

Più che di un’idea si tratta quindi di una vera direzione.
Questa direzione mi porta sempre più vicino a lavorare con le immagini e non per le immagini. Lavorare con le immagini, quindi al di fuori dei loro schemi, si manifesta in un lavoro che propone al pubblico di accettare la difficoltà di attraversare le proprie conoscenze visive, richiede una caduta. Credo che questa mia proposta sia una forma di rispetto nei confronti dell’opinione e dell’intelligenza dei fruitori. Lascio a chi partecipa la possibilità di interpretare o dare significati. In questo senso, la performance mi permette anche di ascoltare il mio pubblico e considerare i miei interventi sul momento, così come mi permette di avere un contatto diretto con lo spettatore e imparare dalle loro esperienze.

In Visible Light - Gianmarco Donaggio
In Visible Light – Gianmarco Donaggio

L’elettricità protagonista del film In Visible Light

L’elettricità è in un certo senso la protagonista del tuo film. Ritieni sia la più grande o importante scoperta fatta dall’uomo?
L’elettricità è informazione e, nel corso di pochi decenni, ha profondamente trasformato la società occidentale tracciando una distinzione tra un mondo pre-elettricità e un mondo post-elettricità. Ciò che mi ha colpito facendo ricerca per In Visible Light è stata la dipendenza che abbiamo sviluppato da questa forma di energia così recente. Basti pensare alle conseguenze di un’improvvisa interruzione dell’approvvigionamento elettrico: tutto, proprio tutto, si fermerebbe istantaneamente. Una tale catastrofe potrebbe addirittura mettere fine a un’intera epoca. Il cinema, ad esempio, dipende a tal punto dall’elettricità che credo si possa sostenere che la corrente elettrica sia protagonista silenziosa in tutti i film, essendo essa la materia prima delle immagini digitali. Pertanto, spero che In Visible Light possa mettere in evidenza questa costante connessione tra la natura e le immagini, rivelando quella forma dinamica essenziale che sottende costantemente le nostre immagini: la corrente elettrica.

In un momento storico dove tutto è possibile e molteplici sono i linguaggi e le possibilità visive, quale è per te la missione del cinema?
Personalmente, ritengo che stiamo attraversando un periodo storico straordinario per le arti, caratterizzato da possibilità di espressione sempre più veloci e intuitive. Un periodo che offre a molte persone l’opportunità di avvicinarsi all’arte, esprimersi e condividere le proprie creazioni con il mondo. Viviamo un’epoca in cui è possibile costruire ponti tra realtà diverse e divergenti, esplorando le potenzialità dei mezzi artistici in direzioni e modalità prima impensabili. Tuttavia, al contempo, i potenziali frutti di questa libertà sono spesso oscurati da una nebbia di timori, soprattutto nell’ambito cinematografico. Avendo lavorato anche come direttore della fotografia, osservo con dispiacere che l’industria cinematografica tende a essere spaventata dalle opportunità di innovazione. Come reazione naturale a questa paura, il settore cinematografico rischia di auto-limitarsi, aggrappandosi in modo illusorio alla nostalgia del passato come a una sorta di rifugio. La mia speranza è che in futuro il cinema non sia più associato a missioni, ma che si assista ad una liberazione del mezzo, in modo che il cinema possa finalmente evolversi per quello che è: movimento.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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