Suburraeterna è un nuovo tassello dell’immaginario criminale sulla Capitale
La pubblicità di “Suburraeterna” rilancia rievocando Romanzo Criminale “Chi si prenderà Roma?”, la posta in palio è sempre quella, enorme, metropolitana, evocativa: “Mors tua, Roma mea”. Ma in realtà è retorica, Roma se la sono già presa, la romanità come forma di immaginario criminale
Roma sei pronta per un nuovo giro di crime? Le saghe in nero sembravano finite e invece lotte di potere, criminalità e corruzione si incontrano nuovamente nella Capitale. Comincia Netflix con “Suburraeterna”, spin off della serie “Suburra”, prosegue Sky con il prequel di “Romanzo Criminale”. Costruiti nel tempo, entrambi preceduti da un film e un libro, Romanzo e Suburra hanno fissato gli standard della serialità italiana e generato hype, impatto, clamore, successo, sbornia, rassegna stampa, panel industry, dibattiti. E ancora library di scene e battute, dialoghi, intrecci, atmosfere, luoghi, toponomastica imposta come nazionalpopolare, spavalderia, spacconate, citazioni, parodie. Vetrina e palestra per decine di attori, attrici, corpi, facce, voci, pose. Lancio, consacrazione, empireo per chiunque. Chi è rimasto immune da tutto questo? Brand sicuri, rodati, filone inesauribile per le produzioni. “Piamose Roma” diceva il Libanese, “prima che lo faccia qualcun altro”. La pubblicità di “Suburraeterna” rilancia “Chi si prenderà Roma?”, la posta in palio è sempre quella, enorme, metropolitana, evocativa: “Mors tua, Roma mea”. Ma in realtà è retorica, Roma se la sono già presa, la romanità come forma di immaginario criminale.
Riccardo Tozzi di Cattleya ha detto che in questa nuova indagine sulle origini “l’anima di ‘Romanzo’ è la ribellione giovanile, una potenza vitale, trascinante che va mantenuta”, ma nel frattempo Roma come evento dominante della narrazione è finita consumata dalla stessa serialità, stressata a tal punto che ogni gruppo, nucleo, famiglia, persino un uomo solo, in preda a un sentimento qualsiasi purché negativo ormai rappresenta “Roma”, geolocalizzazione urbana dello scontento e delle vene primordiali del disagio, o peggio, un fondale alla Gotham city dove chiunque si appoggi può diventare Joker.
Dall’immaginario santo a quello criminale a Roma
Nel 2000 accadeva il contrario, l’incubo era un immaginario troppo santo in vista del Grande Giubileo, così sosteneva l’editore Castelvecchi pubblicando “Malaroma, la guida al lato oscuro della Città Eterna”, di Aldo Musci e Marco Minicangeli, vademecum millenaristico per una Roma altra: nera, oscura, delittuosa, malvagia, utile al pellegrino che intenda visitare qualcosa di più interessante del solito grand tour, ovvero “i luoghi intrisi di male e di violenza che sono stati teatro dei delitti più spaventosi e le aree del degrado urbano e morale che tanto fascino aggiungono alle metropoli di fine secolo”.
Fu un sasso nello stagno. “Romanzo Criminale” di De Cataldo uscì due anni dopo e divenne il bestseller della nuova Einaudi Stile Libero di Cesari e Repetti. Era stato anticipato da “Ragazzi di malavita” (Baldini, 1995) di Bianconi, da “Fattacci” di Cerami (Einaudi 1997) e “Roma maledetta (cattivi, violenti e marginali metropolitani”) di Lugli (Donzelli 1998), libri di culto fin da subito, ma non erano fiction, non erano romanzi, non c’era l’epopea che guardava a Scorsese e Soprano. Da lì tana libera tutti con speculazioni di ogni sorta. Provarono a fare da argine i lavori di ricerca di Lupacchini con “Banda della Magliana” (Koinè, 2004) e “Roma criminale” di Selvetella e Armati (Newton Compton 2005) ma ormai i buoi erano scappati, piede accelerato, finzione su finzione, fino al nuovo magnete “Suburra” di De Cataldo e Bonini (Einaudi, 2013), che pescava nel contemporaneo di Mafia Capitale e i mondi di mezzo. Il seguito de “La notte di Roma” (Einaudi, 2015) si apriva con l’apocalisse più sfrenata, totale, definitiva: “Sebastiano Laurenti contemplava lo spettacolo del caos dietro i vetri oscurati dell’Audi nera. Roma bruciava.”
Il Roma crime da Suburra a Romanzo Criminale
Sono passati molti anni e l’opera al nero di Roma sembra non finire, ci ha provato ‘A piedi scarzi” di Lundini a mostrare il re nudo, però si va avanti. Sto crime ce serve o nun ce serve? “L’aspetto più divertente e interessante sulla questione dell’immaginario criminale emerge ogni tanto nelle carte delle inchieste: a volte sono gli stessi criminali, magari i più scaciati, che vorrebbero sentirsi come i protagonisti di queste epopee romanzate” racconta Marco Carta giornalista di giudiziaria e di cronaca per Repubblica. “La fiction ha l’esigenza di costruire dei personaggi dotati di uno spessore che molto spesso non hanno. Anche nell’informazione. La necessità di spettacolarizzare il racconto ha fatto sembrare famiglie come Spada o Casamonica molto più potenti di quello che sono veramente solo perché comunque sono funzionali allo storytelling e rispettano tutti gli stereotipi che uno si aspetterebbe da un criminale”. Per la cronaca, Carminati espresse l’unico commento positivo sulle 4 puntate de “La storia vera della Banda della Magliana” prodotte da Stand by me e uscite su History Channel nel 2010. Al di là della fedeltà rispetto alla realtà, criterio poco utile per giudicare una fiction, che cosa ha rappresentato per Roma questo filone crime? “Comunque, un passo in avanti nel racconto della città che per decenni ha fatto finta di essere estranea ai fenomeni mafiosi. La rimozione, soprattutto a livello politico, prosegue anche ora, perché comunque rimane fonte di imbarazzo”. Quindi non è una narrazione esagerata in negativo per la città? “Considerando la ferocia dei fatti di nera solo nell’ultimo anno direi che lo storytelling delle serie crime romane tutto sommato è clemente”.
Non sono mai mancate polemiche e obiezioni a questa epica criminale capitolina. Nel 2008 comparvero all’Eur i quattro busti in polistirolo del Dandi, Freddo, Libanese e Nero, guerrilla marketing legato alla serie tv, azione durata una mattinata tra mille polemiche. L’allora neo Sindaco Alemanno la definì di cattivo gusto. Ma più del marketing è stato il sovrapporsi di realtà, mito e finzione a fare attrito. Per Simona Zecchi, giornalista d’inchiesta e autrice di libri sul caso Pasolini e Moro, “questo storytelling ha tessuto strati di storie che si sono accumulate nel tempo confondendosi con i fatti accaduti, strati che invece di restare nell’immaginario sono andati sostituendosi al percorso di ricerca della verità sedimentando sempre più. Lo stesso ex magistrato Lupacchini me lo ha confessato in un’intervista, ‘spesso il racconto sulla Magliana si confonde tra mito e realtà, allontanandoci dalla ricerca della verità già complessa’. Roma ne è la vittima designata proprio perché espressione negli anni 70-80-90 di un contesto criminale feroce ma anche politico-criminale e quindi nazionale”.
Il leone di Ladispoli
L’autunno scorso si sono celebrati i vent’anni dall’uscita di “Romanzo Criminale” alla Casa del Cinema, presenti tutti gli artefici dell’operazione editoriale e audiovisiva, anche Placido che per primo portò la storia al grande pubblico e che è rimasto nella fabbrica della produzione. Proprio De Cataldo sul ninja marketing ha commentato che “se l’assessore alla Cultura è qui a discutere di un fenomeno culturale nato da un romanzo, possiamo rispondere alla domanda di allora: avete trasformato dei banditi in eroi? No, abbiamo scritto un pezzetto della nostra storia”. Miguel Gotor ha chiuso il cerchio e ribadito: “Questa è una storia nera, brutta, personaggi negativi, una Roma violenta e terribile. C’è stato un processo di identificazione, una moda che ha rischiato di trasformarla in mito positivo. Se questo accade è perché abbiamo un problema, qui e ora, a Roma. Non dobbiamo avere paura di raccontarci. La Roma dentro questo film è una città che c’è oggi. Non possiamo nasconderla sotto il tappeto, abbiamo un problema di controllo e di criminalità organizzata, anche in centro storico ogni giorno”.
Reduci dal leone a piede libero di Ladispoli aspettiamo dunque di vedere le nuove peripezie dei leoni da marciapiede, perché ci si aspetta sempre che le strade di Roma e dintorni, viscerali ed esibizioniste restituiscano vitalità, a qualsiasi prezzo. Ma Carta ammonisce: “Quello della strada è il crime più divertente da vedere, ma non rappresentativo, cambia in continuazione proprio perché è il più esposto alle indagini”.
Stefano Ciavatta
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