Dalla tela alla pellicola. Hopper, Dalì e l’iconografia dell’inquietudine in Psyco di Hitchcock
C’è tanta arte nella poetica Alfred Hitchcock: da Psyco a Un chien andalou fino alla pittura di uno dei maggiori artisti americani, il grande regista si è abbeverato alla fonte dei surrealisti nel suo cinema
Alfred Hitchcock, indiscusso maestro del brivido, ha girato alcuni dei più iconici thriller della storia del cinema lasciando un segno indelebile nella cultura e memoria collettiva. La struttura filmica complessa, la costruzione della suspence, e la presenza di personaggi e attori memorabili hanno indubbiamente definito il cinema hitchcockiano. Eppure, il suo stile unico e immediatamente riconoscibile non si limita a tensione e manierismo cinematografico, ma mette in scena anche un immaginario oscuro ed evocativo, radicato nella tradizione pittorica e nella cultura visiva del regista di origini britanniche.
Gli inizi di Alfred Hitchcock
Donald Spoto, il suo biografo ufficiale, ne conferma l’influsso ripercorrendo gli anni di formazione e l’inizio della carriera di Hitchcock. Secondo la ricostruzione fatta in Il lato oscuro del genio: la vita di Alfred Hitchcock, quest’ultimo frequentò infatti lezioni di storia dell’arte, pittura e disegno alla University of London a partire dal 1915. Non solo, nel 1924, Hitchcock fu inviato dal produttore inglese Michael Balcon alla UFA, i celebri studi cinematografici di Berlino, per lavorare come aiuto regista in Il furfante di Graham Cutts, dove conobbe Friedrich Wilhelm Murnau e approfondì il cinema espressionista, primo tra tutti quello di Fritz Lang.
Una terza premessa fondamentale alla dimensione metafisica, onirica e straniante ricorrenti nel cinema di Hitchcock è costituita, poi, dalla collaborazione tra Salvador Dalì e Hitchcock sul set di Io ti salverò (1945): come vedremo di seguito, l’artista surrealista ideò le scenografie per la sequenza del sogno partendo da alcuni motivi iconografici ricorrenti nella sua produzione.
Luoghi oscuri: la metafisica della sospensione nelle architetture hitchcockiane
La tensione è universalmente riconosciuta come uno degli elementi caratterizzanti del cinema di Hitchcock. La struttura narrativa, il montaggio, l’uso di primi piani e movimenti di macchina e la recitazione sono fondamentali. Esiste, però un senso di pericolo strisciante, immediato quanto pervasivo, comunicato inconsciamente dall’ambientazione che incombe minacciosamente sui personaggi.
Memorabile è, in Psyco, l’immagine dell’enorme casa che svetta cupa sopra il Bates Motel, dove Marion Crane (Janet Leigh) decide, malauguratamente, di passare la notte, dopo una lunga fuga in macchina con il denaro rubato al suo datore di lavoro. Attraverso l’aspetto inquietante del luogo percepiamo subito che qualcosa non va. È un fosco presagio della presenza malevola – una silhouette femminile alla finestra – che spia nella penombra la sua vittima e anticipa visivamente il pericolo che attende la giovane donna.
Fatto notevole, la scena di Psyco trae ispirazione da Casa lungo la ferrovia, dipinta da Edward Hopper del 1926. Il quadro cattura un tipico edificio vittoriano che si staglia isolato al centro della tela e combina uno stile realistico a una nota metafisica. Isolamento, solitudine e un’aura di mistero pervadono questa e altre opere, come La collina del faro (1927) e Il Faro a Two lights (1929). Emerge così un fil rouge che unisce l’iconografia hopperiana non solo con il set di Psyco, ma anche – più indirettamente – con la costellazione di sinistri edifici isolati che si succedono nei film di Hitchcock, inclusi la scuola di Bodega Bay in Gli uccelli, la proprietà degli Hillcrest in Fiamma d’amore (1931), a Manderley in Rebecca – La prima moglie (1940).
Il tema dell’occhio e della visione in Dalì e Hitchcock
Non sono solo i luoghi i luoghi fisici, o meglio metafisici, ma anche le geografie dello sguardo contribuiscono alla tensione in Psyco. Se, nella scena già descritta, abbiamo la sensazione che un osservatore occulto osservi Marion dalla casa sopra al Bates Motel, Norman Bates (Anthony Perkins) viene catturato – apertamente – mentre la spiare da un buco dietro a un quadro. Vediamo un dettaglio sull’occhio spalancato che si avvicina alla fessura seguito da un controcampo su Marion che si sveste nella sua stanza e si prepara per entrare nella doccia. Segue l’efferato delitto che si chiude, ancora una volta, sul primissimo piano di un occhio: quello spalancato della vittima ormai stesa a terra senza vita.
Anche in questo caso, siamo innanzi a un motivo reiterato e radicato nelle ricerche artistiche del Novecento: l’occhio. Emblematico è quello catturato tagliato da un rasoio in primo piano in Un chien andalou di Luis Buñuel e Dalì (1929), dove è metafora dell’aggressione surrealista allo sguardo. Il medesimo tema iconografico ritorna poi, tra gli altri, in Bruciare giraffe e telefoni (1937) ed El Ojo del pintor (1941) di Dalì a evocare la sfera del sogno, del desiderio e dell’inconscio.
Ancor più importante, il tema dell’occhio viene moltiplicato nelle scenografie realizzate da Dalì per la sequenza del sogno in Io ti salverò dove il protagonista, John Ballantine (Gregory Peck), racconta di un’esperienza onirica sconvolgente alla dottoressa Constance Petersen (Ingrid Bergman) e al dottor Alexander Brulov (Michail Aleksandrovič Čechov). Tale intramezzo è costellato di rimandi all’iconografia daliniana e surrealista e intriso di simbologia freudiana: oltre agli occhi, un uomo col volto celato da un tessuto bianco richiama le figure senza volto di Dalì, giraffa in fiamme (1936), ma anche – più da vicino – Gli amanti (1929) di René Magritte, mentre la concrezione rocciosa antropomorfa sullo sfondo evoca le strutture molli in Il grande masturbatore (1929) e L’Enigma del Desiderio (1929). Infine, la ruota deformata, che richiama La persistenza della memoria, non solo è parte di un rimosso freudiano riemerso con la psicanalisi, ma anche indizio fondamentale nella soluzione del delitto al centro di Io ti salverò. Rappresenta infatti l’arma del delitto che scagionerà il protagonista e condurrà al vero colpevole.
La semantica dello sguardo è funzionale alla fenomenologia del terrore e dell’ossessione non solo in Psyco e Io ti salverò, ma anche in molti altri classici di Hitchcock: dagli occhi spalancati di Tippi Hedren in preda all’orrore nel finale di Gli uccelli (1963) a James Stewart che spia i vicini in La finestra sul cortile (1954), gli esempi sono molteplici e riconfermano un’ulteriore corrispondenza del cinema hitchcockiano con le ricerche artistiche novecentesche.
Sabrina Crivelli
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