Jodie Foster nella nuova stagione del thriller True Detective: Night Country
La notte più lunga dell’anno, nel luogo più freddo del mondo, nella serie più esistenzialista in circolazione. Che innalza il genere crime a riflessione filosofica
Benvenuti alla fine del mondo, Ennis, Alaska. “Cosa cercano qui?” “Le origini della vita” “Ah tutto qui?!”. In queste poche frasi c’è l’essenza della quarta stagione di True detective, che torna alle proprie origini, alla prima stagione di Nic Pizzolatto (con Woody Harrelson e Matthew McConaughey), piena di citazioni e rimandi all’esistenzialismo. Perché, anche in True Detective Night Country, serie diretta e scritta dall’esperta di horror (Tigers are not afraid) Issa López, ci sono cospirazioni e omicidi, ossessioni, orrori, ingiustizie, oscurità.
Tutto inizia il 17 dicembre, giorno in cui, in Alaska (anche se in realtà è girata in Islanda), inizia la lunga notte artica che dura due mesi. Sarà per questo che i morti sembrano ritornare, negli incubi, nei sogni, nel reale. Ed è così che l’indagine della detective Denvers, magistralmente interpretata da Jodie Foster, assume i toni del paranormale. Ma non è così semplice, soprattutto per Denvers, materialista, empirica, misantropa che ha perso un figlio e che si prende cura, a modo suo, della figlia acquisita, nativa Inuit. Una ribelle alla riscoperta delle sue radici, delle tradizioni, della rivendicazione di un territorio e del rispetto per un popolo e per la natura.
La nuova serie True Detective Night Country
Tutto ha inizio dopo l’alba dell’ultimo giorno di luce, nel laboratorio Tsalal, dove sparisce un team di ricercatori. Cercano la cura a tutti i mali, l’origine della vita. Ma la vita, gli scienziati la perdono, senza nulla spoilerare, perché vengono ritrovati nei ghiacciai innevati, come statue grottesche, bloccate in espressioni che nulla hanno da invidiare all’Urlo di Munch. Ma il mistero si infittisce: nel laboratorio viene trovata anche una lingua umana. Appartiene a una donna uccisa anni prima, una delle tante indigene assassinate, di cui si occupa solo l’agente Navarro, con cui Denvers ha dei trascorsi. Nonostante questo iniziano a collaborare, perché i due casi potrebbero essere correlati. Anche Navarro ha delle “ferite” personali, una madre scomparsa nella notte polare, una sorella con problemi di salute mentale e l’estemporanea visione dei morti. Navarro è interpretata dalla nativa americana Kali Reis, ex campionessa di boxe al suo terzo set e, soprattutto, attivista del MMIWG, movimento per la difesa delle donne e ragazze native scomparse e uccise.
La realtà sfonda la finzione in True Detective Night Country
I morti iniziano così ad apparire ai vivi, e Issa Lopez dissemina la serie di indizi e citazioni. Non è un caso che nel laboratorio, su un televisore, ci sia in loop Una pazza giornata di vacanza di John Hughes. Film in cui il protagonista, Matthew Broderick, sfonda la quarta parete del cinema, come i morti in True Detective Night Country si rivolgono ai vivi, per aiutare, dare consigli, indicare la via per risolvere il mistero. Un enigma che ha per protagoniste le donne, una serie che pone il femminile, con le sue sfumature, sopra tutto. La missione salvifica è quella del matriarcato e il maschile sopravvive solo se intriso di energia al femminile, oppure è destinato a perire. Ne è manifestazione evidente, il conflitto padre e figlio tra due poliziotti, in una contrapposizione tra bene e male dai confini labili e traumatici con tanto di riverbero edipico-freudiano. I rimandi a psicologia, letteratura, filosofia, serialità e cinema sono molteplici: su tutto emerge La Cosa di John Carpenter, di cui scorgiamo il DVD nel laboratorio, e che, per stessa ammissione della regista, ne riproduce ambientazione artica e variegate citazioni.
E poi le continue autocitazioni alle iterazioni precedenti di True Detective. Ritornano omaggi al personaggio nietzschiano interpretato da McConaughey nella prima serie; le birre Lone Star; l’Alaska come rifugio e i riferimenti al filosofo trascendentalista Ralph Waldo Emerson, che nella quarta serie dà il nome a uno degli scienziati. Un nome che rimanda anche all’isola di Tsalal della Storia di Arthur Gordon Pym di Edgar Allen Poe, di cui Jules Verne fece una sorta di sequel in La sfinge dei ghiacci. Tornano sempre i ghiacci, come nel romanzo epico americano per eccellenza, Meridiano di sangue di Cormac McCarthy, violento anti-western con al centro lo sterminio dei nativi. E il romanzo lo vediamo sul letto di uno dei ricercatori nelle prime inquadrature. Così, sin dall’inizio, ci viene ricordata la brutalità della razza umana, rafforzata dalla frase di apertura della serie: “Perché non sappiamo quali belve sogna la notte, quando il buio dura così a lungo che nemmeno Dio riesce a restare sveglio”. Frase attribuita a Castaigne, personaggio immaginario dei racconti gotici di Robert W. Chambers, Il re giallo, con cui Issa Lopez sottolinea sin da subito il ritorno ai concetti della prima serie, assumendosene però la maternità.
Barbara Frigerio
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati