L’architettura umanistica di Michele De Lucchi protagonista alla Berlinale 2024 per “Architecton”
Il film documentario di Victor Kossakovsky, in concorso a Berlino, si interroga su come l’architettura debba ritrovare il senso della costruzione, per convivere meglio con la natura. Protagonista è l’architetto ferrarese, insieme ad altre archistar
Palazzi sventrati, oggetti della quotidianità dilaniati dalle bombe, stanze spezzate, archeologia urbana distrutta dalla guerra in Ucraina. E poi deserti concentrici che rievocano Marte, rovine romantiche di Baalbek in Libano, atroci crolli causati dal terremoto in Turchia, rifiuti di ecomostri. E ancora, montagne sventrate per produrre calcestruzzo, colate di cemento per costruire la “concrete architecture”, quella “armata”, quella che sta schiacciando il mondo. Quella che sta creando futuri resti archeologici che non avranno 4000 anni di vita, ma solo 40. E allora: “Perché facciamo tutto questo?”, si domandano gli architetti interpellati da Victor Kossakovsky per Architecton, e in particolare il protagonista, Michele De Lucchi (Ferrara, 1951). “Come possiamo costruire meglio?”, prosegue l’architetto ferrarese. L’intento dovrebbe essere quello di “nutrire il pianeta e non di distruggerlo”. Ma chi ha delle reali responsabilità? Chi può davvero cambiare i paradigmi? In primis, le archistar che, per loro stessa ammissione, progettano “the behavior of people”, il comportamento delle persone. Un’affermazione superba, arrogante, ma anche sincera, perché, fino a prova contraria, la geometria dei paesaggi la stabiliscono loro, insieme alla politica e al denaro. È quindi innegabile che abbiano il “potere” di proporre un nuovo sistema di progettare abitazioni, città, di convivere con la natura.
“Architecton”, un film che riflette su circolarità e bellezza
De Lucchi si mette in discussione in prima persona. E lo fa partendo dal concetto di circolarità, che è empirico, ma è anche temporale: è l’eterno ritorno. È la costruzione, insieme alla distruzione, il focus che il film segue attraverso il volo di un drone in tutto il mondo, tra ruderi, cataclismi e guerre. Si aggiunge anche il punto di vista della montagna, del cielo, della terra, delle pietre. Kossakovsky, ilregista, arriva infatti a posizionare la camera tra le pietre che si trasformano in calcestruzzo, ribaltando il nostro punto di vista. Diventiamo le pietre che ci guardano e che permangono in equilibrio, quando un artista le mette una sopra l’altra, immobili, nonostante il peso, nonostante la gravità. Certo si tratta di un equilibrio precario, proprio come quello dell’umanità che si adagia sulla natura, annientandola, riducendola a un sempre più ristretto cerchio della vita. Ma per De Lucchi quel cerchio è magico, arriva persino a costruirne uno nel suo giardino, forse in vista di un nuovo progetto paesaggistico. E così il cerchio diventa un luogo fisico, possibile contenitore metaforico della città/civiltà. Non a caso, lo studio dell’architetto ferrarese si chiama AMDL CIRCLE, un inno all’architettura umanistica che progetta edifici in sintonia con il ciclo vitale dell’ecosistema.
Dopo l’acqua, è il cemento il materiale più usato sulla Terra
Il calcestruzzo è il materiale più diffuso nel mondo, ma non è né bello, né duraturo, né ecosostenibile. E allora basta costruire grattacieli di cemento, basta inondare la terra di rifiuti, di polvere, di grigio: fermiamo questo scempio, sembra dire De Lucchi, appellandosi a gran voce alla responsabilità delle archistar di tutto il mondo, perché possano tornare a interpretare il ritmo sinfonico di suoni e rumori. A dirigere quest’orchestra di immagini, sullo schermo, c’è Kossakovsky, che passa dai colori accesi alla Herzog a un bianco e nero in stile Basilico, per giungere all’atmosfera cristallizzata del Cretto di Burri. Con il suo cinema, il regista russo denuncia l’inquinamento dis-umano e l’arrendevolezza dell’agiatezza. E se in Gunda (2020) aveva mostrato l’efferata quotidianità degli animali d’allevamento, in Vivas las antipodas! (2011)le similitudini degli opposti, e in Aquarela (2018) ci conduceva in un viaggio sensoriale nell’acqua, con Architecton ci incita ad abbattere il muro di cemento che separa la natura dall’umanità. Scena cult: 2024 Odissea sulla Terra… Michele De Lucchi è in piedi di fronte a un enorme megalite di pietra, una sorta di monolite che rende l’essere umano un nulla di fronte alla Natura, che, ricordiamoci, non bada a noi: siamo noi, per una volta, a dover badare a lei.
Barbara Frigerio
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