Rooney Mara serve ai tavoli di “La Cocina”. Alla Berlinale 74 il film crudele metafora della società
Il dietro le quinte di una catena di ristoranti di New York, tra amori impossibili e gerarchie di potere, è opportunità per mettere in scena le relazioni interpersonali sul posto di lavoro. Senza risparmiare critiche
A Berlino spunta il sole, i colori si intensificano, le strade sono in 16:9: questo accade fuori, nella realtà. Ma dentro, in sala, è tutto diverso. Dentro c’è il cinema, c’è il sogno. E il sogno assume le tinte che desidera, ribalta le prospettive. Così fa La Cocina, in concorso alla 74 Berlinale, film in 4:3 e in bianco e nero, che si inserisce nel genere cooking. Quello che ha rivitalizzato gli show con Masterchef, ha galvanizzato cinefili seriali con The Bear, ha attirato gli amanti dell’horror con The Menu. Ma La Cocina va oltre, scuotendo i cliché del genere, perché se da un lato ambisce a raccontare la storia dell’umanità tra i fornelli di una catena di ristoranti, dall’altra non si esime dal descrivere, realisticamente, le relazioni interpersonali sul posto di lavoro, dove il lavoro è nutrire, servire, sentire, assaporare.
L’America in cucina
A cucinare ci sono messicani, italiani, indiani, arabi, africani, tutti illegali, ma c’è anche qualche americano e inevitabile sarà lo scontro. A servire ci sono solo ragazze, carine, possibilmente bianche e giovani, altrimenti diventa un problema. Tra i cuochi, spicca Pedro, interpretato da Raúl Briones, attore istrionico che riesce a farsi amare, compatire e odiare allo stesso tempo. È lui il più accalorato, quello che ha cattive parole per tutti, e solo amore per la cameriera Julia, un’intrigante Rooney Mara, americana disagiata, ma pur sempre, per nazionalità, una privilegiata. Il loro è un amore impossibile, come lo è quello tra Messico e America, troppo vicini per lasciarsi, troppo lontani per capirsi. Insomma, dentro la “Cocina” accade davvero di tutto, ci sono amore, tradimento, gerarchia, razzismo, colonialismo, sfruttamento, potere, ingiustizia, “guerra tra poveri”, e persino una sorta di inondazione biblica. È come se secoli di storia fossero stati cucinati e poi serviti per essere divorati dall’umanità stessa, in una forma di cannibalismo antropologico.
La regia musicale di “La Cocina”
Un film diretto da Alonso Ruizpalacios come fosse un musical, tanto armonici sono i dialoghi, tanto melodiosi i suoni delle diverse lingue, tanto perfetti sono i movimenti degli attori che si muovono dentro un quadrato, quello dello schermo, della cucina, delle “square” – le piazze di New York dove La Cocina è ambientato. Il film è tratto dalla pièce teatrale di Arnold Wesker, che il regista stava leggendo proprio mentre lavorava in una cucina, come lavapiatti. E così la vita diventa finzione e il sogno si realizza. Il lavapiatti diventa regista, ma il sogno può anche diventare un incubo, come quello del protagonista: Pedro desidera solo avere una famiglia, tornare in Messico, ma anche ottenere la Visa. Ma quel che ottiene è solo caos, mentre la cucina fa letteralmente acqua da tutte le parti. In fondo, come dice un personaggio, “Mi hai chiesto di raccontare un sogno, non posso farci niente se è un incubo”. Scena Cult: Tutti insieme appassionatamente si esibiscono in un monologo a più voci, più lingue, più suoni, una sorta di “canzone” composta solo da parolacce in madre lingua. L’unico momento di pace!
Barbara Frigerio
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