“Gli ultimi dodici giorni”. Il film sull’addio al tennis di Roger Federer, l’artista della racchetta
Su Prime Video vanno in scena le ultime battute della carriera dell’ex campione svizzero del tennis. Un documentario firmato da Joe Sabia e del premio Oscar Asif Kapadia ad alto tasso emotivo, che conferma l’amore del cinema per uno sport che è metafora di vita
Il tennis è metafora di vita, ma non è solo una sfida tra due persone, è prima di tutto una sfida con e contro se stessi. È una forma d’arte, una danza di movimenti, “una partita a scacchi psicologica e fisica”, una corsa a ostacoli, una lotta di teste, un gioco di perseveranza, tattica, istinto, resistenza, velocità, leggerezza, potenza, eleganza, fortuna, impegno. Ma è anche dolore allo stato puro, un saliscendi di emozioni, dall’esaltazione al fallimento, dal pensiero negativo che torna instancabile all’errore, in un ripetersi di pattern, sino a rabbia, tristezza o felicità. E tutto accade durante un unico game, un unico set, un unico match che, come la vita, non sai quanto durerà. A un certo punto, però devi farti da parte: “È il circolo della vita, qualcuno arriva, qualcuno se ne va”. Ad andarsene è Roger in Federer – Gli ultimi dodici giorni (Prime Video), il racconto dell’addio al tennis del campione svizzero, che è molto più di un semplice “fine carriera”. Perché il tennis, come si diceva, è metafora di vita e il cinema non può non mettere in scena qualunque tema che ne sintetizzi l’essenza.
Cinema e tennis: i precedenti
Così si sprecano i film sul tennis, da Match Point di Woody Allen che condensa, nella caduta di una pallina, l’ironia del destino a Challangers di Luca Guadagnino, dove il tennis è un compendio sulle relazioni passionali e d’amore. E poi ci sono le biografie sul sogno americano, come Una famiglia vincente sulle sorelle Williams, ma anche i racconti di grandi momenti come La battaglia dei sessi, dove l’iconica Billie Jean King sfida il patriarcato dell’ex campione Bobby Riggs. O ancora le mitiche rivalità, vero e proprio scontro di personalità, di visioni del mondo agli antipodi, come Borg McEnroe. Senza dimenticare i documentari come The world vs Becker, sulla disfatta umana ed economica del tedesco, Una squadra, dove 4 campioni, in primis Panatta, “vincono” dittature “battuta dopo battuta”, Untold sulla salute mentale tra un tiro e l’altro, Andy Murray: Resurfacing sulla sofferenza fisica e sulla voglia di rinascere.
“Federer – Gli ultimi dodici giorni”. Il film
Ma soprattutto, Federer – Gli ultimi dodici giorni di Joe Sabia e del premio Oscar Asif Kapadia (Amy). Un documentario atipico, se si pensa che nelle primarie intenzione del campione svizzero, c’era la volontà di farne un filmino di famiglia. Ma il materiale raccolto, le emozioni in “campo” erano davvero troppo universali. In gioco, c’era l’intera esistenza di un uomo con la sua morte senza la morte, perché “gli sportivi muoiono due volte, la prima è quando terminano la carriera professionale”.
La vera essenza dell’agonismo
Il film racconta gli ultimi dodici giorni del “più bel giocatore di tennis che abbia mai visto”, parola di McEnroe, perché “Roger è un artista della racchetta”, aggiunge Borg. Insomma, “non vedremo mai più un giocatore con quel flow, eleganza, perfezione, armonia”, conclude Nadal, altro dio indiscusso del tennis, insieme a Đoković che si emoziona quando Federer gli parla. E questi sono solo alcuni dei nomi che omaggiano Roger Federer nel documentario sull’addio del campione, che, dopo un infortunio casalingo, viene sottoposto a più operazioni alle ginocchia. Certo torna, vince ancora, ma ormai, non è più lo stesso. A quarant’anni il corpo perde i colpi, li perde in campo contro avversari più giovani che lo adorano, come Berrettini, presente proprio all’ultima partita di Federer. E rieccoci alla metafora di vita, perché si tratta della Laver Cup, torneo ideato dallo stesso Federer, ovvero la sfida tra Europa e Resto del mondo. A capitanarle, Borg da una parte e McEnroe dall’altra. Insomma, questo film – forse non un capolavoro di regia o di repertorio: gli appassionati vorranno più tennis – è senz’altro una storia di umanità, di amore, famiglia, emozioni, solidarietà, personalità. E vi farà piangere come hanno pianto Federer e Nadal, seduti uno accanto all’altro, in una rivalità che è amicizia, perché se sei bravo lo devi all’avversario che ti migliora. Non è questa la vera essenza dell’agonismo? Beh, se non lo è, dovrebbe esserlo!
Barbara Frigerio
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