Un progetto racconta la storia di Ferrania, mitica fabbrica italiana di pellicole per foto e cinema
La storia di Ferrania, azienda leader nella produzione di pellicole fotografiche e cinematografiche, è impressa nei ricordi e nel cuore del comune ligure Cairo Montenotte. Nel progetto "Ferrania: la pellicola italiana", ex dipendenti e cittadini raccontano questa esperienza
Nel cuore dell’industria fotografica e cinematografica italiana, Ferrania si è distinta per decenni come un simbolo di innovazione e di vita comunitaria. Le voci di ex dipendenti, le fotografie sbiadite e la visita al sito abbandonato di archeologia industriale rivelano non solo la storia di un’azienda, ma anche quella di una comunità intricata e vibrante.
La narrativa di questo luogo riprende vita in Ferrania: la pellicola italiana, il progetto di Artribune, raccontando l’evoluzione di una comunità legata indissolubilmente al suo stabilimento.
La storia di Ferrania: dalla pellicola alla memoria collettiva
Fondata agli albori del Novecento nel comune di Cairo Montenotte, in provincia di Savona, Ferrania iniziò come una fabbrica di polveri da sparo, prima di trasformarsi in un gigante della produzione di pellicole fotografiche e cinematografiche. Nel dopoguerra, l’azienda si affermò rapidamente come leader nel settore, grazie all’introduzione delle pellicole a colori, un primato tecnologico che attrasse l’attenzione di Hollywood e di registi europei.
Più di un semplice luogo di lavoro, Ferrania rappresentava un microcosmo sociale. Con la sua banda musicale aziendale, le feste del dopolavoro e le iniziative culturali come viaggi organizzati e attività sportive, l’azienda promuoveva un forte senso di appartenenza e di orgoglio tra i suoi dipendenti. Le testimonianze raccontano di un ambiente dove i rapporti umani erano centrali tanto quanto la produzione industriale.
Nonostante la focalizzazione sulla comunità, Ferrania non trascurava l’innovazione. L’azienda era all’avanguardia nella ricerca fotografica, una delle poche al mondo capaci di competere con giganti come Kodak e Agfa. Gli investimenti in nuovi macchinari e tecnologie non solo aumentavano la capacità produttiva, ma anche la qualità dei prodotti che spaziavano dalle pellicole radiografiche a quelle cinematografiche usate in film iconici come la pellicola P30, la stessa de La Ciociara.
Oltre a produrre pellicole, Ferrania gestiva anche una rivista che ha presentato le opere di fotografi di spicco come Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Ernesto Fantozzi, Mario Giacomelli, Uliano Lucas, Pepi Merisio e Fulvio Roiter.
L’acquisizione di Ferrania e l’avvento del digitale
Nel 1964 l’azienda venne acquistata dalla 3M Corporation of America per 55 milioni di dollari, segnando la più grande acquisizione dell’azienda statunitense in più di sessant’anni. Josef Kuhn, allora vicepresidente senior di 3M, riconobbe le superiori
capacità tecnologiche di Ferrania nella produzione di pellicole per il cinema e la fotografia, rispetto a quelle della stessa 3M.
Tuttavia, con l’avvento del digitale, Ferrania affrontò sfide che culminarono in un declino. I protagonisti coinvolti rivelano un profondo legame affettivo con l’azienda, evidenziando un senso di perdita, ma anche di gratitudine per gli anni trascorsi all’interno di una comunità unica nel suo genere.
Testimonianze e anneddoti sulla storica azienda
Le voci di Ferrania raccontano di un’epoca in cui l’azienda era un simbolo di innovazione e di comunità. Sebbene oggi quella realtà non esista più nella sua forma originale, il suo spirito vive nel ricordo di coloro che ne hanno fatto parte e nei tentativi di preservare e valorizzare quella storia attraverso il museo e altre iniziative locali.
Uno dei testimoni più vividi di questa eredità è Adriana Mallarini, ex impiegata di Ferrania, le cui narrazioni spaziano dalla seconda guerra mondiale fino agli Anni ’90, quando l’azienda ha cominciato a declinare. Entrata in Ferrania a soli 18 anni, racconta con nostalgia e precisione i cambiamenti nel processo produttivo, i rapporti umani e le iniziative sociali che caratterizzavano la vita aziendale. “Ferrania era una grande famiglia; non solo un posto di lavoro, ma un centro di condivisione sociale” racconta Pisano, ricordando con affetto le feste di Natale durante le quali “l’ingegnere Schiatti, il direttore, faceva il giro delle sale per fare gli auguri personalmente a ciascun impiegato, riconoscendo ogni membro della sua famiglia”.
Queste occasioni erano un’espressione tangibile del senso di appartenenza che Ferrania riusciva a creare. Le attività extralavorative come il dopolavoro, le manifestazioni sportive e le feste aziendali erano infatti il cuore pulsante della vita dei dipendenti, creando un senso di identità e comunità.
“La Ferrania era il cuore del paese”, afferma Stefano Siri, un altro ex dipendente, “Ogni famiglia aveva qualcuno che lavorava lì. Quando la fabbrica chiuse, non solo le persone persero il lavoro, ma il paese perse la sua anima”.
La narrazione di Ferrania si arricchisce anche grazie ai contributi di Silvio Abucci e Guido Verrini. “Ho visto l’azienda passare dall’analogico al digitale, una transizione che ha portato sfide, ma anche nuove opportunità”, dice il primo e il secondo aggiunge: “Il mio lavoro nel dipartimento di ricerca chimica mi ha permesso di esplorare nuovi materiali e processi che hanno potenzialmente rivoluzionato il modo in cui le pellicole venivano prodotte”.
Tuttavia, l’avvento del digitale pose sfide significative. “Ferrania era all’avanguardia nella chimica fotografica, ma il mondo stava cambiando velocemente e non tutti i cambiamenti furono gestiti tempestivamente”, afferma Verrini, raccontando la sua esperienza nel dipartimento di ricerca e sviluppo.
“La trasformazione del mercato fotografico mise a dura prova la capacità di adattamento dell’azienda, che faticava a tenere il passo con le rapide evoluzioni tecnologiche. Il mondo cambiava più velocemente di quanto potessero gestire, evidenziando il contrasto tra l’orgoglio per le competenze acquisite e la frustrazione per le difficoltà incontrate”.
Il Museo Ferrania Film
Parallelamente, il contributo di Alessandro Bechis, attuale Direttore del Museo Ferrania Film di Cairo Montenotte, aggiunge una dimensione istituzionale alla memoria collettiva. Bechis, la cui famiglia ha lavorato per tre generazioni all’interno dello stabilimento, oggi si dedica a preservare e valorizzare il patrimonio culturale di Ferrania attraverso il museo. “Il nostro obiettivo è rendere questo patrimonio accessibile a tutti, trasformando la memoria individuale in una memoria condivisa, che possa educare e ispirare le nuove generazioni”, spiega.
Sotto la sua guida, il museo non solo conserva le pellicole e i macchinari che hanno fatto la storia del cinema e della fotografia, ma organizza anche attività che collegano il passato industriale di Ferrania alle dinamiche culturali e sociali contemporanee. Attraverso esposizioni, workshop e collaborazioni con istituti di ricerca, il museo si propone come un ponte tra il passato industriale e il futuro creativo della regione con l’obiettivo di lasciare un’impronta che supera i confini del tempo e delle generazioni.
Alessia Caliendo
Crediti
Racconto fotografico di Simone Paccini
Curatela visiva e testi di Alessia Caliendo
Si ringraziano
Stefano Siri, Marco Tibaldi, Mario Norziglia, Lidia Giusto
Maria Rosa Grandis, Norma Barisone, Guido Verrini, Silvio Abucci
Video & Sound Design
Devid Fichera, Jeremy Sismondi, Matteo Marrella e Lorenzo Greco
Per i contributi video d’archivio
Alessandro Bechis, Ferrania Film Museum, Home Movies e Kinè
Paolo Lambertini e Caterina Garra del Comune di Cairo Montenotte
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