Consigli per l’estate: la “trilogia del revisionismo storico” di Quentin Tarantino 

Cose da rivedere durante l’estate: il cinema come rivincita nei confronti della Storia; attraverso l’immaginazione, la storia nell’opera di Tarantino viene trasformata e deraglia in maniera imprevedibile

Jay Sebring: Ma che cazzo è successo? 
Rick Dalton: Beh, il mio amico e mia moglie ne hanno uccisi due e la terza, beh cazzo, la terza l’ho bruciata. Le ho bruciato il culo come una crepes. 
Jay Sebring: L’hai bruciata? 
Rick Dalton: Si, che tu ci creda o no avevo un lanciafiamme nel ripostiglio. 
Jay Sebring: Quello de I quattordici pugni di McLusckey? 
Rick Dalton: [Sorride] Si. 

L’influenza profonda del cinema di Sergio Leone sull’opera di Quentin Tarantino non si limita certo all’uso grafico della violenza sullo schermo, né allo stile delle inquadrature. A partire dal 2009 (dopo cioè il tour de force creativo di Kill Bill vol. 1, 2003, e vol. 2, 2004, e la ‘pausa’ forse necessaria di Death Proof, 2007) la sua riflessione si concentra sul tempo storico, prendendo esempio proprio dall’ultimo Leone. 

Il cinema di Quentin Tarantino 

Se l’attenzione del regista romano, come abbiamo visto, si fissava ossessivamente sulla rievocazione/riesumazione dei ricordi e sulla gestione della memoria, quella dell’autore originario del Tennessee ma californiano di adozione si attesta su un’operazione a prima vista folle e impossibile: la modifica, la trasformazione della storia, del passato. È una storia cioè tutta what if… quella che prende corpo a partire da Bastardi senza gloria fino a C’era una volta a… Hollywood (2019).  Il punto di partenza è la rielaborazione di un classico all’epoca quasi dimenticato come Quel maledetto treno blindato (1977) di Enzo G. Castellari (altro regista per cui l’apprendistato nello spaghetti-western è stato fondamentale, a partire da Pochi dollari per Django, 1966, e autore di un capolavoro tardo e crepuscolare del genere come Keoma, 1976); ma, appunto, il testo cinematografico di partenza serve solo come una sorta di canovaccio per poter sviluppare un discorso completamente diverso rispetto a quello dell’originale, e strettamente connesso alla temperie culturale degli anni Zero.  

Il cinema come scomoda realtà 

L’idea di Tarantino è semplice ma geniale: se infatti il cinema è realmente una ‘seconda realtà’, un intero universo immaginario in grado di competere con il mondo di tutti i giorni, allora questa Realtà 2 – se opportunamente manovrata e indirizzata narrativamente – è anche in grado di mutare in qualche modo la Realtà 1, riparandone in parte i torti e raddrizzandone le storture. È questo in fondo il senso della scena finale ambientata nel cinema di Shosanna, in cui i gerarchi nazisti – compresi Hitler e Goebbels – vengono trucidati dai Bastardi. Può sembrare un gioco (e certamente lo è), ma si tratta di un gioco molto serio: il Cinema diventa dunque rivincita nei confronti della Storia; attraverso l’immaginazione, la storia deraglia in maniera imprevedibile. Il cinema (l’arte) è tanto potente nei suoi mezzi e nei suoi effetti quanto la realtà storica – a patto che sia in grado di sganciarsi da ogni intento decorativo.  

Django Unchained, Quentin Tarantino
Django Unchained, Quentin Tarantino

Quentin Tarantino e Django Unchained 

Il gioco prosegue con Django Unchained (2012), affrontando questa volta il trauma centrale degli Stati Uniti: lo schiavismo. Anche qui, si parte dal seminale Django (1966) di Sergio Corbucci, per trasformare Franco Nero in Jamie Foxx, schiavo alla ricerca della moglie Broomhilda dalla quale è stato separato. La storia di rivalsa e vendetta assume contorni mitologici, ripercorrendo addirittura la vicenda di Sigfrido ne L’anello del Nibelungo. La violenza è funzionale a produrre un effetto di catarsi nello spettatore: ciò che vedo sullo schermo è ciò che avrebbe dovuto accadere e non è accaduto (nella realtà); ciò che vedo sullo schermo è giusto. Si arriva dunque al capitolo conclusivo della trilogia, forse il film a tutt’oggi più complesso e ambizioso realizzato da Tarantino (insieme a Pulp Fiction e a Jackie Brown). Nel caso di C’era una volta a… Hollywood, infatti, la ricostruzione storica diviene una mimesi vertiginosa e minuziosa. Fin dalle prime scene, noi siamo insieme a Rick Dalton e a Ciff Booth, a Roman Polanski e a Sharon Tate nelle strade di Los Angeles nel febbraio e nell’agosto 1969, avvolti dalla musica e dal rombo dei motori e dai dialoghi e dall’euforia del periodo. Il ricorso alla computergrafica è quasi inesistente, infatti, e i luoghi sono quelli reali, ricostruiti o riportati allo stato originale: l’effetto di autenticità è quindi molto forte e pervasivo. È un tipo di rapporto ossessivo con la memoria molto vicino a quello che guida la ricerca letteraria di un autore come James Ellroy, che ha dichiarato a più riprese di immergersi completamente quando scrive nei giorni e nelle settimane che sta raccontando, leggendo giornali e libri, guardando film e lasciandosi avvolgere completamente dall’atmosfera psichica del periodo (ma è possibile fare altrimenti?). 

C'era una volta Hollywood, Quentin Tarantino
C’era una volta Hollywood, Quentin Tarantino

Il cinema di Tarantino, la letteratura di Ellroy e la nostalgia 

È un approccio, questo, molto diverso dalla nostalgia – anzi opposto ad essa, a ben guardare. La nostalgia infatti tende a ridurre, a semplificare, ad annullare le distanze erodendo e rimuovendo gli elementi di incompatibilità con il presente (di solito, non a caso, i più interessanti). Quello che fanno Tarantino ed Ellroy è invece esaltare proprio questi fattori, sottolineando consapevolmente la distanza incommensurabile del presente rispetto al passato per catapultare lo spettatore/lettore in un mondo alieno, che è però l’origine del nostro. Il massacro sventato di Cielo Drive diventa dunque – come è sempre stato, ma qui in modo più sottile e insinuante – metafora di un’epoca di transizione: il passaggio dal sogno all’incubo, dalla spensieratezza hippie all’oscurità paranoica dei Settanta. Tarantino ci sta dicendo che mentre Rick dà fuoco con il lanciafiamme (ricordo di un suo vecchio film di guerra che a sua volta richiama da vicino Quel maledetto treno blindato, e quindi Bastardi senza gloria) a Sadie, la seguace di Charles Manson, sta incendiando in realtà tutte le conseguenze negative sul futuro di quell’evento e della strage di Altamont, in cui il 6 dicembre 1969 (4 mesi dopo Woodstock) quattro persone persero la vita a causa delle percosse subite dagli Hell’s Angels, ridisegnando il panorama degli anni Settanta e dei decenni successivi: una storia alternativa che si estende fino al presente. È questo il senso di liberazione che ci coglie quando Rick viene finalmente invitato a casa sua da Sharon Tate, consapevole della vicenda tragicomica che ha coinvolto il suo vicino di casa ma totalmente inconsapevole di come la stessa vicenda si sia svolta nel mondo reale, fuori dallo schermo: il nostro. La freschezza, l’ingenuità e il fascino di Sharon preservati dalla brutalità a fin di bene dell’attore quasi fallito e dello stuntman uxoricida sono il nucleo prezioso di un’epoca che Tarantino è riuscito a portare fino a noi, attraverso l’alchimia e la magia del suo cinema. 

Christian Caliandro 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più