Il progetto di recupero delle 101 sale cinematografiche dismesse a Roma
Per la Festa del Cinema di Roma, la Casa dell’Architettura ha ospitato il convegno sulle sale cinematografiche romane dismesse. L’architetto Paolo Verdeschi, coordinatore scientifico dell’iniziativa, illustra le proposte emerse per rilanciare questo patrimonio architettonico
Il titolo del convegno La carica dei 101 vuole essere un auspicio. Ma in realtà oggi si dovrebbe parlare di “ritirata dei 101”: tante, infatti, sono le sale cinematografiche di Roma ormai perse per la collettività. Un patrimonio culturale e storico che, nella Capitale come in molte città italiane, non va dimenticato anzi recuperato.
L’inserimento di questo convegno, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma, nella sezione Risonanze della Festa del Cinema, è un segno di condivisione di una criticità culturale e strutturale della nostra città alla quale gli architetti, romani in questo caso, possono dare un significativo contributo con idee, proposte, progetti. Durante il convegno – composto di quattro panel: Cause; Normativa; Esempi; Proposte – sono state proiettate brevi interviste a Enrico Vanzina, Serena Dandini, Massimo Ghini, Antonio Leone, Lele Marchitelli, Giampiero Ingrassia. Hanno attinto ai loro ricordi di cinema che non esistono più, ricordi pieni d’affetto ma anche d’amarezza per la scomparsa delle emozioni e dei sogni, della gioia e della commozione, e della spensieratezza di quei momenti che il grande schermo generava. Momenti di condivisione, come raccontato da Serena Dandini quando al cinema Rex vide Help: “eravamo una massa scatenata di ragazzine e ragazzini urlanti come se i Beatles fossero lì, questa era la sensazione che dava il grande schermo”.
Perché a Roma 101 sale cinematografiche sono state chiuse?
Le cause delle sale chiuse, dovute soprattutto alla riduzione del pubblico, sono state analizzate da diverse angolazioni attraverso gli interventi dei relatori del primo panel. Per Manuele Ilari, presidente di UECI, bisogna “regolamentare il mercato cinematografico, disciplinato da norme frammentate e giuridicamente inadeguate se rapportate ai nuovi strumenti di veicolazione del prodotto cinematografico. Attendiamo dalle autorità preposte e di concerto con gli operatori, un mercato nuovo dove le imprese possano essere chiamate ad operare attraverso una sana e leale concorrenza”. Massimo Veneziano, amministratore delegato della storica casa di produzione Titanus ha aggiunto che “questo momento storico è uno dei più difficili per il cinema italiano, sia per l’avvento delle piattaforme che hanno ridotto l’affluenza del pubblico, sia per il blocco del tax credit che ha rallentato le produzioni. Siamo in attesa di capire come sarà effettivamente la nuova legge sul cinema. Abbiamo la sensazione che porterà alla diminuzione delle produzioni cinematografiche, ma anche a una programmazione più mirata per avere più garanzie sulla riuscita dei progetti”. Fondamentale poi il tema toccato da Massimiliano Bruno, regista e sceneggiatore, ovvero gli investimenti dei produttori quali garanzie per la riuscita dei progetti, evidenziando così l’importanza della qualità del prodotto filmico. Fabia Bettini, direttrice con Gianluca Giannelli di Alice nella Città (sezione autonoma della Festa del Cinema) ha concluso questo primo panel sottolineando l’importanza del coinvolgimento dei giovani, sia come fruitori del cinema che come possibili talenti esordienti in questo settore con una particolare attenzione alla promozione del cortometraggio. Il corto è sicuramente un prodotto che sta riscuotendo interesse tra il pubblico più giovane che, abituato a social, reels e tik tok, trova in questo genere di produzione filmica breve un coinvolgimento maggiore che nei film di lunga durata. Lodevole il loro impegno nella riduzione dei costi dei biglietti per rendere accessibile il cinema a tutti.
La via della qualità per riportare al cinema il pubblico
Alle molteplici cause che hanno inesorabilmente portato alla chiusura delle sale vorrei aggiungere una riflessione. La mancanza di una legge che faccia restare in sala un film per un tempo ragionevole, affinché il pubblico possa vederlo sul grande schermo e “fare mercato” con il passaparola, ha determinato l’aumento degli spettatori televisivi comportando di conseguenza una produzione cinematografica affannosa e bulimica; allo stesso tempo, ha trasformato la visione del film in un evento audiovisivo. Il cinema, prima visto comedivertimento a prezzi contenuti (dalle prime visioni alle sale parrocchiali); ora è ad alto costo se pensiamo a una famiglia di quattro persone. Un’ipotesi potrebbe essere una legge ad hoc che, comprendendo anche dei finanziamenti mirati, differenzi la produzione e la proiezione tra fiction e film. Sono passati i tempi in cui i produttori s’innamoravano e credevano fermamente in un soggetto. Il produttore Giuseppe Vasaturo, in arte Peppino Amato (suocero di Carlo Pedersoli), si appassionò talmente alla sceneggiatura de La Dolce Vita, letta per caso, che per averla non esitò a scambiarla con De Laurentiis che ne deteneva i diritti, dandogli in controparte La Grande Guerra di Monicelli. Goffredo Lombardo, storico proprietario della Titanus, rischiò il fallimento con Il Gattopardo. Furono successi mondiali con incassi record. Era il 1981 quando due produttori, Fulvio Lucisano e Mauro Berardi compresero subito il talento di Massimo Troisi vedendolo recitare al teatro Tenda di Roma, decisero di produrre il film Ricomincio da tre affidandogli anche la regia. Un film in lingua napoletana proiettato a nord di Roma era ad alto rischio, una vera scommessa, Lucisano garantì egli stesso il guadagno alle sale cinematografiche in caso di mancato incasso. Il film, costato quattrocentocinquanta milioni di lire, incassò quattordici miliardi. A Roma, Ricomincio da tre rimase in programmazione al Cinema Gioello per oltre due anni. È vero che sono esempi di capolavori assoluti del cinema italiano, con attori e registi straordinari, ma penso che per riportare il pubblico in sala occorra seguire la via della qualità. Il recente film C’è ancora domani di Paola Cortellesi ha incassato quasi quaranta milioni di euro restando in sala per parecchie settimane.
Il recupero dei cinema come bene collettivo da preservare
Il tema della legislazione come regolamentazione degli interventi mirati al recupero edilizio delle sale è stato introdotto da una pillola da Massimo Ghini. Ricordando il cinema Apollo, l’attore ha sottolineato la necessità di leggi adeguate per il recupero dei cinema come bene culturale collettivo da preservare e rilanciare. La sala cinematografica è il luogo per eccellenza deputato alla settima arte, oggi ambiente ipertecnologico e accogliente, che contribuisce alla valorizzazione comunicativa e relazionale del pubblico davanti al grande schermo. La consigliera capitolina Antonella Melito, vicepresidente della commissione Urbanistica del Comune di Roma, e l’architetto Lorenzo Busnengo, Consigliere OAR, hanno illustrato le discrepanze delle normative attuali che governano il recupero edilizio dei cinema. “Siamo impegnati nel supportare gli organi politici competenti, regionali e comunali, per la definizione di normative e regolamenti atti a salvaguardare la vocazione delle sale cinematografiche come luoghi di spettacolo e cultura. Oltre agli elementi di tutela e salvaguardia bisogna ragionare anche su parametri di sostenibilità economica per gli operatori del settore, attraverso incentivi premiali, come incrementi di superficie e inserimento di funzioni complementari alle attività culturali, sempre con l’obiettivo di garantire una trasformazione di qualità delle caratteristiche architettoniche delle sale”, ha spiegato Busnengo. Promotrice di una delibera per la creazione di un osservatorio sul cinema e lo spettacolo visto dal punto di vista sociale, Melito è favore di soluzioni che prevedano una sinergia tra di più funzioni per le sale, ribadendo l’importanza di tutelare presidi che, seppur dismessi, possono svolgere una funzione culturale. È l’unico modo per rilanciare un cinema abbandonato. Centrale è la modifica delle NTA di PRG, che attualmente distinguono tra cinema del centro storico e non. È necessario uniformare le norme, prevedendo incentivi per la riqualificazione delle sale dismesse, con l’obbligo di destinare almeno il 70% della nuova superficie a funzioni culturali.
Come rigenerare i cinema dismessi?
Su come intervenire sulle sale, vorrei ricordare quanto detto da Renzo Piano riguardo alla funzione sociale dell’Auditorium: “funzioni tutte che affidano a questo progetto l’importante funzione di rendere urbano questo luogo che ha bisogno di urbanità. I luoghi della cultura, d’altronde, come quelli della musica, hanno la naturale funzione di fecondare il tessuto urbano, sottrarre la città all’imbarbarimento e restituirle quella qualità straordinaria che ha sempre avuto nella storia”. Si evidenziano da questa frase, in modo implicito e con diversa rilevanza, due aspetti metodologici da analizzare per trattare l’argomento. Il primo è che la sala cinematografica non va considerata come opera isolata ma inserita in un contesto più ampio: va vista come parte di una serie di altre opere analoghe, realizzate da differenti autori e accomunate da un clima culturale condiviso. Questo inserimento collettivo amplifica il valore singolo il cui significato emerge in tutta la sua portata proprio grazie alla comparazione con altre opere del periodo. Insieme delineano un segmento significativo del patrimonio artistico e culturale romano del Novecento, dove ogni opera acquisisce importanza non solo in sé, ma in relazione alle altre. Tale rete di relazioni permette una lettura storica dell’insieme, attraverso la quale diventa possibile comprendere meglio il ruolo e il carattere di ciascuna opera e, in tal modo, storicizzarle in maniera organica.
Il concetto di “restauro urbano”
Il secondo aspetto metodologico risiede nella visione ampia del restauro e dell’aggiornamento della struttura, che non sono limitati agli elementi materiali, ma si estendono alla sfera urbanistica e ambientale. S’introduce così il concetto di “restauro urbano”, che si pone in un piano antecedente e complementare a quello architettonico: un intervento di restauro non avrebbe alcun valore compiuto se non fosse correlato alle necessità economiche, funzionali, sociali e gestionali dell’opera stessa. In quest’ottica, l’intervento assume un significato pieno solo quando è in relazione diretta con il contesto urbano circostante, con le sue caratteristiche e le trasformazioni che ha subito nel tempo. Il restauro urbano e la rigenerazione urbana s’integrano in un processo di valorizzazione e riqualificazione delle aree cittadine: il primo si occupa della conservazione e del recupero di edifici e spazi con valore storico, riportandoli all’uso in modo rispettoso e mantenendo l’identità culturale originaria; la seconda amplia l’intervento, trasformando anche l’ambiente circostante per rispondere alle esigenze moderne della collettività.
I riflessi architettonici dell’evoluzione del cinema italiano
Dal 1944 agli Anni Settanta, il cinema italiano ha avuto un ruolo chiave nel rappresentare la nostra società, raccontando storia, virtù, contraddizioni, difficoltà del Dopoguerra. Registi come Fellini, Visconti, Antonioni e Pasolini hanno poi approfondito temi sociali e culturali, offrendo una visione storica e critica dell’Italia in trasformazione. A Roma e in altre città tale fenomeno è iniziato dagli Anni Trenta; di pari passo, teatri come l’Adriano, il Quirinale, il Volturno e altri diventavano anche cinema, ma senza alterare l’originale struttura statica e architettonica. Con lo sviluppo della città fuori delle Mura Aureliane e dei tessuti ottocenteschi nascono ex novo molte sale cinematografiche; qualcuna si presentava nei classici e inconfondibili elementi del razionalismo italiano come il Cinema Impero inaugurato nel 1937 nella zona semiperiferica di Torpignattara, altri senza nessuna valenza architettonica, come il cinema Puccini a Casalbertone, nel tempo divennero dei punti di riferimento di quartiere. L’ingegnere Riccardo Morandi fu autore di numerose sale cinematografiche – come il Maestoso all’Appio Latino, punto d’incontro tra razionalismo costruttivo ed espressionismo strutturalista – autentici monumenti del Moderno. Un patrimonio epocale, contenitore e contenuti, quasi del tutto sparito per le trasformazioni subite a causa della perdita irreversibile dell’integrità architettonica e ingegneristica del manufatto originale, dovuta alla necessità economica della multisala. Dopo gli Anni Settanta, la produzione italiana ha però attraversato una crisi, perdendo in parte il suo ruolo sotto la pressione dell’intrattenimento di massa e della televisione. Tuttavia, autori come Moretti, Bellocchio, Amelio e Sorrentino hanno mantenuto viva l’eredità di un cinema italiano di qualità, continuando a raccontare il nostro Paese e favorendo un rinnovato interesse per il cinema d’autore negli anni recenti. In questo contesto, il restauro urbano contribuisce alla rigenerazione urbana fornendo solide radici storiche al processo di rinnovamento, permettendo alla città di crescere in modo sostenibile e inclusivo, rispettando al contempo il patrimonio esistente e adattandolo a nuovi usi e funzioni.
Dal Barberini all’Airone: restaurare il patrimonio architettonico moderno
Restauro del moderno e interventi sull’esistente è stato il tema del terzo panel. Sono stati presentati gli esempi del cinema Barberini, realizzato negli Anni Trenta da Marcello Piacentini, e dell’Airone (di Adalberto Libera, Leo Calini e Eugenio Montuori, nel 1956), quest’ultimo preceduto da una pillola ricordo del giornalista e scrittore Antonio Leone. L’attuale ristrutturazione del cinema Barberini, realizzata dallo studio Bossi di Pavia con la direzione artistica dell’architetto Stefano Rosini, non è un restauro filologico. Piuttosto è un interessante intervento di ristrutturazione di un edificio, storicamente importante nella cultura cinematografica romana, collocato in un contesto urbano con una forte prevalenza di uffici e con funzione turistico-ricettiva. L’intervento ha conservato la facciata, l’elemento di transizione tra passato e presente e il vestibolo circolare, anche se con materiali differenti. All’interno sono state realizzate sei sale polivalenti e il progetto ha il pregio di non essere, come spesso accade, solo funzionale e derivante dalla tecnologia, ma è caratterizzato da un attento studio dell’arredo delle sale di proiezione, differenziandole nelle colorazioni delle sedute e del trattamento delle pareti qualificandole architettonicamente. Stessa attenzione è stata data ai nuovi spazi distributivi e al ristorante. Non è poca cosa, se consideriamo che quasi tutte le multisale romane sono pressoché uguali. Scrive l’architetta Allegra Maria Girolami: “il cinema Airone costituisce un esempio importante nel panorama architettonico dei cinema di Roma. (…) l’edificio assume una forte connotazione sociale, instaurandosi fin da subito come luogo di incontro e rappresentanza in un quartiere storicamente legato al cinema. Lo scorrere del tempo, l’avvento dei multisala ed il progressivo fallimento commerciale dei cinema, hanno comportato un cambiamento nell’uso di questo spazio. Trasformato in discoteca e sottoposto ad un susseguirsi di gestioni fallimentari e sconsiderate, il Comune di Roma acquisisce il bene, riconoscendone la paternità e ponendolo sotto tutela non solo per le sue qualità architettoniche ma anche per la presenza di un affresco ad opera di Giuseppe Capogrossi. Tra il 2013 ed il 2015 il Comune esegue alcuni interventi volti all’impermeabilizzazione del solaio in corrispondenza dell’ingresso, con la speranza di preservare l’affresco e fare un primo passo verso il riuso del cinema in qualità di spazio polivalente, rivolto a proiezioni, spettacoli teatrali e conferenze. Nonostante questo primo sforzo, tuttavia, non sono seguiti ulteriori interventi, per cui oggi il cinema versa in uno stato di degrado e abbandono. L’occasione perduta genera ora importanti interrogativi circa le modalità di intervento su un bene vincolato da restituire alla collettività.”
Roma e il futuro delle sale cinematografiche in disuso
Questo estratto della brillante tesi di laurea di Girolami sul restauro del cinema Airone, apre una riflessione sulle modalità teoriche e progettuali per intervenire su un bene sottoposto a vincolo delle L.42. A parere del sottoscritto, un aspetto determinate è la lettura degli elementi compositivi del progetto, realizzata attraverso lo studio e l’analisi delle documentazioni d’archivio e da questo tentare una progettazione che possa essere di riferimento, evocare o far rileggere in termini architettonici quanto era prima.
Vorrei ritornare, infine sul concetto di storicizzazione riferito ai cinema al quale prima ho accennato sintetizzandolo su tre piani principali: normativo; pratico, culturale.
Normativo: storicizzare implica che il cinema sia riconosciuto legalmente come patrimonio culturale, con il supporto di leggi nazionali, regionali e comunali sulla tutela del bene storico, così da tutelare l’edificio da modifiche non autorizzate o demolizioni, garantendo che eventuali interventi rispettino l’integrità storica e architettonica. La storicizzazione dovrebbe consentire l’accesso a fondi e incentivi per il restauro e il recupero funzionale.
Pratico: dal questo punto di vista, gli interventi mirano a mantenere il cinema fruibile per il pubblico, rispettando al contempo la sua estetica e funzionalità originali. Può significare aggiornare, anche in deroga, l’edificio per rispondere alle normative di sicurezza e accessibilità senza alterarne il valore storico.
Culturale: storicizzare significa riconoscere l’importanza del cinema non solo come edificio, ma come luogo di memoria collettiva testimone di decenni di eventi culturali, sociali e di costume. Questo processo permette, tramite il cinema, di proseguire la narrazione storica di una parte della città.
Nel caso della città di Roma, sarebbe relativamente semplice storicizzare i circa quaranta cinema dismessi e non ancora adibiti ad altre funzioni. Ben vengano le premialità, anche aumenti di superficie, e cambi d’uso per consentire la realizzazione di attività culturali collaterali e di servizi negli spazi ristrutturati.
E se a Roma nascesse un osservatorio di cinema e spettacolo?
A mio parere il primo passo che il Comune di Roma dovrebbe fare per un processo virtuoso è portare avanti l’osservatorio sul cinema e spettacolo proposto dalla consigliera Melito e, con il contributo di tutti gli imprenditori del settore, creare le linee guide per ogni cinema rapportate al contesto urbano circostante. Il passo successivo potrebbe essere quello di arrivare al piano di conservazione per ogni singolo edificio, che consentirebbe all’investitore di intervenire in tempi rapidi e con la certezza dei costi. Ritengo che le premialità siano utili per il rientro economico dell’investitore, per poter gestire positivamente tutta l’operazione di recupero del fabbricato ma il cinema deve avere la sua autonomia economica. Mi ha colpito una dichiarazione dello chef Massimo Bottura: “Il ristorante è 50% cucina e 50%sala. Per questo da 4 anni ho coinvolto nel processo creativo tutti i camerieri, perché loro sono la comunicazione“. Lo tradurrei così: per far funzionare le sale cinematografiche occorre al 50% la qualità dei film proiettati e al 50% la gestione e programmazione. È nelle intenzioni del sottoscritto, quale coordinatore scientifico del convegno, e dell’architetto e consigliere OAR Lorenzo Busnengo, dopo l’interesse riscontrato in molti settori del cinema e del pubblico sul recupero delle sale cinematografiche dismesse, proporre un sequel del convegno così da generare soluzioni concrete. Affinché la carica dei 101 sia realmente tale.
Paolo Verdeschi
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