Morto a 86 anni Paul Morrissey, il regista della Factory di Andy Warhol
Il colto e trasgressivo cineasta statunitense lascia in eredità un cinema senza filtri, capace di raccontare le passioni e le problematiche di una fetta della società contemporanea
Dopo Kenneth Anger, il cinema underground statunitense dice addio a un altro suo importante protagonista. Stiamo parlando di Paul Morrissey (New York, 1938 – 2024), cineasta colto e trasgressivo che ha contribuito al successo della Factory di Andy Warhol senza mai riceverne il giusto riconoscimento. Se non in tempi recenti. Morto il 28 ottobre 2024, a 86 anni, Morrissey è stato precursore di un certo tipo di fare cinema: senza filtri e pronto a cantare affetti e dannazioni di una fetta della società contemporanea.
Chi era Paul Morrissey
Considerato da molti “il papà del cinema underground”, Paul Morrissey nasce nel 1938 a New York da una famiglia di origini irlandesi. Maturata una forte passione nei confronti della settima arte (grazie soprattutto alle proiezioni cinematografiche del MoMA), a 22 anni il regista si sposta nell’East Village dove da un negozio sfitto ricava una saletta cinematografica che ben presto diventerà un punto di ritrovo per giovani alternativi e artisti: l’Exit Gallery. Proprio grazie a questo fermento culturale, Morrissey ha modo di frequentare l’attore e il poeta Gerald Malanga che, a sua volta, gli farà poi conoscere Andy Warhol.
Il rapporto tra Paul Morrissey e Andy Warhol
Da quell’incontro fortuito con il padre della Pop Art nascerà una collaborazione professionale che porterà Morrissey a diventare manager della Factory. Oltre a quelle in ambito cinematografico, tra le sue intuizioni va ricordata l’idea di ingaggiare i Velvet Underground come band rappresentativa della fucina creativa targata Warhol.
Nonostante il forte legame con la Factory, l’immagine di Morrissey è spesso stata offuscata dal successo di Warhol che, per scopi principalmente commerciali, poneva il suo nome su opere scritte, dirette e prodotte dal socio in affari. Sono questi i casi di Lonesome Cowboys, del 1968, e del suo capolavoro assoluto, ovvero la trilogia erotica con Joe Dallesandro composta dai film Flesh, Trash e Heat.
Il contributo di Paul Morrissey nel cinema
Sex symbol e musa ispiratrice di molti artisti (tra i quali Lou Reed che a lui dedicherà alcuni versi della sua celebre Take a walk on the wild side), Joe Dallessandro è stato l’attore feticcio di Paul Morrissey, recitando per lui in diversi film. Ma forse è proprio con Trash (la cui edizione italiana ha visto Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini dirigerne il doppiaggio) che entrambi vengono consacrati come portabandiera di un underground che si insinua in storie di tossicodipendenza e prostituzione per restituire il lato più umano e genuino dei cosiddetti reietti della società.
Ricordato anche per i suoi film post Factory dal sapore horror b-movie come Flesh for Frankenstein del 1973 e Blood for Dracula del 1974 (rispettivamente tradotti in italiano con Il mostro è in tavola… barone Frankenstein e Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!!), Paul Morrissey rimane un autore fondamentale per la storia del cinema che ha saputo descrivere con largo anticipo fenomeni e problematiche del nostro tempo.
Valerio Veneruso
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