Un film tra la Milano di Corvetto e lo Sri Lanka. Intervista al regista Suranga Katugampala 

Una favola nera ha come scenario una città impossibile realizzata fondendo il quartiere Corvetto e lo Salve Island nel centro di Colombo. A raccontarla è il suo regista in questa intervista

Still Here è una favola nera che si svolge sull’evanescente confine tra realtà̀, memoria e immaginazione. La storia si condensa intorno al mistero di Nico. La scomparsa della donna crea il vuoto di attesa e paura intorno al quale prende forma il percorso di iniziazione alla vita adulta dei suoi figli. Tutto accade in una mappa geografica personale che sovrappone a spazi immaginati due quartieri reali, Corvetto all’estrema periferia sud di Milano e Slave Island nel centro di Colombo. Il film, che si presenta a Roma al Cinema Adriano nell’ambito di Alice nella Città e della Festa del Cinema nella Capitale, viene raccontato in questa intervista dal suo regista, Suranga Katugampala (Negombo, 1987). 

Protagonista di Still Here è lo spazio urbano. Uno spazio urbano anticonvenzionale che fa parte del tuo background personale ma che è anche l’immagine riflessa di un inquietante immaginario sociopolitico. Ce lo racconti?  

L’idea del film, che intreccia la storia di una famiglia esplosa a quella di un quartiere spazzato via dall’avvento di una nuova città, è nata osservando questi due quartieri che frequento da molti anni. Distanti tra loro ma entrambi oggetto di una violenta gentrificazione, Corvetto e Slave Island sono accomunati da una complessa struttura sociale risultato di una stratificazione di memorie, lingue e sogni. Le recenti e radicali metamorfosi architettoniche e urbanistiche hanno avuto inevitabili ricadute esistenziali sugli abitanti. Mentre intorno a loro spuntavano cantieri e crollavano case, adulti e vecchi sembravano trasformarsi in fantasmi. Solo i bambini e gli adolescenti rimanevano vivi, disposti ad esplorare un possibile futuro, anche a rischio di avventurarsi in territori pericolosi.  

Suranga Katugampala
Suranga Katugampala

Durante le riprese ho seguito un processo molto libero aperto alla realtà̀, all’inaspettato, all’improvvisazione. Ho immaginato questo film come un viaggio nello spazio urbano personale. Una voragine aperta per la durata stessa del film. E in questo viaggio l’idea che gli spazi possano avere delle personalità̀ è qualcosa sul quale ho cominciato a ragionare strada facendo.  

Come rientra lo spazio urbano di Milano in questo progetto? 

A Corvetto, nell’area Quartiere Mazzini, i vari cortili delle case popolari creano una vera propria rete interna fatta di stradine, vicoli e passaggi interni. Una vera e propria cittadella. Per non incentivare la criminalità̀, il comune ha chiuso i passaggi tramite cancelli e così facendo ha impedito lo sviluppo di una vita interna all’interno della cittadella.  

Insieme alla cosceneggiatrice Simona Cella ci siamo immaginati che questa cittadella possa essere trattata come un quartiere di fantasia, fatto di androni, portoni, scale, cancelli, passaggi, sottopassaggi, terrazze, elementi da un’architettura raffinata ma fatiscente. Insieme alla cosceneggiatrice ci siamo immagini le nouveau port, l’unico bar del quartiere sopravvissuto alle varie demolizioni, quello in cui si ritirano a bere operai stanchi e che attendono di essere chiamati al lavoro.  

A Corvetto, un amico srilankese mi ha parlato di Port City, una futuristica città di proprietà cinese che sarebbe dovuta sorgere su un’isola artificiale di sabbia costruita di fronte a Colombo, in Sri Lanka. Una città che avrebbe inserito lo Sri Lanka all’interno della Nuova Via della Seta. Port City ha scatenato un forte immaginario distopico che è entrato prepotentemente nella storia del film, trasformando l’ambientazione della storia.  

I sopralluoghi a Colombo e nei cantieri di Port City mi hanno fatto scoprire l’utopia della grande città ultramoderna. Ovunque ci sono grandi cantieri che promettono benessere e tramite slogan pubblicitari annunciano che la città sarà “smart city”, “luxury city”, “green city”. Ogni tanto ci sono slogan surreali. Quella che più mi ha colpito è “L’altezza dell’indulgenza”. Ancora mi domando cosa voglia dire.  

La grande città ultramoderna, la smart city, può nascere ovunque, in Europa, Africa, come in Asia; è un modello globalizzato che ha perso inevitabilmente le strutture politiche e sociali della città del Novecento, tipica del mondo occidentale.  

E Colombo? 

A Colombo, per caso, sono capitato al Rio, che in passato, nel periodo glorioso del cinema srilankese, era una sala cinema molto frequentata. 
Adesso il Cinema Rio è una sala fatiscente dove si proiettano film soft porno, un luogo d’incontro per coppie gay. Il proprietario, un uomo hindu di altri tempi con grandi baffi, sempre vestito in maniera impeccabile, negli anni ha collezionato pellicole b-movie provenienti dalla Malesia, famosa per essere crocevia di merci d’antiquariato di tutto il mondo. È così che si è imbattuto nell’erotico italiano degli anni ‘70 e ‘80.  

Quando al Cinema Rio mi è capitato di vedere Nathalik’s Love di Joe D’Amato, sono rimasto impressionato dalla somiglianza tra Morgana e Kelly Trump – l’attrice che interpreta Lolita – e dalla scena in cui Lolita piange guardando in televisione una scena del film Anna Karenina, girata nel 1935 da Clarence Brown ed interpretato da Greta Garbo. 
Ho scoperto che Nathalik’s Love era una versione censurata e “romantica” del film Lolita adolescenza perversa del 1997, girata sempre da Joe D’Amato, di cui esistono diverse versioni molto più hard ma che non includono le scene di Anna Karenina. 
Insomma, esistono numerose versioni del film, alcune volte nemmeno firmate dallo stesso regista, ma da altri autori fantasma, più o meno censurati, più o meno con licenze artistiche come per esempio la scena di Anna Karenina. Film adattati al contesto, ai mercati in giro per il mondo. 
Tra l’altro la trama del film originale di D’Amato si basa su una classica situazione noir (Lolita scappa con il giovane amante della madre la quale dopo essere stata addormentata con dei sonniferi ingaggia un poliziotto per cercarli).  

Come hai lavorato?

Ho usato liberamente alcuni pezzi di questo film, in particolare i dialoghi. Mi sembravano un buon modo per evocare l’ossessione amorosa di Sunil per Nico.  

Le scene di Still Here ambientate al Rio rimettono in scena quello che avviene realmente in sala. Come in Goodbye Dragon Inn di Tsai Ming-liang l’interesse delle persone non è per il film proiettato ma per i possibili incontri sessuali in sala. In platea c’era un continuo movimento di persone che poi si spostavano nei bagni o nei corridoi bui intorno alla sala. La luce intermittente degli accendini aumentava l’impressione di assistere ad una performance con un ritmo e una coreografia ben precisa.  

Questi sono alcuni spazi che ho voluto portare all’interno dell’universo del film. In questo universo alcuni luoghi (il quartiere, il locale Le Nouveau Port, la palude, i cantieri, il cinema Rio) assurgono ad una dimensione drammaturgica, quasi fossero essi stessi dei personaggi.  

Qual è lo stato di salute del cinema in Sri Lanka?  

Come dicevo prima, lo Sri Lanka in passato ha avuto un momento glorioso di cinema. Attualmente il paese non sta vivendo un buon momento in termini di produzione cinematografica. Innanzitutto, mancano sostegni statali al cinema e quindi registi e produttori sono costretti ad affidarsi solo a risorse provenienti dall’estero dando così priorità̀ alle narrazioni a favore di uno sguardo esterno.  

Tuttavia, da altri punti di vista – come per esempio la critica cinematografica, cineforum autogestiti, videoinstallazioni – stanno succedendo molte cose interessanti. La lettura e l’analisi filmica è come se avessero trovato maggiori possibilità di esistere all’interno del paese. C’è una grande voglia di parlare di cinema, di approfondire, di studiare e analizzare.  

Ci sono molti casi di registi indipendenti che si danno da fare cercando nuove formule produttive e narrative, azioni indipendenti per cercare un territorio del possibile. Un amico una volta mi disse che adorava il cinema di Hong Sang-soo, perché nei suoi film hai la sensazione che per fare cinema basta davvero poco. Ecco, questo sentimento del possibile io lo trovo vitale per il cinema srilankese e forse anche per il cinema italiano, spesso troppo ripiegato nel passato e troppo demo-cristiano.  

E in Sri Lanka?

Tornando allo Sri Lanka, il paese ha vissuto anni di grave crisi finanziaria. Nel 2022 ci sono state proteste di massa che hanno portato alla fuga del Presidente Gotabaya Rajapaksa (9 luglio 2022). Le proteste erano iniziate a Pasqua, il paese era sull’orlo della bancarotta. Le politiche economiche suicide degli ultimi anni avevano messo in ginocchio il paese, sempre più indebitato con paesi esteri.  

In quel periodo eravamo lì a girare le scene srilankesi del film. Ci siamo trovati bloccati in un paese travolto dal caos, paralizzato da violente proteste, blackout e infinite code per comprare gas e benzina. Grazie ai produttori di Kaiya Collective e alla collaborazione dello scenografo Prasad Hettiarachchi siamo riusciti comunque a portare a termine le riprese. La situazione in cui si è trovata Colombo in quei giorni surreali ha influenzato l’atmosfera del film.  

Ho cominciato a riprendere quei giorni, avviando così un documentario a sé stante, progetto che sto finendo di montare in questo periodo, Good Bye Lotus Club.  

Ora c’è un nuovo governo fortemente voluto dalla maggioranza della popolazione. È la prima volta nella recente storia del paese che c’è un marxista come presidente. il centro sinistra è al potere. Spero che il nuovo governo possa considerare il cinema un veicolo interessante per promuovere i vari settori del paese, come per esempio il turismo.  

Quali sono i tuoi riferimenti cinematografici?  

Per me il cinema è un tentativo di guardare le cose dal basso e quindi ogni caso di cinema che ha esplorato questa intenzione per me è stato un potenziale riferimento. In questi anni Still Here mi ha permesso di approfondire molte traiettorie di cinema. Dal cinema noir asiatico al cinema horror ed erotico italiano, dal terzo cinema al cinema di Lino Brocka, il maestro del cinema delle filippine fino poi ad arrivare al cinema parallelo indiano. All’interno di questo ventaglio c’è anche il neorealismo italiano ma citare unicamente il neorealismo mi sembra una finta carezza per i lettori italiani che sono felici di vedere quando qualcuno – figuriamoci poi uno come me – dice che fa un film riferendosi al neorealismo.  

L’intenzione di sovrapporre paesaggi a me cari, fisicamente distanti fra loro, è maturata anche leggendo autrici come Marie N’Diaye o guardando Tabù di Miguel Gomes che ambienta liberamente il film in due territori molto diversi come il Portogallo e il Mozambico.  

In quella sede la storia del film è calata in una mappa personale relazionando creativamente Portogallo e Mozambico. Relazione che si appoggia ad un preesistente legame storico, sul quale l’autore va a porre la propria storia. In altre parole, questo tipo di relazione, tra luoghi distanti; diadi che nel tempo hanno trasportato la questione della colonizzazione e quindi delle relazioni di economia e commercio, sono strade già battute. Significa che esiste già un percorso in cui poter immaginare una relazione artistica fra questi due mondi. Storie, racconti, esperienze che aspettano solo di essere evocate dal cinema. Come fa Gomes raccontando la storia di Tabù.  

Invece, fra Milano e Colombo, fra l’Italia e lo Sri Lanka non vi è alcuna relazione storica. Come fra l’Italia e le numerose comunità di stranieri che la abitano. L’Italia non ha conquistato mezzo mondo e quindi il suo legame con il resto del mondo è vergine. Eppure, nonostante questo vi sono più srilankesi in Italia che in Inghilterra. La relazione fra due mondi così lontani come l’Italia e lo Sri Lanka è scritta nel presente, tramite le storie di immigrazione, non dai retaggi della vecchia colonizzazione. Questo lo trovo molto interessante.  

Il cinema è anche un tentativo di evocare nuovi immaginari che si basano sulle tracce relazionali che la storia contemporanea produce. Ed è proprio su questa relazione che ho voluto immaginare Still Here.  

Still Here
Still Here

Spiegaci meglio…. 

Glissant nel suo testo Poetica della Relazione parla dell’immaginazione come quel ponte che connette territori lontani fra loro. E l’immaginazione che cosa è se non cinema? Il cinema riflette le vene pulsanti del mondo di oggi, fatto di contraddizione, di ambiguità, di frammenti di verità e non più di verità assolute. La geografia mentale e affettiva è qualcosa di molto interessante da esplorare cinematograficamente.  

Infine, volevo anche portare la storia in un territorio dove il discorso sullo straniero fosse già superato. Troppo spesso il cinema italiano contemporaneo trasforma l’altro in un mero oggetto di osservazione, con banali risvolti di sceneggiatura. Il risultato spesso è una cartolina sociale, che più che rappresentare la realtà, rappresenta lo sguardo borghese del regista.  

Qual è la tua idea di cinema e in che modo questa si palesa nel film Still Here?  

La necessità di una narrazione plurale è secondo me molto urgente in Italia. Dal mio punto di vista questo significa evocare degli immaginari inediti, decostruire il linguaggio cinematografico rimanendo però in dialogo con il pubblico.  

Ho fatto due film finora ed in entrambi c’è almeno un attore srilankese di nota fama. Portarli all’interno di un film italiano è innanzitutto un’azione politica oltreché artistica. Sono convinto che al tessuto italiano serva un’iniezione di altre forme di fare arte.  

Still Here nasce con una grande desiderio anarchico di fare cinema. Di esplorare proprio questo tessuto sociale attraverso il cinema del reale che, al contempo, sia aperto alla sperimentazione.  

La sua peculiarità̀, dal mio punto di vista, è proprio quella vena dirompente di esistere che si portano i film indipendenti di un tempo. In questo senso Still Here è un film imperfetto, un profondo lavoro artigianale di cinema. Come un vaso di terracotta le cui curve sono lasciate alla sbavatura. E queste imperfezioni ne sanciscono la sua unicità e forse la sua bellezza. Trovo che bisogna guardare così certi film, per non rimanere inghiottiti solo dai film patinati e a formule.  

Santa Nastro 

Still Here è una produzione 5e6 film con Rai Cinema in coproduzione con Subosbscura film, in associazione con Okta Film, in collaborazione con Kaiya Collective.
Prodotto da Graziano Chiscuzzu, Chiara Budano
Co-protto da Suranga D. Katugampala, Georg Tiller, Maéva Ranaïvojaona PRODUTTORE ASSOCIATO Paolo Benzi

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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