Real: il nuovo film di Adele Tulli mostra il lato “umano” del web
Dopo “Normal”, la regista Adele Tulli torna al cinema con un documentario lirico che racconta la connessione tra reale e irreale, tra vita quotidiana e relazioni social, tra intelligenza artificiale e algoritmo. Il trailer
Dimenticate i documentari classici che vedete al cinema o in tv, le interviste posate, i protagonisti a tutti i costi, il filo narrativo rigoroso e consequenziale, le prese di posizioni etiche, le prediche, gli avvertimenti. Dimenticate soprattutto le voci narranti che irrompono solo per prenderci per mano, trattandoci come bambini, laddove i “bambini/spettatori” dovrebbero essere lasciati liberi di giocare con questo puzzle o come dice la regista stessa, Adele Tulli, con questo “mosaico” che è il suo cinema, appunto del reale. E Real – titolo del suo nuovo film in sala dal 14 novembre con Luce Cinecittà – se non va oltre il reale, si avvicina in modo davvero inquietante al confine con il reale stesso per raccontare il rapporto tra esseri umani e tecnologia, tra mondo fisico e realtà virtuale.
Un film social
Come raccontare questa intricata relazione in continua evoluzione, soprattutto di chi è quotidianamente connesso a dispositivi digitali? Adele Tulli la narra in questo documentario mostrandoci pezzi di storie di persone e non di personaggi, lasciando che siano loro a svelarsi. Che sia attraverso un reel, un feed, un “confessionale” social, una “diretta”, una “stories”, un incontro nel metaverso. Ed è proprio nel digitale che conosciamo queste vite, in quel loro “reale” dove si sentono liberi, anche di dare sfogo alla propria depressione “da follower”, quella che li costringe nella solitudine di una cameretta, pur se piena di like.
Real: un documentario in cui tutto è il contrario di tutto
La “rete” può anche non intrappolare, al contrario può trasformare l’emarginato in un supereroe. Ma il prezzo da pagare è spesso l’alienazione e la dipendenza. Ed eccoci in un rehab per gamers, twitcher o tiktoker, mostrato con un rigore quasi da cinema classico che, solo apparentemente, contrasta con l’animazione da metaverso, o la narrazione da Instagram, come quella a Venezia, in cui un “alieno” si confronta con i selfie dei turisti, unica parziale messa in scena del film.
Ma sapete perché non contrasta? Perché il montaggio di Real, eseguito in maniera egregia da Ilaria Fraioli, restituisce un mosaico esistenziale contemporaneo che potrebbe non finire mai, un fine pena mai da godimento virtuale. Proprio come quello che hanno gli avatar di un metaverso in cui il gender si polverizza e l’amore, come l’identità, si liberano divenendo un concetto che, non scherzo, ricorda quello dello spirito santo e forse, per questo, andrebbe mostrato ai fanatici cattolici, per ricordargli che l’essenza del loro credo si basa proprio sull’assenza di genere. Ma il punto non è questo, perché in fondo non ci sono punti, forse solo puntini di sospensione come pure virgole e parentesi, ed è questo il linguaggio del documentario: un lungo racconto che non fornisce punti esclamativi, semmai qualche punto di domanda.
Un film poetico e visionario che unisce i vari linguaggi contemporanei
Il confine tra reale e irreale, tra emozione e “finzione” in Real di Adele Tulli è davvero labile, ma la regista non indulge, non giudica, non condanna o santifica. Tutto quello che fa è mostrare quel che accade attraverso i suoni disturbanti e le musiche coinvolgenti di Andrea Kochper, ma anche attraverso le incredibili immagini, che siano appunto classiche, digitali o deformate tra fish-eye riflettenti, grandangoli immaginifici, GoPro ribaltate, droni sottosopra.
Il tutto mantenendo una qualità superlativa, iperreale, grazie alla splendida fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars. E la regia, la “scrittura”, il montaggio passano da dentro a fuori senza soluzione di continuità. Siamo il punto di vista di chi guarda e siamo il punto di vista di chi vive quel momento, che siano cam girl o guru della meditazione on line, che siano gli abitanti di una smart city coreana o un delivery guy influencer asiatico, che siano gli operai di un data center, i lavoratori sulle navi posacavi o i mammiferi nei fondali del mare che convivono con quegli stessi cavi conduttori che connettono le nostre vite. E alla fine, o forse sin dall’inizio, siamo tutti dentro una stanza, un data center universale che ci consuma, ci libera, ci accomuna, ci esalta, ci fa soffrire, ridere, emozionare. Ma se ci emoziona, allora è reale?
Barbara Frigerio
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